giovedì 30 dicembre 2010

Pensieri e Parole


Basta un colle, una vetta, una costa. 
Che fosse un luogo solitario e che i tuoi occhi risalendo si fermassero in cielo. 
L'incredibile spicco delle cose nell'aria oggi ancora tocca il cuore.
Io per me credo che un albero, 
un sasso profilati sul cielo, 
fossero dei,
fin dall'inizio.

Cesare Pavese (Gli Dei da I dialoghi con Leucò)


domenica 26 dicembre 2010

La neve e i ricordi


"La neve che in questi giorni è caduta abbondantemente 
ha cancellato i sentieri dei pastori, 
le aie dei carbonai, 
le trincee della Grande Guerra, 
le avventure dei cacciatori.
E sotto quella neve vivono i miei ricordi.
"

Mario Rigoni Stern

venerdì 24 dicembre 2010

Il colore del silenzio

"Era già l'ora che volge il disio ai navicanti
e 'ntenerisce il core
lo dì c'han detto ai dolci amici addio"

Dicono che il blu, da me preferito e profondamente amato tra tutti gli stati d'animo, sia il colore del silenzio.

Sono andato lontano da quel rumore che ogni giorno ci abita e sovrasta.

Sono andato lontano da quel continuo brusio per ritrovare quella parola che viene dal grembo del silenzio e che di esso si nutre.


Luis Lavelle diceva:
La parola più bella non spezza il silenzio, lo rende più sensibile.
La parola preceduta dal silenzio, l'esprime ed in esso ritorna.

Il silenzio è lo spazio che attraversano le parole, è in esso che risuonano".

 ..allora troverò conforto nei ricordi, lasciando al desio l'anima persa..

sabato 18 dicembre 2010

La luna su Cima d'Asta

C'è la luna, quasi piena, che sorge alle 14 e le previsioni danno tempo sereno con ottima visibilità.
Certo è previsto freddo polare, ma questa è un'occasione troppo ghiotta per lasciarmi sfuggire un tramonto nel Lagorai con la luna piena già alta.
Detto e fatto decidiamo di partire, meta Passo Cinque Croci in Val Campele.

Solo una traccia da seguire… a volte nemmeno quella… impronte di cervi, caprioli e lepri che si perdono nel fitto bosco innevato.
Abeti  che a fatica portano il peso della neve ghiacciata.
Neve neve neve.
Gli ultimi raggi di sole nell'Aia del Buso donano una luce armoniosa al Cengello, mentre il laghetto del Pian dei Gati assume la luminosità di un cristallo prima del gelo serale e notturno.

Ci fermiamo nei pressi della malga Conseria per un sorso di tè caldo, e poi via verso il Passo Cinque Croci.
Ci fermiamo un attimo per riprendere le forze dopo aver salito un canalino alquanto insidioso e mi giro verso la valle.
Il sole è tramontato ed ora espande i suoi colori sui contrafforti a nord dell'Altopiano di Asiago, mentre a destra le vette più elevate del Lagorai imbruniscono.

Neve neve e ancora neve.
Passo dopo passo sprofondiamo in questo magico e silenzioso mondo.
Silenzio interrotto solo dai rivoli d’acqua che gorgheggiano e si rincorrono sotto il ghiaccio e il manto di neve fresca caduta ieri.
Fa sempre più freddo, ora la morsa della neve e del ghiaccio si fa più serrata e ci costringe a rallentare il passo.
Ma oramai siamo in vista del Passo.
Sul tratto finale con il sole definitivamente tramontato la luce della luna si diffonde rendendo il paesaggio unico.

Bianco e solo bianco.. irreale.. è un posto che ho frequentato decine di volte, ma mai ero riuscito ad osservarlo con i colori del tramonto.
Siamo al Passo e come per incanto ci appare Cima d'Asta in una splendida veste rosa con la luna che occhieggia sopra la vetta.
Pochi minuti che scorrono veloci ma che ci permettono di imprimere nella nostra mente e nel nostro cuore queste immagini e il silenzio del "desio".


In questi tempi difficili non dobbiamo rinunciare all’unico lusso che ci è rimasto quello del cammino. Convinti che ci sia un solo modo per avere delle risposte: camminare.

I colori lentamente si spengono. 

E’ quasi notte.
Ora il freddo con il vento è così intenso che ci impedisce di rimanere, costringendoci a scendere in fretta per cercare un riparo.

Laggiù in basso, tra gli abeti intravvediamo la nostra meta: passo dopo passo c’avviciniamo al caldo del rifugio Carlettini.

...certi momenti lasciano una traccia indelebile nel nostro cuore creando in noi 
un paesaggio interiore, 
come una geografia dell'anima,
dove saranno per sempre evidenti le ombre
di chi ci ha camminato a fianco.
Ritorna a camminare in montagna con me, per perderci ancora tra i silenzi delle vette,
 ma anche ritrovarci una volta ancora. 
 
 

domenica 12 dicembre 2010

Gioie e malinconie del Natale nei ricordi di Mario Rigoni Stern

Riporto dal Messaggero Veneto del 24 dicembre 2005 questa bella intervista allo scrittore M. Rigoni Stern.

Ad Asiago, attorno alla casa dello scrittore Mario Rigoni Stern, il paesaggio è già natalizio.
Le montagne sono innevate, i pini alti, anch’essi coperti di neve, hanno qualcosa di lunare, mentre il silenzio che regna tutt'intorno sembra custodire il segreto della mistica gioia dell’attesa.
Con la sua folta barba bianca, lo scrittore, sempre disponibile e amabile come pochi nel discorrere e raccontarsi, ha qualcosa del Babbo Natale della leggenda che nella festa più bella dell’anno dispensa doni a tutti.

E i suoi ricordi, sempre pacati, venati dal filo sottile di una serena malinconia, sono davvero degli splendidi regali.

Com’erano i Natali della sua infanzia in montagna?

«Erano soprattutto gelati. Fuori c’era molto più freddo di adesso, le case erano meno riscaldate, ed eravamo vestiti con abiti modesti. Non c’erano i piumoni o i giubbotti imbottiti che i giovani oggi sfoggiano con molta eleganza. In compenso c’era tanta serenità e tanta gioia che ora non si trova più da nessuna parte».


Quali erano le tradizioni più seguite?

«In montagna, ben quindici giorni prima del Natale tutte le sere noi ragazzi si andava nelle strade del paese a cantare "la Stella". 
Poi andavamo nel bosco a raccogliere il muschio per fare il presepe. Era un modesto presepe perché c’erano poche statuine che erano per i ricchi; ma noi ragazzi poveri non ci perdevamo d’animo. Io e la maggior parte dei miei compagni, avevamo delle figurine ritagliate da un cartone stampato che si comprava dal cartolaio, e con queste facevamo il nostro presepio supplendo con la fantasia a ciò che ci mancava. 
Con il muschio, con le pietre, o piccole rocce, e delle felci riuscivamo a creare un paesaggio che imitava alla perfezione quello delle lontane terre dov’è nato Gesù. Per noi il piccolo spazio del presepe era davvero la terra del Signore, e le suggestioni che ne traevamo ci ripagavano di tutte le rinunce che la situazione delle nostre famiglie imponeva».


Il 24 dicembre andavate ad ascoltare la Messa di mezzanotte?

«A quei tempi da noi non c’era la messa di mezzanotte, ma la messa dell’alba. Era celebrata in una piccola chiesa intima e piena di poesia. La gente arrivava cantando dalle contrade attorno al paese, la neve crocchiava sotto le scarpe e una volta in chiesa si riprendeva a cantare.
Era un modo liturgico di esprimere la gioia del Natale, della serenità che c’era dentro ognuno di noi. Bastava poco allora per essere felici e in pace con se stessi. Finita la Messa si sciamava nelle case e nei bar a bere la cioccolata calda. 
E trovavi sempre qualcuno disposto ad offrirla agli altri. 
Era un altro modo di dare alla festa un tono di grande solidarietà.
Il Natale è festa d’amore e un dono, anche piccolo, era il segno di una partecipazione totale alle sensazioni che la festa suscitava nel cuore di ognuno».

Come sono adesso i suoi Natali?

«Sono feste di consumismo. 
Lo spirito del Natale è quasi scomparsi negli ultimi anni, e più che una festa intima della famiglia o di memorie è una festa di regali anche costosi, di apparenze sfrenate. 
Io però, non mi lascio coinvolgere. 
Trascorro a casa, in famiglia, tutte le feste in modo molto tranquillo e vado sempre a dormire alla stessa ora. Per il giorno di Santo Stefano ci si ritrova insieme a parenti ed amici per restituire alle feste natalizie tutto il loro messaggio cristiano. 
Ma nulla è più come una volta. Anche il suono delle campane sembra diverso: si confonde, scompare quasi in un mondo dove i frastuoni sono troppi, c’è troppo rumore».


Perché nei Natali dei nostri tempi la poesia sembra latitante?
Cosa bisognerebbe fare per recuperare la sua vera atmosfera spirituale?

«Bisognerebbe spegnere le luci delle vetrine e delle illuminazioni pubbliche e di notte guardare la luna e le stelle in silenzio. Abbiamo necessità di riflettere, di fare un po’ il bilancio di questa nostra civiltà che ha perso molta della sua umanità e della capacità di solidarietà fra le persone a causa dell’egoismo e della mancanza di comunicazione.
E poi mi sembra che la ricchezza non sia così generalizzata come pure la crisi in atto non colpisce in modo uguale le persone. 
Così, un certo benessere un po’ troppo esibito, le apparenze di gente felice ricca e perennemente in festa, hanno modificato quelli che sono i sentimenti e i valori dell’uomo di oggi.
E il Natale della Bibbia con la sua storia fatta di povertà, di fuga, di persecuzione, di egoismo interessa poco oramai alle persone dedite solamente alla difesa dei propri interessi economici e privati».

sabato 4 dicembre 2010

La montagna è fatta per tutti, non solo per gli alpinisti

La montagna è fatta per tutti, non solo per gli alpinisti: per coloro che desiderano riposo nella quiete come per coloro che cercano nella fatica un riposo ancora più forte.”
Guido Rey



Grazie montagna per avermi dato lezioni di vita, perché faticando ho appreso a gustare il riposo, perché sudando ho imparato ad apprezzare un sorso di acqua fresca. 
Perché in vetta seppur affaticato e stanco ho potuto ammirare la meraviglia del panorama, la libertà di un volo di uccelli, e respirare il profumo del cielo (e il divino).

Perché solo, immerso nel tuo silenzio, mi sono visto allo specchio e spaventato ho ammesso il mio bisogno di verità e amore. 
Perché soffrendo ho assaporato la gioia della vetta percependo che le cose vere, quelle che portano alla felicità, si ottengono solo con fatica. 
E chi non sa soffrire, mai potrà capire.
Battistino Bonali

domenica 28 novembre 2010

La semantica dell'alpinismo: ...seconda parte

Naturalmente c'è anche il  'piacere'  fisico dell’alpinismo.

Mano a mano che saliamo una montagna diventiamo profondamente consapevoli del nostro corpo.
Sentiamo di avere braccia e gambe doloranti e il respiro troppo debole rispetto alla fatica che stiamo facendo.
E tutte le cellule sembrano elemosinare più ossigeno di quanto riusciamo a dare.
E poi abbiamo la precisa sensazione di riuscire a trasformare il cibo in carburante. Un pezzo di cioccolato, o un mix sapientemente equilibrato di frutta secca, dopo ore di salita continua, si manifesta immediatamente come pura energia.
E ti fa capire quanto sia diretta la connessione tra il cibo e il nostro corpo.

Tutti i sensi si acuiscono ma soprattutto i sapori ed il gusto diventano esplosivi; così tutto diventa delizioso o rivoltante.

A sostenere questa attività estesa che permette al nostro corpo un cambiamento inaspettato, questo sforzo continuo che sembra non finire mai, c'è il silenzio surreale della nostra mente che, liberata dai mille pensieri quotidiani, sorregge e dirige il nostro corpo trasformando la fatica in adrenalina attraverso una rinnovata volontà che si impone alla fatica, alla paura, alla voce dell’istinto umano di prudenza e di conservazione..

Perché saliamo ?

Vi è la risposta ovvia che fa riferimento alla selvaggia bellezza della natura e dei panorami che si aprono di fronte a noi, alla possibilità di metterci alla prova - e in un certo verso, di vivere un'avventura .
Ma meno ovvi sono sicuramente gli aspetti meditativi e fisici: la pura, penetrante consapevolezza e la gioia di sentirci vivi in ogni passo che facciamo verso il nostro obiettivo.

Così scrive R. Solnit: "Il ritmo del passo genera una specie di ritmo del pensiero, e il tragitto attraverso un paesaggio echeggia o stimola il tragitto attraverso un corso di pensieri. Il che crea tra percorso interno e percorso esterno una strana consonanza che suggerisce come la mente sia essa stessa un paesaggio di generi e che il camminare sia un mezzo per attraversarlo."

Ma non si può restare sempre in vetta, bisogna ridiscendere…
A che pro, allora? .....si chiede lo scrittore filosofo R. Daumal.

Ecco: "....l’alto conosce il basso, il basso non conosce l’alto […]
Si sale, si vede.
Si ridiscende, non si vede più; ma si è visto.
Esiste un’arte di dirigersi nelle regioni basse per mezzo del ricordo di quello che si è visto quando si era più in alto.
Quando non è più possibile vedere, almeno è possibile sapere
."


Se riusciamo a portare con noi, quando scendiamo, anche una sola scheggia di quel sentimento e di quella conoscenza che abbiamo avvertito in vetta e applicarlo alla vita di ogni giorno, allora questa, anche e solamente da sola, è una ragione sufficiente per salire ancora in alto.

Namasté

mercoledì 24 novembre 2010

La semantica dell'alpinismo; ovvero la funzione meditativa del camminare

Posso solo meditare quando sto camminando. 
Quando mi fermo, la mia mente smette di pensare, 
la mia mente funziona solo con le mie gambe”'.
Jean-Jacques Rousseau



Ho fatto un bellissimo sogno!

Mi trovavo al Santuario dell'Annapurna a quota 4.250 mt, il Campo Base (ABC) del primo degli ottomila himalayani scalati dall'uomo.
Il Santuario dell’Annapurna è stato così battezzato dai primi alpinisti francesi che nel 1950 hanno scalato questa montagna: in realtà non è un santuario religioso bensì uno degli anfiteatri di montagne più mozzafiato, affascinante e grandioso del mondo.

Per molti, compresi i miei compagni di questa spedizione, il campo base è un punto di partenza, un rifugio per raccogliere le forze prima della vera salita.
Per me, in questo viaggio, il campo base è la destinazione.

Dopo quattro giorni il mio corpo ha finalmente accettato la quota e si è acclimatato. Ogni giorno richiede quattro-sei ore di cammino per trasportare ogni volta un carico, necessario alla spedizione, di materiale vario fino al campo base.
Al crepuscolo, dopo aver mangiato, circondato da bandiere di preghiera buddista e cumuli di roccia leggo fino a quando riesco a tenere gli occhi aperti.

Ed è in questo luogo, che per molti è solamente di passaggio, una tappa intermedia, che ho compreso come l’alpinismo e il trekking, siano un esercizio di meditazione. Da qualche tempo ho realizzato questo concetto ed è per questo che sono così affascinato da questo tipo di attività.

Per "meditazione" intendo un luogo di silenzio spazio-temporale che consente di lasciare fluire liberamente pensieri ed immagini nella mente come l'acqua di un fiume.
Questo fino a quando si avverte un vuoto nella mente che permette di prendere in considerazione soluzioni a problemi importanti o meno, o solamente di rilassarsi completamente.
In questi ultimi anni sento sempre di più il bisogno di questo spazio a intervalli regolari. E mi sto accorgendo anche che non sono l'unico che sente questo legame tra movimento e pensiero.

C'è un ritmo per la salita alpinistica, quanto per il camminare. E una volta trovato il proprio, questo ritmo - dopo un giorno o due - riesce a svuotare la mente. Tutti gli impegni sociali o quelli relativi al lavoro o agli amici, insomma alla vita che abbiamo lasciato nel momento in cui abbiamo iniziato il trekking, sono muti.
Non se ne sono andati, non sono spariti: solo non richiedono più una attenzione diretta e costante della nostra mente.

Ed è in questo momento che ci accorgiamo del silenzio che c'è dentro e fuori di noi.
E' come se ogni giorno della nostra vita quaggiù fosse pieno di un rumore bianco.
E all'improvviso, mentre saliamo queste montagne incredibili, il rumore si dissolve.
Per questo mentre camminiamo verso la vetta ci rendiamo conto di essere soli; certo condividiamo il cammino, la fatica e il fascino della cima con una compagna/o o amici  ma lassù saremo sempre soli con noi stessi, con il silenzio della nostra anima che finalmente si è sintonizzato con quello della montagna ad un passo dal cielo.



E coloro che l'hanno provato ci raccontano della bellezza sconvolgente di questo silenzio.....
to be continued

domenica 21 novembre 2010

La luna al Passo


Pervasa da infinita tenerezza,
ma fingendo di non sapere quanto le stelle patissero la sua assenza,
pur consapevoli del suo ritorno,
la luna continuò ad occhieggiare
facendo finta che fossero circostanze casuali
quelle che in sua presenza
rispondevano accordando armonie profonde e
promettendo cieli luminosi.


domenica 14 novembre 2010

A morte la minestra

È forse il piatto che abbiamo meno amato quando eravamo bambini, spesso costretti a mangiarla controvoglia.
Odiata da Leopardi, Palazzeschi e Mafalda, è stata a lungo simbolo di ricchezza e benessere.

Alzi la mano chi, bambino, non ha, almeno una volta, storto il naso di fronte ad un piatto di zuppa fumante! Senza arrivare agli eccessi di Mafalda che correva a lavarsi i denti se solo metteva in bocca un cucchiaio di minestra, ognuno di noi, fin da bambino, ha sempre preferito un bel piatto di pastasciutta, al posto della solita zuppa!
Mi ricordo che all'età di sei anni avevo già imparato ad odiare  profondamente la minestra.
Tutte le minestre, ... ma sopra tutte quella dei tortellini in brodo che sistematicamente ogni domenica faceva capolino sulla nostra tavola. E non era possibile saltare al secondo adducendo mille scuse. “Devi mangiare la minestra. Quando avrai mangiato almeno qualche cucchiaio di brodo”, che poi sistematicamente significava tutto il piatto. Erano queste le frasi ripetute da mia madre coronate da un “tutta” che finiva per esasperare la mia ribellione a quel piatto.

Come non ricordare che molta letteratura e pittura classica è intrisa di minestre e zuppe: restano impressi i dipinti di Pablo Picasso (La minestra e Le Gourmet nelle due foto a lato), mentre perfino Giacomo Leopardi disprezzava a tal punto la zuppa da dedicar loro l’ode “A morte la minestra”, in cui arrivava a scrivere: “Ora tu sei, Minestra, dei versi miei l’oggetto, e dirti abominevole mi porta gran diletto“.

Il cinema, per non essere da meno, ha dedicato a zuppe e minestre metri di pellicola.
Chi non ricorda la zuppa di porri turchina preparata da Bridget Jones per Mark?
O la zuppa di farro che il gladiatore Ridley Scott mangiava prima di entrare nell'arena del Colosseo per il combattimento?

Ma la minestra non sempre ha avuto questa accezione negativa. Nell’infanzia dei miei genitori era simbolo di ricchezza e lusso: permetteva, una volta tanto, di abbandonare la poenta e renga, o la poenta e latte o ancora la poenta e… poenta, per un piatto più ricco e "da signori".

Insomma, minestre e zuppe, da sempre, hanno riempito non solo i ricettari di cucina ma anche la letteratura e la storia.
Ma, nonostante tutti gli sforzi che noi adulti facciamo, minestre e zuppe rimarranno sempre il terrore dei bambini.

mercoledì 3 novembre 2010

Baruntse: niente vetta, gli italiani rientrano

leggiamo e riportiamo dal sito   montagna.tv :


KATHMANDU, Nepal – Una spedizione italiana la settimana scorsa ha tentato di salire in vetta al Baruntse, il picco himalayano di 7.129 metri. Il gruppo è composto di 6 alpinisti di cui due hanno provato la cima pochi giorni fa: sono Davide Chiesa e Massimo Rabito, che hanno dovuto rinunciare per le condizioni della montagna e per lo stato di salute non ottimale.

Erano proprio al campo base quando si è verificato l’incidente che ha causato la morte di Nima Sherpa, uno dei più celebri alpinisti nepalesi. Nei giorni successivi hanno continuato l’acclimatamento, salendo ai campi alti. Infine a metà della settimana scorsa, Chiesa e Rabito, accompagnati dal loro sherpa, hanno tentato la vetta, decidendo però di rinunciare e tornare indietro.

“Max, Pemba ed io siamo scesi dai campi alti – ha comunicato Chiesa tramite satellitare -. Vento fortissimo. Neve in cresta non trasformata, delle 25 spedizioni presenti nessuna è salita in vetta.
Il Baruntse non vuole nessuno, ed il mio corpo non vuole me.
Nonostante il mio lottare, mi ha abbandonato, ho la febbre e non riesco a recuperare.
Al campo base fa molto freddo tutto il giorno.
Tutti i compagni delle spedizione si sono ammalati, tranne Max e nessuno riesce a recuperare.
Il primo di novembre arrivano i portatori e il 2 inizia il rientro”

lunedì 25 ottobre 2010

Baruntse: Nima Sherpa travolto da una valanga


L'essenza dell'alpinismo consiste nella conquista metro per metro della propria vita. La vita realmente vissuta è solo quella conquistata.”
Ettore Castiglioni


KATHMANDU, Nepal — E’ allarme, in Himalaya, per la scomparsa di Nima Sherpa, uno dei più celebri alpinisti nepalesi: aveva salito 19 volte l’Everest e l’anno prossimo voleva battere il record di Apa Sherpa, che l’ha salito 20 volte. E’ scomparso sul Baruntse, in una tremenda valanga che ha investito la parete Nord della montagna.

Secondo quanto riferito dalla stampa locale, Nima Sherpa stava fissando delle corde fisse sulla parete nord del Baruntse (7.129 metri)

Sabato si trovava a circa 7000 metri, per aprire e assicurare la via, quando l’enorme valanga si è staccata e di lui si sono perse le tracce.
Con lui c’era un altro sherpa, Nyima Gyaljen, che fortunatamente si è salvato perchè stava lavorando alle fisse 100 metri sotto Nima Sherpa: è stato lui ad allertare immediatamente il campo base chiedendo soccorsi.



Chhewang Nima Sherp, questo il nome completo dell’uomo, ha 43 anni ed era una delle guide più esperte del Nepal.

domenica 24 ottobre 2010

Campo Base

l'ultima comunicazione che Davide Chiesa è stata la seguente:



" Siamo al campo base a 5.300 metri.
Abbiamo montato le tende,e la temperatura dentro la tenda è di -10 gradi.
Purtroppo nessuna spedizione al momento è riuscita a salire a causa della neve,nei giorni scorsi è continuato a nevicare.
Alcuni gruppi hanno addirittura abbandonato il campo. 




Stiamo collaborando con una spedizione di francese e di inglesi.
Ieri siamo rimasti molto scossi perché lo sherpa di una spedizione Usa è precipitato sotto la vetta mentre stava attrezzando la via, per una probabile caduta di una cornice. 


Il suo nome era CHEWONG NIMA di 41 anni, uomo di notevole esperienza dal momento che aveva salito l'Everest 19 volte.
 

Domani saliamo al campo 1 e poi scendiamo.
Non so se azzarderò la vetta sia per il mal di testa che mi accompagna sempre, sia per le pessime condizioni della cresta.
Saluti
"

sabato 23 ottobre 2010

Mera Peak....

 Purtroppo non riesco a comunicare con loro attraverso il telefono satellitare perché si attiva subito la segreteria telefonica, posso comunque confermarvi che ci sono.
Secondo il piano prestabilito avrebbero dovuto fare il Mera Peak (6.476 mt)in questi giorni e poi iniziare l'avvicinamento al campo Base del Baruntse che si trova nella parte superiore del bacino nei pressi dei laghi a Panch Pokari..

Le previsioni meteo mettono un miglioramento a partire da domani, in questi giorni succedeva un po di tutto dal sole alla neve, ma per sabato e domenica mettevano sole e nuvole, in compenso diminuiva la temperatura (-20/-25) ed aumentava il vento ... per ora è tutto.




Ultimo aggiornamento:
Sono riusciti a salire il Mera Peak ed ora si stanno avvicinando al Baruntse.
un saluto.