lunedì 21 febbraio 2011

Il sogno di Inception

Ieri sera mi sono riservato la serata per vedere in Blu-Ray “Inception”, armato di non poche aspettative dato che questo film è stato scritto, prodotto e diretto da Christopher Nolan, regista di lungometraggi come “Il Cavaliere Oscuro”, o “The Prestige”.

Nolan affronta in questo film le dinamiche della psiche nello stato di sonno con la competenza di un esploratore dotato di mappe sconosciute ai più ma anche con la consapevolezza di chi è altrettanto a conoscenza delle alchimie più segrete della macchina-cinema i cui elementi sa distillare con sapienza, cercando anche di evitare il più possibile il ricorso agli effetti speciali.

Ed è proprio il fatto che tutti gli effetti siano (almeno nella loro base fondamentale) costruiti "in studio" e solo successivamente amplificati con effetti digitali può diventare una delle chiavi di lettura del film.
Inoltre, in una intervista Nolan afferma di essere affascinato da quella incapacità di distinguere tra apparenza e realtà che è propria di ogni essere umano quando, nel sonno, crea mondi tanto inesistenti quanto assolutamente ‘reali', come sa fare un grande cinema. Proprio per questo in alcune sequenze vediamo la squadra di Cobb visionare le "location" del nuovo sogno come farebbe un regista con la propria squadra.

Il finale che sembra a tutti l'epilogo reale di tutta la trama filmica risulta  probabilmente essere un sogno proprio per la modalità “sognante” con cui è girato e montato (dal momento in cui Cobb si sveglia sull’aereo fino al momento in cui lui stesso torna a casa e trova i suoi bambini nella posizione esatta e con esattamente gli stessi vestiti con cui lui continuava a ricordarli).
A prescindere dalla caduta o meno della trottola, Cobb sta sognando.

Il punto è che Cobb proprio attraverso il suo sogno trova finalmente la sua catarsi: il poter finalmente guardare in faccia i propri figli, liberato dal senso di colpa per la morte  (???) di Mal.

Molto nel film gira intorno a questi due temi, elementi fondamentali per noi spettatori che siamo chiamati a condividere il sogno (film) e che possono essere utilizzati per capire se siamo nel sogno o nella realtà.
Il Totem di Cobb è una trottola, che gira all’infinito quando è addormentato, e il fatto che la trottola smetta di girare in molti punti nel film è visto da molti come il segno che Cobb sia sveglio durante quelle scene.

Il problema però è che la trottola non è il totem di Cobb: lui l’ha presa da sua moglie, che si è uccisa perché credeva che Lui la tenesse ancora legata ad un sogno, che fosse Cobb a non volere più ritornare alla vita normale.


Ed è il dramma della coppia a rendere il secondo elemento  ancora più incongruente.
Poiché c’è più di una lieve possibilità che lei abbia ragione. Si noti infatti che quando Cobb ricorda il suo suicidio lei si trova, stranamente, seduta sul cornicione dalla parte opposta della strada rispetto alla camera che avevano affittato.
Si potrebbe pensare che Mal semplicemente abbia affittato un’altra stanza dall’altra parte della strada, ma la nozione più realistica è che lui si trovi in un sogno, con il dislivello fra i due che funge da metafora della situazione che si è creata tra di loro.

Quando Mal salta lascia la trottola nel mondo dietro di sé, e se avesse avuto ragione sul fatto che il mondo era tutto un sogno, il fatto che questa girasse o meno sarebbe stato insignificante.
E’ un costrutto da sogno in ogni caso.
Non c’è alcun modo per utilizzare la trottola come prova di realtà.
Questo significa che Lei è ancora viva e cerca di convincere Cobb a ritornare alla vita reale.
Ma Cobb è uno psicopatico che non riesce più a distinguere tra il mondo dei sogni e la vita reale, non riesce più a capire che sua moglie è ancora viva e che è morta solamente in uno dei suoi sogni onirici.


Infatti ad un certo punto del film Cobb lo dice a se stesso, attraverso la voce di Mal, che è la proiezione del suo subconscio. Lei gli chiede quanto lui pensi che questo suo mondo sia reale, dato che è stato inseguito per ogni dove da buffoni senza un volto.

E ancora, durante l’inseguimento a Mombasa, Cobb prova a scappare lungo un vicolo, e i due edifici tra i quali sta correndo si stringono sempre più verso di lui: un classico momento di ansia tipica del sogno. Quando finalmente Cobb si libera, trova il personaggio di Ken Watanabe che lo aspetta, contro ad ogni logica.
A parte la logica del sogno.

Guardando il film da questa ottica è possibile vedere svelata chiaramente la logica del sogno. Come viene detto nel film, i sogni, nel momento stesso in cui li vivi, sembrano veri e solo quando sei sveglio le cose sembrano strane. Le sequenze “reali” del film sono così riempite con momenti (come quelli di cui abbiamo parlato sopra) che, retrospettivamente, sembrano strani o improbabili o inspiegabili.
Anche le basi alla tecnologia del sogno condiviso sono incredibilmente vaghe, e non credo sia solo perché il regista volesse semplificare le cose .

È solo perché la mente inconscia di Cobb inserisce elementi riempitivi a poco a poco.
Quindi tutto il film non sembra che essere nient'altro che il sogno psicotico di Cobb che intreccia proiezioni mentali del suo subconscio e costruzioni oniriche proiettandoli all'interno di un sogno continuo da cui non riesce più ad uscire.

Allora forse vale davvero la pena notare che se si accetta che l’intero film sia un sogno Mal potrebbe non essere morta.
Potrebbe semplicemente aver lasciato Cobb a causa della malattia che si faceva sempre più grave (psicosi). La sofferenza che lui sta serbando nel profondo della sua mente non è meno reale sia che sia viva sia che sia morta;  lui l’avrebbe comunque persa.
E come Cobb che, sognando Fisher che attraverso il sogno (l'incontro con suo Padre nella fortezza) raggiunge la catarsi e il cambiamento, va incontro alla propria catarsi liberandosi dal senso di colpa, così noi siamo proiettati alla catarsi finale che ci aiuta a capire che per tutto il film eravamo dentro il sogno di Cobb.

* Alcuni spunti e riflessioni sono tratte da On Writing

lunedì 14 febbraio 2011

L'ora Blu

Si dice che l'ora blu sia quel particolare momento crepuscolare della giornata in cui c'è troppa poca luce per essere giorno e troppo poco buio per essere notte.
Il termine, proveniente da un'espressione francese (l'heure bleue), è una frase poetica che indica il crepuscolo nel particolare momento della giornata che intercorre tra la luce e l'oscurità.

Questo evento, che avviene solamente dopo che il sole è tramontato, viene considerato speciale per la particolarità cromatica della luce del cielo che assume una tonalità blu che riesce a dare tridimensionalità ai soggetti fotografati mentre i tempi lunghi di esposizione rendono i colori saturi.
Questo è un momento molto particolare anche perché il mondo sembra farsi immobile, rendendo così possibile ascoltare il silenzio.


Questa  è l'ora in cui c'è ancora troppa luce per accendere una lampada.L'ora in cui c'è già troppo buio per continuare a leggere. Così restiamo immobili, con il libro aperto, le pagine bianche e chiare, illeggibili.
Pensiamo.
Sogniamo........
....perché questo è il momento del giorno dove tutti i sogni sono possibili.
E dentro di noi si apre lo spazio infinito dei ricordi.

mercoledì 9 febbraio 2011

Trekking del Cristo Pensante

Ho un appuntamento rimandato un mese fa al Passo Rolle: obiettivo la salita al Castellazzo, o meglio conosciuto come Trekking del Cristo Pensante. So di certo che non c’è molta neve, presumo meno di un metro, e spero anche che la pista sia battuta, visto che da è da un pò che non piove o nevica e con il bel tempo sono certo che molti sono passati in escursione.
Visto che siamo in anticipo, parcheggiamo alla Malga Rolle per allungare leggermente l'escursione, e per evitare, almeno nella parte iniziale la fila di persone che salgono dal Passo. La pista è comunque battuta e così faccio il primo errore: quello di non portare con me le ciaspe.

Avanziamo verso la malga Costoncella, che lasciamo alla nostra sinistra per affrontare la dorsale che ci porta con facilità agli impianti di risalita del Costazza e con breve risalita al Rifugio Capanna Cervino.

E qui avviene il secondo errore perché diamo ascolto alla ragazza del rifugio che ci dice che, a causa di una prova di allenamento che si sta svolgendo sulla pista nord, non ci farebbero passare per il tracciato estivo del sentiero. L'unica possibilità, secondo Lei è quella di aggirare il Costazza a est passando per la Baita Segantini.

Il problema si presenta una volta raggiunta la Baita. L'unica pista battuta è quella che scende verso la Val Venegia. Del sentiero estivo R01 che dovrebbe condurci ai piedi del pendio nord del Castellazzo non c'è alcuna traccia. Così dobbiamo battere pista ed io, senza le ciaspe, affondo e annaspo ad ogni passo.

Impieghiamo quasi due ore per compiere tutto il giro e riportarci all'incrocio con il sentiero diretto che sale dalla Capanna Cervino.
Sono stanco e sfinito e non me la sento proprio di intraprendere la salita, che nell'ultimo tratto è discretamente ripida, che porta alla croce di vetta dove due anni fa è stata deposta la statua del Cristo Pensante.

Così a malincuore lascio ripartire gli amici per la salita ed io provo a scendere per la diretta verso la Capanna Cervino. Vedo la pista preparata per l'allenamento ma nessuno mi ferma mentre attraverso la pista, e così in dieci minuti circa sono al Rifugio.
L'ascensione al Cristo Pensante è nuovamente rimandata.

nota
Il percorso che conduce alla vetta del Monte Castellazzo è stato battezzato come Trekking del Cristo Pensante delle Dolomiti in virtù del posizionamento di una statua marmorea che raffigura il Cristo Pensante sulla cima a fianco di una grande croce di ferro. L’iniziativa è maturata grazie all’impegno di diverse persone che hanno voluto realizzare un itinerario che si snodasse in un contesto ambientale capace di destare uno spirito meditativo nell’escursionista.

Se da una parte è vero che il cammino alla cima si svolge in un contesto ambientale magnifico, capace effettivamente di evocare riflessione, dall’altra bisogna anche dire che nei periodi di maggior concentrazione turistica estiva lungo il tracciato si respira più un'aria dal sapore “commerciale” piuttosto che meditativa vista la mole di persone che si incontrano lungo il cammino.

Per questo motivo, se si vuole effettivamente assaporare nel silenzio il panorama offerto dalla cima e riscoprire il significato spirituale e meditativo della salita, si consiglia di evitare i periodi estivi caratterizzati dalla ressa.

La vetta è un vero e proprio balcone con vista privilegiata sul settore nord del Gruppo delle Pale di San Martino.
Le bellissime pareti ovest e nord delle cime Mulaz, Bureloni, Vezzana e Cimon della Pala si mostrano in tutta la loro imponenza, in particolare nel pomeriggio quando sono illuminate dal sole. Grandi vedute si godono anche sul Gruppo del Lagorai (a sud) e sulla catena di Cima Bocche (a nord).


* le foto 2, 7, 8, 9, 10 e 11 sono pubblicate per gentile concessione di Claudio G.

martedì 8 febbraio 2011

Lentamente muore ....

"Lentamente muore chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore davanti all’errore e ai sentimenti.


Muore lentamente chi non capovolge il tavolo,
chi è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. 


Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio e non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante."

Pablo Neruda

lunedì 7 febbraio 2011

Monte Coppolo

A cavallo tra Veneto e Trentino, sospeso a 900 metri sulla sinistra orografica della Valsugana, l'altopiano del Tesino sembra un'isola piatta circondata da rilievi montuosi.
E come un'isola ha saputo conservare nel tempo tradizioni che si perdono nelle antiche memorie dei primi viaggiatori.
Questi luoghi sono conosciuti fin dai primi anni dell'Impero Romano, perché tra questi boschi passava la Via Claudia Augusta Altinate, importante collegamento tra la laguna veneta e le regioni danubiane.
D'estate è stupendo perdersi per ore tra i lariceti e le abetaie che si arrampicano sulla roccia grigia dei Lagorai, la più selvaggia catena montuosa dell'arco alpino, dove l'antropizzazione è ancora una piccola minoranza in un ambiente naturale selvaggio e primitivo, di rara bellezza.

Ma è durante la stagione invernale che l'altopiano rivela i suoi tesori: scorci e paesaggi straordinari, in tutto e per tutto simili ai panorami estremi delle regioni artiche, che trasformano questo angolo di Alpi in una piccola Alaska.
E una volta saliti dall'altopiano del Tesino verso il Passo Brocon che permette il transito verso la valle del Vanoi e da questa al Primiero, è inevitabile avvertire il desiderio di scoprire, a piedi con le racchette da neve, qualcuno dei sentieri che, seguendo crinali sempre dolci, consentono di godere senza sforzi eccessivi di questo magnifico ambiente alpino.

L’area di Passo Brocon, di indubbio valore naturalistico (il toponimo infatti deriva dalla pianta dell'erica carnea, volgarmente chiamata “Brocon”), con i suoi pascoli aperti e le sue malghe in ambiente forestale d’alta quota, si presenta d’inverno con un punto panoramico straordinario:monte Coppolo


Da notare che il Coppolo è un massiccio calcareo isolato che geologicamente non ha nulla a che fare con il Lagorai.
Poiché proprio il passo è interessato dalla grande faglia strutturale della Valsugana, che separa le strutture calcaree prealpine (Asiago e Grappa) e le retrostanti Coppolo e Vette Feltrine, dall'area dolomitica, interessata nel settore sud-ovest dalla vasta inclusione porfirica del Lagorai e granitica di Cima d'Asta.

Dal Passo si segue la traccia battuta tracciata a fianco di quella della pista da fondo verso la malga Arpaco. L'orientamento non pone problemi, il Coppolo è ben visibile a sud del passo Brocon e la montagna è apparentemente a portata di mano senza difficoltà.

Prima di raggiungere la malga si gira a destra verso Valarica e la casetta della forestale che si appoggiano sull'ampio costone della dorsale.

Ora dobbiamo affrontare una ripida rampa che ci porta con due strappi impegnativi alla piramidale cima dalla quale si gode di un panorama a 360°.