sabato 28 maggio 2011

Ricordi d'estate

Quando eravamo bambini l’arrivo dell’estate era un momento veramente speciale, rispettava più o meno la data del solstizio e poi preannunciava una stagione dall’andamento prevedibile e regolare.
Gli abitini senza maniche o i calzoni corti si indossavano quasi sempre ad anno scolastico ultimato e, animati dal desiderio di libertà e dalla gioia di essere in vacanza, ci si radunava spesso in gruppi per lasciare le poco frequentate strade di paese alla volta delle vallette di collina o dei prati di campagna.

Il territorio di allora era molto meno industrializzato e la sua pianura ci appariva come un’immensa pagina suddivisa in quadretti colorati con le più svariate tonalità che potevano andare del marrone al verde per finire con il colore dell'oro.

Il primo indicava semplicemente la presenza della nuda terra, il verde stava per i filari dei gelsi e le coltivazioni di granoturco, di vite, o di erba medica. Il giallo, o per meglio dire l’oro, testimoniava la presenza di piante di orzo o di grano.

Di esso spiavamo la crescita già da alcuni mesi, ma era a giugno che si restava affascinati dalla bellezza estiva del campo di grano maturo nel suo ondeggiare, con la sua immensa distesa di spighe bionde e dorate.
E allora diventa impossibile non riandare con il pensiero alle macchie rosso acceso dei papaveri e quelle celesti dei fiordalisi.
Il ricordo di quel campo di grano sembra ora appartenere ad un tempo piuttosto lontano, quando erano diversi anche gli uomini e le cose.
I campi apparivano meno perfetti, non così sacrificati tra orribili sagome di capannoni e nastri di asfalto.

Le macchie cromatiche della fioritura di papaveri così diffusi allora, sono quasi assenti nelle campagne moderne per non parlare dei fiordalisi, che ormai in
sparuti esemplari, si possono ammirare soltanto nelle minuscole parcelle di riserve naturali e orti botanici destinati alla conservazione di specie vegetali in via di estinzione.

Con il tempo abbiamo perso molto trascurando  il nostro legame con la terra e i suoi valori avendo sempre meno tempo per viverla e ascoltarla.
Dovremmo invece riappropriarci del nostro tempo e  ricominciare a fermarci e riflettere, riscoprire ciò che è immateriale, ma che è dotato di una forza immensa che ci sa regalare una gioia autentica, la felicità di un istante, e ci fa scoprire "una ragione esistenziale che si fa passione".
Monet, I Papaveri, 1873

venerdì 20 maggio 2011

L'estetica del fungo




Questo non è proprio un libro sui funghi, ma è un libro sul perché si va a cercare funghi; e anche in cucina questo libro non si occupa di come cucinare i funghi, ma si occupa del perché i funghi si sposano o no con certi alimenti, vini o birre, e finanche tisane.





Una primavera che sa ancora d'inverno, ma la stagione, come si dice "è in anticipo".
E allora è arrivato il momento di uscire a cercare i primi porcini appena nati nei boschi termofili di media collina.
Una ricerca che appassiona centinaia di persone ogni anno, senza limiti d'età e senza discriminazioni di genere.
Per noi e per loro è uscito con Edizioni Estemporanee un libro molto originale, che paragona la ricerca dei porcini a quella di se stessi.

L' estetica del fungo – tra filosofia e gusto -è una sorta di guida micologica all'esistenza, scritta a quattro mani da un professore di filosofia nonché esperto peregrinatore dei boschi ed esperto di sostenibilità, Tony Saccucci, e dallo star chef ragusano Carmelo Chiaramonte, cuciniere errante, come lui stesso ama definirsi.

Dunque un libro di filosofia e cucina?
Anche, ma soprattutto una guida che spiega perché «dietro la ricerca del fungo c'è la ricerca del segreto della vita».Perché chi è spinto a cercare funghi sublima, in qualche modo, una domanda filosofica, anzi la domanda filosofica-esistenziale che tutti noi prima o poi ci facciamo: che cos'è la nostra vita?

Il libro, con linguaggio appassionato e divertito, si compone di due parti: la prima analizza il perché e il come (ma non il dove, che è segreto giurato di tutti i fungaioli) si cercano funghi, con un continuo riferimento alla tradizione filosofica occidentale; la seconda parte, che s'intitola significativamente "Dagli alberi ai fornelli", riguarda il trattamento dei porcini in cucina.
E lo chef  Chiaramonte si guarda bene dal fornire semplici ricette. Inventa accostamenti a mo' di esemplificazione, per trasmettere quello che veramente sembra stargli a cuore: il metodo.
Un metodo olfattivo e cromatico di abbinamento dei funghi con gli altri ingredienti del piatto, senza dubbio dettato soprattutto dagli occhi e dal naso.

Nel libro, come ho già detto, troviamo spesso dei rimandi alla filosofia (l’estetica è intesa proprio in quel senso) perché alla fine andare per funghi diviene un modo di guardare la vita, di cercare se stessi, proprio come avviene nell'alpinismo.
Attraverso i gesti e i rituali connessi al cercare funghi Tony Saccucci ci svela un nuovo punto di vista su questo mondo miracoloso in cui la natura gioca a nascondino, a volte svelandosi, a volte no.
Così si parla di metafisica e fenomenologia, ma anche di nuove tecnologie e abitudini in una sequenza sempre piacevole e di facile lettura – e lo dico io che la filosofia al liceo non l’ho mai completamente digerita.

Quand'ero più giovane, come ho già raccontato, andavo spesso a cercare funghi nel Lagorai con mio padre. Allora, ciò che mio padre cercava di trasmettermi era la passione e l'amore verso il bosco e la montagna, o meglio "quella ragione esistenziale che si fa passione" quando entri nel bosco e inizi a cercare....
E la consapevolezza di essa.

Così, mentre leggevo le belle pagine di Tony Saccucci e mettevo il naso nella magia del bosco, da lui così ben descritta, ripensavo spesso e volentieri a quei momenti che improvvisamente acquistavano anch’essi una nostalgica magia.
 L’odore caldo del sottobosco bagnato da un temporale estivo, il rumore del calpestio delle foglie secche sotto gli scarponi in un bosco autunnale, il suono prodotto dalle foglie mosse dal vento piacevole e inebriante, la terra che rivela inaspettati tesori.

Di anni ne sono passati ma mi è rimasta dentro la passione e lo stesso amore per la montagna e il bosco di allora, anzi devo dire che, dopo la morte di mio padre, questa passione è diventata sempre più forte fino a trasformarsi in "ragione di vita".

lunedì 16 maggio 2011

Rifugio Casentini e l'Orrido di Botri

Sopra Bagni di Lucca, nell’alta valle del Torrente Fegana, a 1.242 m s.l.m. e in prossimità della Riserva Naturale dell’Orrido di Botri, sorge il Rifugio Casentini. Realizzato dal Corpo Forestale dello Stato nel 1935 è stato recentemente ristrutturato dalla Comunità Montana e funziona come ristorante con sale interne e tavoli esterni, servizio di campeggio con piazzole attrezzate, e come accoglienza e supporto a gruppi di escursionisti.Nell’area attrezzata è possibile campeggiare nelle piazzole con a disposizione servizi igienici, docce, energia elettrica.

Il Rifugio posto lungo la strada Ducale di Maria Luisa, inaugurata nel 1823 per congiungere il Ducato di Lucca con quello di Modena attraverso Foce a Giovo, offre una stupenda vista sulla catena appenninica tosco-emiliana e in particolare sul Monte Rondinaio (m. 1.964), su Femminamorta (m. 1.881) , Alpe Tre Potenze (m. 1.940) ed è circondato da un ambiente incontaminato.
Faggete, pinete e pascoli si alternano e si sfumano nelle “nude” del crinale con una affascinante ricchezza vegetazionale e faunistica.

Il Casentini è punto di partenza ideale per le classiche escursioni notevolmente impegnative di questo tratto dell’Appennino, mentre per coloro che hanno a disposizione solamente qualche ora sono possibili percorsi più brevi ma altrettanto suggestivi.

Assieme al Rifugio di Fontana a Troghi, e al Centro di Accoglienza di Ponte a Gaio è meta fondamentale per visite e osservazioni sull’Orrido di Botri.
L'Orrido è un canyon, forse uno dei più affascinanti ed incantevoli di tutta l'Italia; un'aspra ed imponente gola calcarea con ripide pareti scavate in profondità dalle fredde acquee del torrente Rio Pelago.

Il torrente scorre nel fondo del canalone incassato tra due pareti di roccia, alte diverse centinaia di metri, pressoché verticali ed in alcuni punti vicine pochi metri una dall'altra.
Il canyon si inserisce in un paesaggio appenninico caratterizzato da ambienti rupestri ed estese faggete, dominato dalle cime del monte Rondinaio e delle Tre Potenze.

L'importanza naturalistica dell'Orrido sta nell'essere un "libro aperto" sulla formazione geologica toscana, nel presentare importanti endemismi e rarità botaniche, nonché ospitare l'Aquila Reale, simbolo di questa incantevole riserva naturale istituita nel lontano 1971 dalla Regione Toscana.

La presenza dell’uomo nel corso degli anni non ha intaccato questo incantevole paesaggio, sia per la non facile accessibilità, sia perché anche il più facile sentiero risulta comunque impervio e scosceso, e dove è possibile ancora oggi incontrare una flora e fauna estremamente interessante e ricca.

Per la tutela dell'ambiente naturale e per l'incolumità degli escursionisti, la Riserva è aperta solamente da giugno a settembre. In attesa di ritornarci nel periodo di apertura, decidiamo allora per una escursione con partenza dal rifugio Casentini: l'Anello dell'Orrido di Botri chiamato anche la Cornice dell'Orrido

Una camminata, attraversando la vegetazione a faggeta con qualche (orribile) rimboschimento a conifera, per affacciarsi dall'alto sulle pareti scoscese dell'Orrido di Botri, per conoscerne la storia geologica e della sua formazione, così come la storia vissuta dai pastori che numerosi nelle epoche passate hanno pascolato qui le loro greggi.
 Un'occasione unica per fare conoscenza con l'ambiente selvaggio di questa porzione di Appennino.

domenica 8 maggio 2011

Eremo di San Bovo

Dalla chiesa di San Michele, dove abbiamo parcheggiato l'auto, scendiamo la pedonale che costeggia un piccolo rio dalla parte opposta della strada fino a raggiungere un bar d'angolo (Pizzeria all'alpino) dove svoltiamo a sinistra per una strada che dirige verso il monte.

Saliamo brevemente la stradina asfaltata fino al suo termine, dove inizia il sentiero (cartelli e indicazioni in legno) che ci conduce, dopo aver attraversato il torrente e saliti per ripido sentiero, alla cascata del Silan, spettacolare nei momenti di piena.
Ritorniamo indietro di pochi passi per riprendere l'antico sentiero selciato che sbuca, dopo una serie di tornanti, nella strada asfaltata che da Bassano sale in Valrovina.

Proseguiamo verso destra (Bassano) per una decina di metri, non prima però di aver volto lo sguardo verso San Michele e le colline che sovrastano Marostica, e subito svoltiamo a sinistra per salire la breve e ripidissima rampa della strada per contrada Privà.

Seguiamo lungamente tutta la stradina asfaltata fino al caratteristico e diroccato borgo di Privà, interessantissimo agglomerato di vecchie case poste sul colle più estremo delle propaggini sud-orientali dell'Altopiano di Asiago che si protende verso Bassano e la pianura veneta.
Pur essendo a pochi passi dalla città e da un'intersezione di strade di grande comunicazione nel piccolissimo Borgo regna assoluto il silenzio, rotto solamente dal rumore dei lavori agricoli e da quelli di una natura nel suo pieno risveglio stagionale.

Ora torniamo indietro fino all'innesto del sentiero, segnato sempre da cartelli in legno, per l'antichissimo Eremo di San Bovo, affacciato sull'imbocco della Valbrenta. A questo un piccolo oratorio posto su un colle alto 330 metri sul livello del mare, e di cui abbiamo notizia solamente dal 1.742, vi era annessa una piccola cella per un eremita.

La chiesa è rivolta, secondo un'antica usanza, ad oriente, mentre alcuni lastroni di roccia su cui sono ancora visibili dei graffiti sono orientati secondo una linea equinoziale. Si ritiene, da studi e ricerche recenti, possa essere stato un antico luogo di guardia e di culto risalente alla protostoria e probabilmente al contesto reto-venetico attestato nell’immediata pedemontana.

Ritorniamo nuovamente indietro per seguire il sentiero a monte dell'Eremo che ci porta, dopo una lunga traversata delle pendici a nord del monte Costa ricoperte da un bosco di castagni, ad incrociare la strada asfaltata che sale a Caluga di Valrovina, una specie di passo tra la Valsugana e le colline marostegane da dove si può vedere sia l'ultimo tratto della Valsugana e sia la bella Valrovina.

Questo antico comune è dolcemente adagiato in un anfiteatro naturale d'innegabile bellezza lungo uno degli ultimi contrafforti orientali dell'Altopiano di Asiago.
Lasciamo la strada asfaltata e scendiamo a Valrovina, attraverso un vecchio sentiero selciato che passa per un castagneto secolare ancora perfettamente conservato e coltivato.

Una volta arrivati in paese e oltrepassata la Chiesa, scendiamo a sinistra per una strada al fondo della quale troviamo le indicazioni (cartelli in legno) che ci riportano ad una piccola sorgente che sgorga dalla roccia e dove trova posto anche una piccola Madonnina.
Da qui riscendiamo per il sentiero selciato che ci riporta dapprima alla cascata e poi a San Michele.

venerdì 6 maggio 2011

Lusernarhof

Da un lungo restauro di tre antiche case cimbre, abitazioni rustiche e particolari di questo territorio, site in un punto panoramico a strapiombo sulla valle d'Astico, è stato ricavato il LusernarHof.

Una delle particolarità delle case di questa montagna è quella di essere costruite interamente in pietra,con muri particolarmente spessi e finestre piccole che servivano a proteggersi dal rigido e lungo inverno dell' altopiano.

L'albergo-ristorante è situato a Tezze, una piccola frazione di Luserna ben segnalata e facilmente raggiungibile a circa un km dal centro del paese.

La posizione dell'albergo sfrutta bene, la già ottima posizione del paese di Luserna, con il risultato che si gode un panorama che spazia dalla pianura vicentina alle dolomiti sopra Folgaria, passando per monte Cimone, lo Spitz, Il Cornetto e il Becco di Filadonna, fino ad arrivare alle guglie e alle vette del gruppo del Brenta.

Dal parcheggio si attraversa un carino porticato che ci porta nel cortile dell'albergo . Qui ci aspetta una simpatica cucciolona e mascotte di tutti i clienti dell'albergo:Camilla, che fa buona guardia a quest'oasi di pace e tranquillità.
Al piano terreno,presso il cortile, si trova il bar e la reception dove si viene ricevuti dall'ospitalità della famiglia Zotti che gestisce l'albergo in modo molto accogliente e disponibile, ma soprattutto offrono una cucina di alto livello.

Personalmente ritengo che nelle zone di montagna, ad esclusione dell'Altopiano di Asiago, si mangi bene, ma al Lusernarhof ancora di più.
L'atmosfera particolare che si respira in questa osteria tipica trentina e in questo albergo, si confonde magicamente con quella del paese, racchiudendo in sè quell'essenza unica che può rendere indimenticabili una cena nella terra degli antichi cimbri tra cultura, storia, natura e tradizioni.

giovedì 5 maggio 2011

a Luserna per il Sentiero dell'Origine

 " ... mari e paludi coprirono, per lungo tratto di tempo, le nostre pianure, quando le montagne erano già libere dalle acque. Da questo fatto nasce naturale la conseguenza, che le montagne devono essere state abitate prima della pianura, e che lassù adunque si dovranno cercare le tracce dei nostri progenitori..."
Ottone Brentari


Premessa:
l'insediamento di Luserna si estende su un piccolo lembo di terra quasi pianeggiante situata sul bordo meridionale di una propaggine montuosa che divide fisicamente l’Altopiano di Lavarone da quello di Asiago. Il territorio, caratterizzato da terrazzamenti naturali, si protrae sulla sottostante Valle dell'Astico creando profonde valli e strapiombi con notevoli dislivelli.
Il primo documento in cui si parla dell'origine dei suoi abitanti risale circa al 1454: vi si afferma che un gruppo di contadini, provenienti da Lavarone, si stabilirono sul monte di Luserna come livellatari della Parrocchia di S. Maria di Brancafora (frazione di Pedemonte, ma a quel tempo nelle pertinenze di Lavarone), che risultava possedere molti territori, oltre che nella valle dell'Astico fino a Cogollo e Breganze, anche nel sovrastante altopiano di Levico e Caldonazzo.
Quanto all'autonomia sul piano religioso, Luserna rimase formalmente dipendente da S. Maria di Brancafora fino al 1934, anno in cui divenne parrocchia.
Luserna costituiva la comunità più lontana dalla parrocchiale, e vi erano circa novecento metri di dislivello da compiersi lungo un sentiero percorribile quasi solo a piedi e che scendeva lungo le pendici del Monte di Luserna e il Sasso della Croce denominato "sentiero dell'Origine" proprio per marcare la sua importanza di tipo religioso.
A testimonianza di questi rapporti religiosi che si sono mantenuti per quasi 500 anni tra altopiano e fondovalle, fino a una decina di anni fa, a metà del sentiero che scende da Luserna a Brancafora, all'Ara del Candido, si teneva annualmente una Messa a cui partecipavano sia gli abitanti di Pedemonte che di Luserna.

Itinerario:
Dopo aver parcheggiato a Scalzeri (446 mt), superato il ponte di Posta, seguiamo la tabella in legno che indica Luserna per sentiero CAI 601. Superiamo la cascata del Gorgo Santo che si slarga tra le rocce in uno specchio d'acqua verde e trasparente.

A lato del sentiero, un poderoso muro a secco sottolinea l'importanza che questa via di salita ha rappresentato per centinaia di anni.
 Dopo aver percorso un lungo tratto in bosco di latifoglie (carpino, frassino e roverella) usciamo su una balconata di roccia (840 mt) che ci permette una vista spettacolare verso la parte terminale della valle dell'Astico, Folgaria, la spianata del forte di Belvedere e in lontananza il Cornetto con a lato il Becco di Filadonna.

Il pendio che si risale è il versante sud-ovest del Monte di Luserna.
Dopo ogni tratto di ripida salita ci imbattiamo in ampie radure del bosco con al centro delle aree prative circondate da maestosi faggi: i montanari locali le chiamano "Are". Questi spiazzi in crinale erano minuscole superfici utilizzate un tempo sia per il pascolo degli animali che per la coltivazione di esigui orti dalle singole famiglie della valle, e i cui nomi identificavano nella toponomastica le singole "Are".

Abbiamo raggiunto quota 1.000 mt e, dopo una breve pausa, riprendiamo il cammino per la parte terminale del tracciato dove il sentiero si fa a tratti sassoso e i tornanti non cessano. Davanti a noi appaiono le prime terrazze dei vecchi orti di Luserna oggi abbandonate e invase da pruni, ginepri e cespugli di rosa canina.
Più si sale e più le terrazze aumentano a occupare ogni metro disponibile: lavoro meticoloso, pazienza di secoli, ragione e fonte di vita per centinaia di anni.

A quota 1.250 mt ci appare finalmente l'aguzzo campanile del paese, oramai siamo sulla strada asfaltata che ci porta in contrada Tezze dove abbiamo deciso per una sosta ristoratrice presso l'osteria tipica trentina del Lusernarhof.


Decidiamo di fare ritorno con un percorso ad anello lungo il sentiero CAI 605 che ci conduce a Belfiore un tempo abitato stabilmente da quelli che ora sono gli abitanti di Casotto. Anzi il vero paese, nei secoli passati stava lassù e non nella sottostante vallata dal momento che gli abitanti si sentivano più sicuri dalle continue invasioni barbariche e dai predoni. In basso i montanari tenevano solamente i fienili e i "casòti" (ricoveri per gli attrezzi) da cui il nome attuale del paese.

Questo è uno dei più interessanti e suggestivi sentieri della valle dell'Astico sia per l'arditezza del tracciato sia per il mutare continuo dei panorami e degli ambienti che si attraversano. Lungo e impegnativo dal punto di vista fisico attraversa alcune valli profondamente incise e arginate in alto da imponenti bancate calcaree che in periodi di piogge abbondanti originano spettacolari cascate a rendere ancora più aspro e affascinante l'ambiente.

Arrivati a Belfiore, abbiamo oltrepassato la chiesetta restaurata e stando sul margine esterno del prato imboccato un evidente sentierino, senza segnavia del CAI, che scende prima in Val Sperosa e poi in Val Grossa, che abbiamo rimontata con una paio di tornanti fino a portarci al maso Balin, recentemente ristrutturato, e poi con lunga e graduale discesa fino a Scalzeri dove avevamo parcheggiato l'auto.


Partenza: Scalzeri - loc. ponte Posta 446 mt
Arrivo: Luserna 1.330 mt
Segnavia: CAI 601, e ritorno 605 fino a Belfiore e poi per sentiero non segnato CAI

Tempo di percorrenza: ca. 6h
Dislivello: ca. 1.000 m