giovedì 24 dicembre 2009

Natale: il silenzio della montagna

Questa notte è una notte particolare, per molti motivi, ma anche perché regala il dono del silenzio.
Il misterioso, magico ed estatico silenzio.
E' una delle poche cose che ho compreso appieno in questa vita; e cioè che nel mondo moderno il silenzio ha una rilevanza notevole!
La nostra vita, il nostro tempo sta diventando fin troppo assordante e raramente ce ne accorgiamo così presi come siamo dal rincorrere le cose che dobbiamo fare.
E, spesso anche quando siamo soli e senza alcun "obbligo di fare" non riusciamo a creare uno spazio attorno a noi in cui vi sia il silenzio.
La cosa che ci sembra naturale è quella di accendere la TV o la Radio.
Siamo così abituati al "rumore" delle nostre giornate lavorative che quando siamo soli e restiamo per un attimo in silenzio ci prende quasi una crisi di panico.



Parlo spesso di silenzio e, se osserviamo bene, è piuttosto strano il fatto di dover sprecare tante parole per descrivere una dimensione priva di parole, una dimensione dove le parole non hanno ragione di esistere.
Tuttavia se ne parlo è solo perché mi piacerebbe che lo sperimentassero tutti; che ognuno di noi riuscisse a viverlo in modo pieno almeno una volta.
E l'angolo più bello per cercarlo ed assaporarlo è la vetta di una montagna.
Quando sei lassù nel silenzio tutto si acquieta, la nebbia si dissipa e inizia a sorgere la luce della consapevolezza.
Ed è allora che ti accorgi che non puoi più farne a meno.


Buon Natale

lunedì 21 dicembre 2009

Cornetto di Folgaria

Partenza: Pizzeria Keizel loc. costa di Folgaria 1.280 m.
Arrivo: Cornetto di Folgaria 2.060 m.
Dislivello complessivo: 780 m.
Tempo di salita: 2 ore e 40 circa (anche meno, dipende dalle soste).
Difficoltà: nessuna.


In località Costa di Folgaria m 1280, nei pressi della pizzeria Keizel di Port Vincenzo con ampio parcheggio (che serviva agli impianti di risalita ormai in disuso) si mettono le ciaspole e si comincia a salire seguendo la vecchia pista da sci.

Dopo una curva a sinistra e il successivo tornante a destra si sale ripidamente fino a sbucare nelle vicinanze di un vecchio edificio un tempo adibito a ristorante.
Siamo fuori dal bosco ed ora la pista diventa più ampia e ripida.
Si sale con fatica e con frequenti soste brevi per riprendere fiato.
Raggiunta la stazione a monte si incrocia il segnavia cai che ci indica la nuova direzione. Il cartello dichiara 1h e 30' alla cima del Cornetto, ma realmente il tempo che si impiega è molto meno (1h circa anche con numerose soste).
Ci si inoltra a sinistra nel bosco con una traversata in obliquo che ci raccorda nuovamente, in uscita dal bosco, con la vecchia pista, mentre alla nostra sinistra osserviamo i piloni del vecchio skilift in disuso.

In breve si raggiunge la spalla nei pressi dei ruderi della stazione di arrivo dello skilift dove la vista si apre sulla Valsugana e sul Lago di Caldonazzo.
Ora ci attende l’ultimo tratto.
A sinistra si risale la dorsale fra mughi coperti in parte dalla neve fino a raggiungere la vetta (dopo un breve passaggio in cresta) del Cornetto (m 2.060).

Dalla cima si gode un panorama stupendo che ripaga ampiamente della fatica fatta.
Sotto di noi uno strapiombo mozzafiato conduce lo sguardo nella Vallagarina ancora immersa nella nebbia.

Ad est le cime innevate dell'Altopiano (ben visibile la parete del Portule), del Lagorai e delle Dolomiti (visibilissima l'inconfondibile parete sud della Marmolada, Le Pale di San Martino e Cima D'Asta) e le lontane Alpi Austriache.

L'unico spicchio di orizzonte che ci e' precluso e quello a nord dalle ripidi pareti del bellissimo Becco di Filadonna, proprio di fronte a me.
Infine ad ovest si riconoscono perfettamente tutte le cime del gruppo del Brenta e alla sua sinistra il ghiacciaio della Presanella.

L'assenza di vento e il tepore del sole inducono a restare ancora un pò.
Gli ultimi scialpinisti sono scesi da una mezz'ora e sono rimasto solo quassù, e mi ritornano alla mente le parole di Cristina Castagna:
 "Sulla Cima di un 8000 cè solo il Silenzio.
Un Silenzio che lascia spazio solamente al battito del tuo cuore, al respiro affannoso, a te stesso.
Il mondo rumoroso è distante, il cielo è solo ad un passo."


Un po' di controvoglia prendo la via del ritorno. La discesa e' velocissima: in breve sono al sentiero Gentilini e poi alla pista che scende nel bosco.
Rientro con calma alla 'base' non senza una sosta alla pizzeria per la classica birra da Vincenzo.

lunedì 7 dicembre 2009

Monte Fior


Escursione mista, di un certo impegno, che nella parte iniziale prevede una dura, anche se breve, salita.
Dalla valle di Campomulo si sale dapprima alle Melette e poi, dopo la discesa alla malga Slapeur, si risale lungo le trincee del lato nord fino alla sommità del Monte Fior, teatro di sanguinose battaglie tra il giugno del 1916 e il novembre del 1917, e dove il panorama è semplicemente eccezionale.

Da Gallio si entra nella valle di Campomulo, e prima di raggiungere i nuovi impianti di risalita delle Melette, si parcheggia e si cerca sulla dx, poco prima della casetta di partenza dei vecchi e dismessi impianti di risalita del “Salto degli Alpini” a quota 1400 m, una carrareccia con divieto di transito per veicoli motorizzati).
Si attraversa subito un bosco di abeti rossi e ci si dirige verso la pista di discesa in direzione Est. Mantanendosi sul lato destro della pista si risale la sua parte più ripida denominata "salto degli alpini" che in breve ci porta fuori dal bosco a quota 1.577.


Ora lo spazio aperto ci permette di scegliere la via di risalita che riteniamo più idonea.
Alcuni scorci sulla cresta contro il cielo delle Melette e gli evidenti impianti di risalita delle medesime alla nostra sinistra accompagnano questa lunga e faticosa salita che ci porta alla stazione a monte dei nuovi impianti.

Abbiamo raggiunto, dopo un'ora circa dalla partenza quota 1.735 e il nostro sguardo può iniziare a spaziare a nord e a est cercando di riconoscere le varie cime in un susseguirsi di splendidi panorami.
Dopo questa pausa ristoratrice, dobbiamo scendere, perdendo circa 150 m di quota,  verso Bocchetta Slapeur e l’omonima Malga posta a 1.628 m.


La Malga Slapeur è posta tra le Melette di Gallio e il Monte Fior in un passo naturale che mette in comunicazione la Val Miela e la Piana di Marcesina. Nel 1986 furono reperiti in loco alcuni manufatti in selce attribuibili al Paleolitico medio.
Questo darebbe adito all'ipotesi che cacciatori-raccoglitori possano aver raggiunto la Piana di Marcesina da Sud, seguendo la direttrice Vai Frenzela-Val Miela, per scopi di caccia.


Poco prima di essa, nei pressi di una lapide commemorativa, un paletto con segnavia indica la direzione verso il bosco di abeti da un lato e dall’altro rocce e roccioni che formano colonne di rosso ammonitico e che hanno indotto a denominare il sito “Città di roccia”, e dove possiamo scoprire gallerie e caverne di ricovero e altre curiose formazioni rocciose, dette Karren.

Dopo questo tratto usciamo in prato aperto, tra trincee e avallamenti provocati dalle granate dei mortai, e con una seconda e più lunga salita lungo la dorsale nord in prossimità della selletta Stringa,che divide la dorsale nord del Monte Fior dal M. Castelgomberto, abbiamo la possibilità di vedere in tutto il loro splendore bianco le Pale di San Martino, e sotto di noi la piana di Marcesina.
E poi per la cresta sommitale arriviamo finalmente, a quota 1.824 m, al punto sommitale del Monte Fior.

Su queste balze infernali ha combattuto ed è morta la 'mejo' gioventù europea.
Testimone di quei tragici avvenimenti fu Emilio Lussu che nel suo libro 'Un anno sull'Altipiano', ci ha lasciato memoria di quei drammatici avvenimenti , e dal quale Francecso Rosi ha tratto ispirazione per il suo film “Uomini Contro “.

Il panorama è uno di quelli che non si dimentica tanto facilmente.
Lo sguardo spazia sulla pianura e, in giornate limpide, arriva a Venezia, la laguna fino alle coste istriane.
Il massiccio del Grappa sembra così vicino da poterlo toccare con mano, ancora ad est le prealpi Feltrine con la Schiara ed il Pavione in primo piano, più a nord il gruppo delle Pale di San Martino, Cima D’Asta, e il Lagorai.

Infine tutta la catena nord dell'Altopiano con l’Ortigara, cima Dodici, lo spallone est del Portule, e ad ovest il Pasubio, il gruppo del Carega e i Lessini.

Semplicemente stupendo!

venerdì 20 novembre 2009

Altopiano di Asiago.... e la prima neve

In montagna con l'alternarsi delle stagioni si incontrano diversi tipi di neve.
Mario Rigoni Stern fa un celebre elenco di nomi perduti, un tempo dati dalle sue parti.
"Brüskalan; la prima neve.
Nevicava, anche a ottobre e a novembre, ma la neve autunnale è una neve fiacca, flaccida, che si attacca agli scarponi. Ma quando brüskalanava era diverso. Il terreno dopo l’estate di San Martino era ben gelato e risuonava sotto le nostre scarpe chiodate con brocche e giazzini. Lo si sentiva nell’aria l’odore della prima neve: un odore pulito, leggero; più buono e grato di quello della nebbia."

Tratto da  Sentieri sotto la neve  di M. Rigono Stern

Come ogni stagione, anche ogni neve ha il suo nome.
Quella che abbiamo ora in Altopiano, non è la brüskalan, ma la neve d'autunno.
Ma poco importa.

Anche se la neve sembra tutto mortificare, nella nuova luce del bosco si riprende a vivere.
Oggi mentre camminavo immerso in quel bianco di luce propria, tra gli alti tronchi muschiati d'argento, pure il tempo mi sembrava irreale e mi sembrava di vivere in un mondo metafisico, come dentro un sogno.

Sentivo il mio corpo non aver più peso, e diventarmi leggero il passo.
Camminavo vagando di pensiero in pensiero, in un infinito tra gli alberi innevati anche le cose più "brutte" della vita mi sembravano più chiare.


Il sole si avviava oramai al tramonto; il momento più freddo della giornata.
Poco prima uno sciatore solitario era passato lungo la stradina ed era sceso verso il parcheggio.
Certamente era uno che non amava le piste affollate e gli impianti di risalita.
Un solitario, come me, che amava il suo inverno con i ricordi e i pensieri chiari.

Camminare sulla neve non è uno sport ricco di emozioni come lo scialpinismo, ma è un'arte povera, un far niente pieno di cose.

Così pensavo mentre, salito sulla cresta, davanti a me sulla mia sinistra mi sono apparse le Pale di San Martino.
La luce del meriggio donava alle vette il colore dolomitico per cui sono famose.
Camminare sulla neve non è ecclattante come una scalata in parete, ma è semplicemente accarezzare un sentiero per uscirne dalla traccia senza impegno, per fermarsi prima,
per decidere di cambiare percorso,
per rincorrere un'altra idea,
..per inseguire un bosco o una montagna che ti sono cari.............

Camminare sulla neve non è esaltante come skyrunning, ma è un modo per rallentare il ritmo e per un istante fare posto ai ricordi, alla memoria di persone perse e da cui la vita ci ha separati.

Camminare sulla neve non è assordante come una pista da sci, ma ....................
E solo allora ci rendiamo conto che, spesso, i silenzi sono importanti quanto i suoni. Proprio come in una di quelle conversazioni che ci mettono in gioco, quando le pause contano come o addirittura più delle parole, perché ci danno il tempo di mettere meglio a fuoco i pensieri, riorganizzare le emozioni e suturare certe ferite.

Camminare sulla neve dove ogni passo diventa un respiro che muove il passo successivo e ogni respiro alimenta il nostro cuore.

E quando il cammino diventa sicuro e il passo delicato,allora mi piace pensare che sicuramente esiste quella invisibile via che unisce la terra al cielo.

Camminare non serve per tenersi in forma, ma a dare forma alla vita.

martedì 10 novembre 2009

Ciocogioco in due mosse: pasta al cioccolato

Potrebbe sembrare una provocazione parlare di cacao in cucina, ma ormai la tendenza è quella di confondere, sino quasi a smarrire, i confini tra il mondo dolce e il mondo salato. In fondo non abbiamo inventato niente di nuovo. Cacao e cioccolato giungono sulle tavole europee in un periodo molto favorevole per la gastronomia "creativa". I nobili del diciassettesimo e diciottesimo secolo gareggiano anche per lo splendore dei loro pranzi, e i cuochi non disdegnano gli ingredienti più strani ed esotici per stupire i commensali. Ecco perché anche le ricette di primi piatti e di pietanze finiscono per essere spesso aromatizzate con zucchero, uvetta, canditi, spezie.... e ovviamente cioccolato. In Italia è la "pasta nera" a prendere subito un posto importante tra le ricette illustri, assieme ad altri primi ed innumerevoli piatti di carne e cacciagione.
Il cioccolato, che da sempre ci ha nutrito culturalmente anche per le sue capacità di sublimare le nostre esigenze psicosensoriali, può talune volte regalare abbinamenti al limite della perfezione, altre volte variazioni sul tema in alcune delle più importanti ricette della tradizione gastronomica italiana o infine contrapposizioni di profumi, sapori e retrogusti piacevoli e provocanti. Cucinare il cioccolato consente di viverlo intensamente; è un ingrediente che, se dosato con parsimonia ed intelligenza, regala un
risultato di fine equilibrio.

Perché “Ciocogioco”?

Perché l’autunno mi mette malinconia…., allora mi piace stare in cucina a giocare con i colori e i sapori. Che cosa c’è di più adatto del cioccolato, della zucca, delle noci per riprendere i colori dell’autunno?

Per i tagliolini e i ravioli di pasta al cioccolato, impastare sulla spianatoia 200gr di farina, 25 gr di cacao amaro naturale di buona qualità (io ho usato un cacao equador del mercato equo-solidale), 2 uova e un goccio di olio extravergine. Otterrete una pasta molto elastica e asciutta che lascerete a riposare una ventina di minuti.
Nel frattempo preparate il ripieno dei ravioli: in una ciotola amalgamare circa 100 gr di ricotta di malga molto asciutta con 50 gr di formaggio asiago stravecchio.
Stendere metà impasto in 2 sfoglie non troppo sottili, disporre il ripieno in 12 mucchietti sulla prima sfoglia, coprire con l’altra sfoglia e, con l’aiuto di un coppapasta del diametro di 5cm ritagliare i 12 ravioli. I ravioli andranno cotti in acqua bollente per 6/7 minuti e conditi con burro di malga fuso in un pentolino e aromatizzato con rametti di timo, salvia, un pizzico di cannella, un pizzico di chiodi di garofano macinati e una grattugiata di noce moscata. A lato del piatto aggiungere un filo di miele di castagno e una spolverata di noci.
Con i ritagli dei ravioli e la restante pasta si otterranno i tagliolini.


In questo piatto è fondamentale la scelta e la cottura della zucca, che deve essere ben matura e dolce per contrastare piacevolmente con il gusto leggermente amaro della pasta. La zucca va pulita , sbucciata, tagliata a fettine sottili. In una teglia da forno preparare uno strato di cipolla rossa di Tropea, alcune foglie di alloro, alcuni rametti di timo, le fettine di zucca, sale pepe e una spolverata di zenzero. Condire con olio extravergine e procedere con un altro strato sino a terminare gli ingredienti. Per 6 persone sono sufficienti una cipolla e 300gr di zucca.
Cuocere in forno a 180° per una mezz’ora sino a che la zucca prenda una leggera doratura; Con la zucca così preparata si andranno a condire i tagliolini, senza utilizzare altro condimento, se non una generosa spolverata di formaggio Asiago stravecchio o Vezzena fatto cadere a lamella sulla pasta.

Amaranto (Elena  R.)

lunedì 9 novembre 2009

I funghi autunnali in tavola

Domenica 8 novembre si è concluso con il secondo appuntamento che abbiamo intitolato "Dei boscaioli e dei cacciatori", il ciclo di incontri sui funghi in tavola.
Sembra strano ma dal Rinascimento all’Unità d’Italia a farla da padroni sulle mense regali e pontificie furono sempre i funghi di primavera, più che gli autunnali:spugnole, prugnoli, marzuoli erano i grandi funghi da cucina.
Ma è l’autunno la vera stagione dei funghi.

Così, questo squisito complemento a menu importanti, pregiato piatto di mezzo, ricercato contorno si presenta in tavola nel mentre l’autunno mostra i suoi colori, fra il giallo ed il rosso delle vigne e dei boschi.
Ed ecco, fra i tanti miracoli della natura, proprio quando ci si sta preparando all’inverno, l’abbondanza dei funghi, questa “carne del bosco”, ricchissima di proteine, dieteticamente eccezionale per le pochissime calorie, che ignora completamente i grassi.

Funghi preziosi ed umili, che tendono ad occultarsi, a vivere nel silenzio magico del bosco, che quasi impaurisce con le sue ombre ed i suoi fruscii, o sui verdi prati al confine del verde, a mostrarsi solo all’ultimo istante, a dare il senso di una conquista che è insostituibile.
Prezioso ed umile si presta ad una gamma sconfinata di usi e consumi.
Profuma le salse ed i condimenti, gli intingoli di tutte le preparazioni, si unisce ai piatti di alta aristocrazia o a quelli popolari come zuppe e minestre o selvaggi spezzatini.

Con quest'ultimo appuntamento abbiamo cercato di proporre alcune specie di preziosi funghi autunnali in un incontro di gusto, cultura e piacere della tavola.
Sono stati presentati alcuni piatti con finferli (Cantharellus cibarius), ovuli (amanita caesarea), punicea (hygrocybe punicea), porcini (Boletus edulis, aestivalis ed aereus), e infine chiodini (Armillaria mellea).


Ed ecco il menù proposto:

I° SERVIZIO

II° SERVIZIO
Crema di finferli, ovuli e punicea
con crostini al lardo

III° SERVIZIO: di cucina

IV° SERVIZIO: dal focolare
Bocconcini di cervo al mirto con guazzetto di chiodini
su letto di crema di mais


PRIMA Di LASCIARE LA TAVOLA 
Semifreddo di marroni
con salsa di cachi e scaglie di cioccolato
Amaranto e Mario
Aziende e prodotti del territorio negli ingredienti del menù:

• Il Riso Vialone Nano IGP dell’Az. Agricola Melotti Giuseppe - Isola della Scala (VR)

• Fagioli di Lamon IGP di Maccagnon Riccardo – Lamon (BL)

• Az. Agricola “Aidi” – Marano Vicentino (VI) con il caprino

• Az. Vitivinicola Bonollo Giuseppe – Fara Vicentino con
Rosato di Alteo, Marzemino e"Torcolato 2007" 
premiati e segnalati dalla guida Espresso 2010

• Pellizzari Felice olivicoltore - Pove (VI)
con l’olio extravergine pluripremiato

• Malga Biscotto in Vezzena – Levico
con il formaggio Vezzena (18 mesi)

domenica 1 novembre 2009

Novembre: ... come le foglie d' autunno i ricordi

Avevo solo dieci anni quando ci siamo trasferiti nella nuova casa ai piedi delle colline ad est del paese, ma due cose le avevo già comprese nel mio cuore: che mio padre adorava la caccia e che io adoravo mio padre.
Ci vedevamo troppo poco, per i miei gusti. Avrei dato qualunque cosa per stare più tempo con lui.
Non ci ho messo molto tempo a capire che la soluzione a questo problema passava attraverso le sue uscite di caccia.


Sono passati oramai tanti anni eppure ripensando alla mia infanzia e più precisamente a quel determinato periodo della mia vita niente mi è più nitido, seppure ora velato di malinconia, di quei momenti in cui la caccia è rimasta viva nella mia mente ed ancor più nel mio cuore.
Una caccia fatta di sensazioni straordinarie che ancora oggi a distanza di tanto tempo mi danno la consapevolezza di aver vissuto con mio padre momenti indimenticabili.

Questo era il tempo in cui quasi tutte le sere dopo cena in un silenzio quasi religioso si preparavano le cartucce per i giorni a seguire. Ricordo i bossoli in cartone che a furia di sparare e calibrare diventavano sempre più corti, i pallini ed infine il cartoncino con il numero che identificava la dimensione dei pallini, e che era mio compito inserire prima che la cartuccia venisse ribattuta per l'orlatura finale con la macchinetta.
Inutile nascondere che nella mia mente di bambino erano tutti gesti che assumevano per me un significato iniziatico e che riempivano il mio cuore di un'infinita gioia.
E non c’era fine settimana ( scuola permettendo) in cui non seguivo mio padre a caccia.


Si partiva prima dell’alba per raggiungere a piedi i posti migliori per aspettare tordi,allodole o qualche beccaccia alla posta (allora era consentito); un’emozione straordinaria con un adrenalina che cresceva insieme alla speranza che l’arcera spuntasse da levante e con la sua inimitabile sagoma raggiungesse la nostra postazione lassù in Val Masiera *.

Poi sono arrivati i primi segni della malattia e con essa qualche imprevisto e piccolo incidente. E allora mia madre lo convinse a farlo per tante ragioni, anche valide, anche necessarie; la famiglia, gli anni che passavano, la paura di eventi imprevedibili, il timore di conseguenze negative per la salute...
Fatto sta che alla fine, a malincuore, aveva deciso di appendere al chiodo il fucile.

E così si era trasformato in un cercatore di funghi, perché l’ansia della ricerca non si era affatto sopita in lui. Il profumo dei boschi ancor umidi di rugiada o intrisi di pioggia autunnale lo richiamavano, ne aveva bisogno, gli colmavano il vuoto che si sentiva dentro quando giungeva la stagione, quella vera, quella di un tempo.

E allora andava a funghi, col suo cestino sottobraccio, il suo bastone, la sua vecchia cacciatora, usata ed ancora odorosa di selvaggina e cartucce sparate benché lavata e rilavata.
Forse sentiva quell’odore penetrante di un tempo quando il colpo partiva dalla prima canna, o forse solo perché era ancora nella sua immaginazione.
Forse!



* così chiamata perché gran parte delle pendici della valle era coltivata a terrazze con muri costruiti a secco. Masiera infatti deriva dal latino "maceries" che significa "mucchi di pietra", muri a secco, come appunto sono molti dei manufatti che si trovano sulle nostre montagne.

lunedì 26 ottobre 2009

"La via della montagna un cammino possibile" di Goretta Traverso


«Il mio zaino non è solo carico di materiali e di viveri: dentro vi sono la mia educazione, i miei affetti, i miei ricordi, il mio carattere, la mia solitudine. In montagna non porto il meglio di me stesso: porto tutto me stesso, nel bene e nel male». Renato Casarotto

Il K2 si innalza come un ciclopico cristallo nel cuore della catena del Karakorum. Piramide perfetta, sembra l'opera di un artista che, impegnato nella sua meravigliosa fatica, mai conobbe attimi di cedimento creativo. 
Il gigante di roccia e ghiaccio è un capolavoro, una scultura in cui la geniale forma complessiva è sostenuta da una continua attenzione ai particolari. A nord il monte dei monti par quasi aggredire il cielo, mentre a sud si innalza dai ghiacciai come a voler dominare la terra. Ma più sovrano che mai appare dal Colle Est, con l'intero ghiacciaio Baltoro ai suoi piedi e il famoso pilastro Sud -Sudovest chiamato anche Magic Line (linea magica).


Una sagoma umana procede verso l'alto seguendo questa via ideale, la “linea magica” che, pur mirabile, è soltanto figura di un archetipo. La superba cresta, in altre parole, altro non è che il simbolo dell'eterno cammino dell'uomo. 
Perché lassù, nella solitudine estrema che ricorda le lunghe orazioni dei monaci tibetani, ogni istante raggiunge pienezza di significato e di necessità: il pilastro Sud-ovest del Chogorì (K2), è simile alla scala del sogno di Giacobbe che «poggiava sulla terra mentre la sua cima raggiungeva il cielo» (Genesi 28, 12) e lungo di essa il viandante solitario «supera i bisogni, diventa spirito, si rasserena. Ad un tratto, però, le tremende forze della natura si scatenano e costringono il piccolo grande uomo a tornare sui propri passi: è il 16 luglio 1986 e la rinuncia, questa volta, appare davvero definitiva. La discesa è furiosa, velocissima.
E il suo ultimo capitolo, lungo il tratto di ghiacciaio immediatamente precedente la morena, si trasforma inaspettatamente nella pagina estrema di una vita, dell'esistenza di uno dei più puri e meno celebrati alpinisti di ogni epoca: il vicentino Renato Casarotto. *




Quello che cerchiamo quando andiamo in montagna non è la stessa cosa che cercava anche Renato Casarotto ?
Non solo scampo dall’oppressione della città, ma evasione dalla vita di tutti i giorni, ricerca del nuovo e dell’imponderabile, la possibilità di misurarci con i nostri limiti.
Amiamo la montagna visceralmente perché ne amiamo le alte vette.
Più sono alte, più la voglia di estensione diventa irresistibile.
Acute d’incertezza, diventano per coloro che le frequentano imponderabile unicità di percorso.

Certo non possiamo dire di cercare la tragedia o il pericolo estremo, ma a volte lo si corteggia, sfiorando i nostri limiti e se capita di sottovalutarli, o se interviene l’ imprevisto, si entra “nella zona della morte”.
Invisibile ad occhi inesperti ma a volte drammaticamente vicina, anche a quote turistiche.

Vogliamo fare una escursione, salire una vetta?
Allora dobbiamo imparare il senso del limite.
Dobbiamo sapere che una cima non si può “conquistare”, che le montagne bisogna salirle e poi scenderle, e scendere spesso costa più fatica.
Difficile, in una civiltà che ripete “Tu puoi”, “tu vali”, “tu meriti”, per farci compulsivamente consumare emozioni, oggetti, esperienze.
Sempre più spesso mi capita di conoscere persone che non salgono più una vetta solo per stessi, come ha sempre fatto Renato Casarotto.
Oramai si scalano le alte vette per poterlo medializzare, per mettere una tacca sul fucile, per una gara che non ha alcun senso.

Vogliamo il rischio?
La montagna offre, in questo senso, pane per i nostri denti.
Lassù troviamo ampie riserve di entusiasmo e di adrenalina. Ma questo non ci basta e allora vogliamo andare sempre più in là, verso immaginarie colonne d’Ercole. In un viaggio che diventa sempre più rischioso, perché un’infinità di cose non dipendono da noi e dovremmo tenerne conto: il passo falso su un sentiero, la tempesta che si addensa quando siamo lontani da un riparo, il freddo che scende al calar del sole.
Ma dovremmo sapere che stanno dentro di noi, non fuori.
Purtroppo la montagna insegna, ma ha pochi allievi: pochi sanno che calma le ansie, che aiuta a distillare i pensieri, che ti fa imparare l’aiuto reciproco. In cambio però vuole qualcosa: fatica, silenzio, senso del limite.


Davanti a un cielo stellato, a un ghiacciaio, ad una piramide perfetta come il K2, ci si può anche commuovere, ma se non riusciamo a capire che è anche un guardare dentro noi stessi, accettando l’inaccettabile, accettando se stessi come una piccola parte di un Tutto, si può facilmente avvertire lo sgomento per un mondo freddo e lontano, assurdamente indifferente alla nostra piccola esistenza.
E’ il nostro sguardo, che le dà valore: la montagna ci migliora quando capiamo che è nutrimento dello spirito, quando risveglia ciò che di migliore è latente in noi. Quando esalta le nostre capacità di sopportazione, di sacrificio e di tolleranza, quando ci ricorda il coraggio, l’umiltà e la dignità.
Quando, eliminate le incrostazioni del nostro Ego, riesce a unirci al Cielo, a quella scintilla divina che dimora in ognuno di noi.


* testo di Carlo Caccia 
le foto sono tratte dal sito di Karl Unterkircher 



domenica 18 ottobre 2009

Col Ombert ...... parte prima



"Eccolo lì, bellissimo in controsole. Il Col Ombèrt.
Questa piramide di roccia, che sbarra la valle riempiendo ogni inquadratura, ogni panorama, ogni visione, è alta 2670 metri.
Ho appuntamento lassù. Con me stesso…e non solo…
"

Giorgio... era il 4 settembre 2005 quando ti incamminavi per salire al Col Ombèrt, dopo aver salutato Maria con questo pensiero tra le pieghe dell'anima.



E con queste parole che oggi, come una melodia che continua a rimbalzare nel silenzio del mio cuore, di primo mattino e dopo aver percorso in auto tutta la Val S. Nicolò fino alla Baita Ciampiè calzo gli scarponi, indosso lo zaino e mi incammino lungo la strada forestale che risale, tra casolari e baite ristrutturate la testata della valle verso il Col Ombert.


Rallento per osservare le montagne attorno e che oramai riconosco anch'io come familiari grazie anche ai tuoi racconti.

Sono emozionato proprio come lo eri tu quel giorno e allora rallento ancora di più il passo concentrandomi su quello che mi aspetta, su ciò che potrò vedere ed osservare in questo cammino della memoria.
Mi giro per un attimo quel tanto che mi basta per scorgere laggiù ad est, tra le sponde della valle alcune delle cime a te più care, quelle del Catinaccio con in primo piano i Dirupi di Larsec.


Il tempo sta volgendo decisamente al brutto e la neve, caduta il giorno precedente, anche se poca non mi fa presagire nulla di buono. Proseguo per pochi metri sul sentiero principale, fino ad un bivio: trascuro il ramo di sinistra, diretto al Passo di San Nicolò, per prendere la strada di destra (segnavia cai 609), che attacca con ripidità il salto boscoso di fronte. Raggiunto in poco tempo la sommità, mi inoltro su di un nuovo, solitario ripiano pascolivo. Il luogo è veramente suggestivo, dominato da grigie pareti calcaree, ed invita alla contemplazione.

"A metà della salita mi fermo.
Mi ritornano ancora una volta alla mente le tue parole "... l’entusiasmo aumenta…forse oggi è la giornata buona…ma la strada è a ancora tanto lunga. Guardo sotto di me le serpentine appena superate".
Mi fermo anch'io ed osservo la strada già percorsa, la valle dove ho lasciato l'auto e....
.... il tempo sta peggiorando e da nord arriva una folata di vento forte e pungente che mi sferza il viso e mi gela le mani. Risalgo con fatica per traccia piuttosto ripida fino a sbucare presso un grande landro.


Il sentiero ora diviene più ripido e sale con stretti tornanti la spalla sud-est per portarsi verso la forcella "Paschè".
Per una scelta tecnica ho preferito fare il giro inverso rispetto a quello che tu avevi fatto in quell'estate di 4 anni fa.
Almeno nel ritorno, quando il tempo forse peggiorerà ancora, avrò un sentiero più facile con un punto di appoggio nel rifugio del Passo San Nicolò.

La neve caduta ieri mi facilità l'individuazione del percorso che dovrò fare per salire alla vetta la cui croce ora riesco ad intravvedere sulla cima più alta e più lontana.
Laggiù proprio davanti a me il canalone di terra e di ghiaietto che dovrò risalire…con il sentiero ben evidenziato dalla striscia bianca di neve.
L’importante è però, adesso, uscire da questa conca detritica in cui mi trovo per arrivare al più presto all’attacco del sentiero di vetta.
Mi affido agli “ometti di pietra”, quei piccoli cumuli di sassi ammonticchiati dagli escursionisti stessi per marcare la via.

Tra i sassi resti di legni, muri e fortificazioni austriache mi ricordano che questi sono stati luoghi di sofferenza e morte durante la Grande Guerra.

...continua