domenica 12 dicembre 2010

Gioie e malinconie del Natale nei ricordi di Mario Rigoni Stern

Riporto dal Messaggero Veneto del 24 dicembre 2005 questa bella intervista allo scrittore M. Rigoni Stern.

Ad Asiago, attorno alla casa dello scrittore Mario Rigoni Stern, il paesaggio è già natalizio.
Le montagne sono innevate, i pini alti, anch’essi coperti di neve, hanno qualcosa di lunare, mentre il silenzio che regna tutt'intorno sembra custodire il segreto della mistica gioia dell’attesa.
Con la sua folta barba bianca, lo scrittore, sempre disponibile e amabile come pochi nel discorrere e raccontarsi, ha qualcosa del Babbo Natale della leggenda che nella festa più bella dell’anno dispensa doni a tutti.

E i suoi ricordi, sempre pacati, venati dal filo sottile di una serena malinconia, sono davvero degli splendidi regali.

Com’erano i Natali della sua infanzia in montagna?

«Erano soprattutto gelati. Fuori c’era molto più freddo di adesso, le case erano meno riscaldate, ed eravamo vestiti con abiti modesti. Non c’erano i piumoni o i giubbotti imbottiti che i giovani oggi sfoggiano con molta eleganza. In compenso c’era tanta serenità e tanta gioia che ora non si trova più da nessuna parte».


Quali erano le tradizioni più seguite?

«In montagna, ben quindici giorni prima del Natale tutte le sere noi ragazzi si andava nelle strade del paese a cantare "la Stella". 
Poi andavamo nel bosco a raccogliere il muschio per fare il presepe. Era un modesto presepe perché c’erano poche statuine che erano per i ricchi; ma noi ragazzi poveri non ci perdevamo d’animo. Io e la maggior parte dei miei compagni, avevamo delle figurine ritagliate da un cartone stampato che si comprava dal cartolaio, e con queste facevamo il nostro presepio supplendo con la fantasia a ciò che ci mancava. 
Con il muschio, con le pietre, o piccole rocce, e delle felci riuscivamo a creare un paesaggio che imitava alla perfezione quello delle lontane terre dov’è nato Gesù. Per noi il piccolo spazio del presepe era davvero la terra del Signore, e le suggestioni che ne traevamo ci ripagavano di tutte le rinunce che la situazione delle nostre famiglie imponeva».


Il 24 dicembre andavate ad ascoltare la Messa di mezzanotte?

«A quei tempi da noi non c’era la messa di mezzanotte, ma la messa dell’alba. Era celebrata in una piccola chiesa intima e piena di poesia. La gente arrivava cantando dalle contrade attorno al paese, la neve crocchiava sotto le scarpe e una volta in chiesa si riprendeva a cantare.
Era un modo liturgico di esprimere la gioia del Natale, della serenità che c’era dentro ognuno di noi. Bastava poco allora per essere felici e in pace con se stessi. Finita la Messa si sciamava nelle case e nei bar a bere la cioccolata calda. 
E trovavi sempre qualcuno disposto ad offrirla agli altri. 
Era un altro modo di dare alla festa un tono di grande solidarietà.
Il Natale è festa d’amore e un dono, anche piccolo, era il segno di una partecipazione totale alle sensazioni che la festa suscitava nel cuore di ognuno».

Come sono adesso i suoi Natali?

«Sono feste di consumismo. 
Lo spirito del Natale è quasi scomparsi negli ultimi anni, e più che una festa intima della famiglia o di memorie è una festa di regali anche costosi, di apparenze sfrenate. 
Io però, non mi lascio coinvolgere. 
Trascorro a casa, in famiglia, tutte le feste in modo molto tranquillo e vado sempre a dormire alla stessa ora. Per il giorno di Santo Stefano ci si ritrova insieme a parenti ed amici per restituire alle feste natalizie tutto il loro messaggio cristiano. 
Ma nulla è più come una volta. Anche il suono delle campane sembra diverso: si confonde, scompare quasi in un mondo dove i frastuoni sono troppi, c’è troppo rumore».


Perché nei Natali dei nostri tempi la poesia sembra latitante?
Cosa bisognerebbe fare per recuperare la sua vera atmosfera spirituale?

«Bisognerebbe spegnere le luci delle vetrine e delle illuminazioni pubbliche e di notte guardare la luna e le stelle in silenzio. Abbiamo necessità di riflettere, di fare un po’ il bilancio di questa nostra civiltà che ha perso molta della sua umanità e della capacità di solidarietà fra le persone a causa dell’egoismo e della mancanza di comunicazione.
E poi mi sembra che la ricchezza non sia così generalizzata come pure la crisi in atto non colpisce in modo uguale le persone. 
Così, un certo benessere un po’ troppo esibito, le apparenze di gente felice ricca e perennemente in festa, hanno modificato quelli che sono i sentimenti e i valori dell’uomo di oggi.
E il Natale della Bibbia con la sua storia fatta di povertà, di fuga, di persecuzione, di egoismo interessa poco oramai alle persone dedite solamente alla difesa dei propri interessi economici e privati».

Nessun commento: