lunedì 4 luglio 2011

La fienagione.... all'alba

Nel suo insieme la fienagione costituiva un tempo il lavoro più impegnativo e fisicamente gravoso dell'intero anno, poiché la falciatura lenta e laboriosa si doveva compiere a mano senza poter ricorrere all’aiuto degli animali che servivano solo, almeno in pianura, per trainare il carro, e perché il taglio del fieno andava ripetuto per tre volte nel corso della stagione: il primo verso la fine di maggio madègo, il secondo, l’ardìva, nella prima quindicina di luglio,
mentre il terzo, tersejìna avveniva verso la fine di agosto.
Questa lunga e laboriosa lavorazione cominciava quando l’erba giungeva a maturazione, quando la maggioranza delle erbe era in fiore ma i gambi non avevano ancora iniziato a seccare.

I due tagli più duri erano sicuramente i primi: quello di maggio perché l’erba era molta ed ogni colpo di falce doveva essere dato con energia e il secondo perché nel pieno dell'estate il caldo si faceva maggiormente sentire e così pure la fatica.
Si cominciava di buon mattino, solitamente verso le cinque, quando iniziava appena ad albeggiare; allora zio Luigi, una volta controllato che il cielo non avesse interrotto il lavoro con qualche acquazzone estivo, veniva a svegliarmi piano piano per lasciare che mamma e papà dormissero ancora un altro po'.

La scuola era finita già da tempo e mi avevo fatto promettere che, quando avesse fatto "l'ardìva", mi avrebbe portato con lui. Il mio compito era quello di controllare che tra l'erba alta non ci fosse qualche nido di quaglia o di fagiano con i piccoli che rischiavano di perire sotto la falce.
Si iniziava prima del sorgere del sole, quando l'umidità della notte e la rugiada rendevano l'erba più tenera agevolando in questo modo il duro lavoro.

Si continuava a falciare fino a quando, da casa, non giungeva la zia con la merenda. Appena aprivo il foglio di carta con cui era incartato, venivo avvolto dal profumo intenso del pane appena sfornato, e quando lo addentavo, sentivo la fragranza e crocantezza della crosta mescolarsi con la dolcezza e la morbidezza della sopressa o dell'ossocollo fatto in casa.
Era questo un momento magico che ha segnato le mie estati da ragazzo e il cui ricordo al momento è così vivo da rendermi quelle sensazioni come reali ancora oggi.

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