mercoledì 31 agosto 2011

Formaggio di malga e presidi Slow Food

Che strana la storia di alcuni presidi Slow Food-Concast: formaggi chiamati “di malga” ma che, onestà vorrebbe, si chiamassero più correttamente "formaggi di latte di malga".
Una differenza non da poco perché con i formaggi di latte di malga il latte viene trasportato in cisterne e, dopo la raccolta, finisce mescolato ad altro latte nei caseifici industriali consortili e non del fondovalle, o semi-industriali che dir si voglia.

Il valore del formaggio di malga, lo stesso dicasi per la ricotta e il burro, sta nel fatto che è di quella particolare malga, che ne rispecchia le caratteristiche dei pascoli, come il particolare e ben delimitato terreno per un vino di gran cru.

Un esempio per tutti, e di cui ho già parlato in altro post, è quello dato del Vezzena dop, presidio Slow Food, prodotto dal caseificio sociale di Lavarone solamente durante il periodo estivo con il latte di alpeggio di alcune malghe e per questo marchiato con una "M".
Ma ben diverso è quello prodotto direttamente in Malga Biscotto dalle mani sapienti di Tullio Vettorazzi malghese e casaro per tradizione.

Se invece la malga diviene solo un posto dove si munge il latte, si apre la strada all’involuzione della malga stessa: poco personale e poco qualificato, nessuna possibilità di fornire ai turisti il prodotto della malga e di illustrare loro come nasce il formaggio (si può sempre fare la caserata apposta per i turisti, come in certi agritur, ma è una finzione).
Dove va a finire la "cultura della malga"?
Nei musei dove parecchi vorrebbero finisse tutta la cultura contadina.


Con il marchio Slow Food si vorrebbe fornire un'immagine "autentica" a qualcosa che non lo è o lo è solo in parte.
Un gioco che vale fintanto che qualcuno grida "il re è nudo".
Il marchio Slow Food si compra (così come per fare un Presidio si paga) ma se, di questo passo, invece di rappresentare uno strumento in difesa dei produttori più piccoli e deboli diventa uno strumento per discriminarli ulteriormente, il capitale rappresentato dal marchio dei Presidi verrà dilapidato e sarà un'altra arma spuntata nella giungla di sigle, marchi e tante trovate che dovevano difendere i prodotti tradizionali ma che, invece, strumentalizzano a favore di qualcosa di diverso.

Tra le incongruenze di questa vicenda va ricordato che la Libera associazione malghesi e pastori del Lagorai è gemellata con l'Associazione produttori Valli del Bitto/Presidio Slow Food.
Ma mentre in Lombardia Slow Food è impegnata a difendere i piccoli produttori tradizionali del Bitto con la sua matrice e identità orobica nei confronti del Consorzio di tutela e delle Coop, in Trentino sta dall'altra parte della barricata.

Ci auguriamo che non sia solo per soldi e soprattutto che ci sia spazio per ripensamenti, per salvaguardare formaggi e prodotti di malga che sono ancora il frutto di un’arte millenaria che, a parte gli anni del primo conflitto mondiale, non ha conosciuto interruzioni, mantenendo intatte le antiche conoscenze, il sistema artigianale di lavorare il latte crudo direttamente in malga, la stagionatura in quota e, non ultimo, la difesa e la godibilità di un paesaggio rurale di grande interesse paesaggistico.

2 commenti:

Luca ha detto...

Venendo io dalle prealpi venete orientali (oggi emigrato) conosco bene questi problemi. Io sono favorevole a Slow Food, perché cio' che fanno permette di dare visibilità a questi piccoli produttori che rischiano di scomaparire. In Francia sono le DOP e le IGP che dovrebbero fare questo... Dovrebbero... Alla fin fine, DOP, Slow Food e quant'altro non sono che degli strumenti per riavvicinarci al mondo della produzione contadina, che non è e non potrà essere equiparato al mondo industriale, con il suo corteggio di standardizzazione, norme igienico-sanitarie talvolta assurde, e omologazione del gusto.
Io personalmente, mi adopero per far riconoscere marchi, Slow Food, standard di qualità, ma se posso andare alla ricerca di un malgaro, di un pastore, etc. me ne infischio altamente, perché io vengo da una cultura contadina e so valutare la qualità di un prodotto. Questo è il punto.

mario ha detto...

Hai pienamente ragione LUca, i Presidi Slow Food dovrebbero cercare di preservare la "particolarità" e "l'unicità" di alcuni prodotti di nicchia contro la standardizzazione e l'omogeinizzazione del prodotto industriale di molti caseifici di fondovalle.

Ma soprattutto dovrebbero valorizzare il prodotto (formaggio, burro) tenendo conto non solo del suo valore intrinseco, ma anche di quello che rappresenta per un territorio montano unico e impagabile.