lunedì 31 dicembre 2012

Capita nelle notti di luna piena...


 « Ma ci saranno ancora degli innamorati che in una notte d’inverno si faranno trasportare su una slitta  trainata da un generoso cavallo per la piana di Marcesina imbevuta di luce lunare? 
Se non ci fossero, come sarebbe triste il mondo... »
Mario Rigoni Stern

Capita nelle notti di luna piena... quelle notti così chiare che sembra tardo pomeriggio, con la luna circondata da un bellissimo arcobaleno, la neve che amplifica la luce, e il ghiaccio della strada battuta che scintilla come invaso da mille lucciole in una sera limpida di inizio estate.

Capita che ci si senta a casa anche se la nostra vera casa si trova a molti kilometri di distanza.
Capita che, una volta tramontato il sole,  il freddo sembri la cosa più naturale del mondo, e che l'aria sia così pura da far male quando respiri, mentre il rumore delle ciaspole sulla neve è amplificato dal silenzio surreale della notte.


Capita di intravvedere tra il buio del bosco e il bianco manto nevoso un rifugio illuminato come un miraggio nel deserto......capita così di rimanere senza parole dalla bellezza delle cose che ti circondano.
Tutto questo capita se si decide di fare una escursione con le ciaspole in una notte di luna piena a dicembre nella piana di Marcesina.

La partenza è fissata presso il Centro Fondo di Valmaron nel comune di Enego, dove il gatto delle nevi ha da poco iniziato il suo lavoro di rispristino dei percorsi per i fondisti, e la metà è il rifugio Barricata.
Il percorso si snoda tra torbiere, pascoli e boschi di abete rosso, rifugio e habitat per cervi, caprioli, pernici, scoiattoli, volpi e galli forcelli.

Qui le uniche costruzioni presenti sono malghe e casoni, che sono abitazioni di legno e lamiera usate dai boscaioli come ricovero.
C'è il Rifugio Barricata e l'albergo Marcesina, unici posti "abitati" dove potersi fermare a bere o mangiare qualcosa.
Per il resto la natura ha preso il sopravvento, lasciando tempo e spazio per rilassarsi con una passeggiata d'inverno con le ciaspole o gli sci da fondo.
Una volta arrivati sciogliamo la tensione del freddo notturno della camminata accomodandoci in un tavolo di fianco ad una stube che irradia un calore benefico per i nostri muscoli e per le nostre ossa.
Il menù è davvero squisito: speck trentino con tortel di patate, risotto con zucca e chiodini di marcesina, stracotto di cinghiale con polenta di Storo e per finire un gelato alla crema con frutti di bosco caldi.

Per il ritorno non siamo riusciti a trovare una "slitta  trainata da un generoso cavallo"  come avrebbe voluto M.R. Stern,  ma  ci siamo dovuti accontentare della motoslitta messa a disposizione dal rifugio Barricata.
Non importa.
A noi, in quel momento, è sembrato di rivivere in quei ricordi e in quelle memorie, ed eravamo consapevoli che ancora oggi.........
capita nelle notti di luna piena a Marcesina.
Buon Anno a tutti.


mercoledì 26 dicembre 2012

Lagorai: Panarotta e Fravort

Probabilmente molti trentini conoscono (almeno per sentito dire) la Panarotta: sicuramente molti di meno sono coloro in grado di collocare geograficamente il Monte Fravort, oppure il suo “gemello”, il Gronlait. Capita quindi spesso che quest’escursione costituisce, per chi l’affronta per la prima volta, la scoperta di “un nuovo mondo”: quello “magico” della catena montuosa del Lagorai.

L’area della Panarotta la si raggiunge dal centro abitato di Levico Terme, in Valsugana: la strada s’inerpica per 11 km, poi in località Compet si svolta a sinistra (indicazioni Panarotta, diritti si va a “Vetriolo”) e si giunge in poco tempo all’ampio parcheggio dove partono gli impianti di risalita della Cima Storta.(1770 mt)

La via più breve è quella che, attraversate a sinistra (facendo molta attenzione) le piste di sci sul lato ovest dello Chalet Panarotta, segue la forestale con segnavia cai 325 che, con un lungo traverso di circa 2 km (oltrepassando un'altra pista), porta fino ad un'ampia insellatura: La Bassa (1834 mt) con splendida vista sui gruppi dell'Adamello e del Brenta .

Noi abbiamo scelto di tenere questa alternativa per il ritorno preferendo salire a destra della pista lungo il sentiero cai 308 che ci ha portati alla sommità del monte Panarotta, allungando così il percorso e il dislivello ma permettendoci di godere di un panorame ineguagliabile verso la Valsugana e le cime settentrionali dell'Altopiano di Asiago (dallo Spitz Vezzena, alla strapiombande dorsale del Portule fino al monte Trentin e a cima Dodici).

Arrivati alla cima del Panarotta (2002 mt) si ha la sensazione di trovarsi in un paesaggio “lunare”, che emana un fascino indiscutibile, sebbene sia pesantemente deturpato dai tralicci delle antenne radio e dalle ex stazioni degli impianti di risalita, il tutto mescolato a trincee di guerra, postazioni e una grande croce; ma forse è proprio questo mix di elementi variegati e male combinati a rendere il luogo intrigante e allo stesso tempo un po’grottesco.

Dalla cima si prosegue verso nord, dapprima quesi in piano per poi scendere dolcemente sui prati de “La Bassa” (1834 metri), importante crocevia di sentieri che salgono oltre cha dagli impianti a valle del Panarotta anche dal rifugio Cinque Valli sopra a Roncegno. Il panorama verso la Valsugana mette in risalto una serie di paesi e zone artigianali senza soluzione di continuità. La valle sembra oramai quasi una città metropolitana

Arrivati a questo punto l'orientamento è ancora più elementare. Basta prendere la dorsale fino in vetta.
C'è un primo tratto boscoso ma comodo, poi la dorsale spiana e con un lungo e panoramico traverso quasi pianeggiante (Fontanella 2037 mt) si arriva sotto l'erta finale, che va affrontata sempre e solo con neve assestata.

Comunque il percorso è piuttosto frequentato dagli scialpinisti e c'è quasi sempre una traccia ben evidente che si può seguire.
 In ogni caso ci si tiene abbastanza a ridosso del crinale (non troppo perché bisogna sempre fare attenzione alle cornici), e con una serie di tornanti si guadagna quota abbastanza facilmente, fino all'ampia e panoramica vetta. (2347 mt).

I vari gruppi vocianti e chiassosi di scialpinisti e ciaspolatori sono già ridiscesi e in vetta regna  il silenzio più assoluto rotto solamente da qualche sporadica raffica di vento che solleva un velo di neve impalpabile. 
Ma si è fatto tardi e abbiamo poco tempo prima che il sole cominci la sua discesa.

Inizialmente scendiamo per lo splendido versante sud, accanto alla traccia di salita.
Arrivati in fondo, sulla dorsale pianeggiante a quota m 2037 detta "La Fontanella", decidiamo all'improvviso di modificare il percorso e anziché riprendere la dorsale boscosa e poco remunerativa che cala a La Bassa, scendiamo per l'ampio vallone che cala verso est fino a dei baiti recentemente ristrutturati dove facciamo una piccola sosta.

Una volta ripresa la traccia sulla neve ci accorgiamo che stiamo perdendo quota (1630 mt), mentre il gps ci mostra che il sentiero cai 372 che attraversa l'impluvio si trova ad una quota di un centinaio di metri sopra di noi. Purtroppo le tracce lasciate dagli scialpinisti che scendono dalla cima hanno cancellato quelle del sentiero battuto. Dobbiamo, con nostro rammarico, tornare sui nostri passi e risalire la dorsale fino a ritrovare la segnaletica a quota 1792.

Finalmente siamo tornati sul segnavia 372  che seguiamo con un lungo traverso e leggeri saliscendi. Dopo un'ora ci ritroviamo a La Bassa.
Sono le 16 e 30 e il sole sta oramai scomparendo dietro alle piccole dolomiti.   La luce diviene più tenue e rende uniforme e incolore la neve. Ma  siamo tranquilli perché stiamo camminando in tutta sicurezza lungo la forestale 325 che ci riporta in leggera discesa al parcheggio.

Lungo la strada di ritorno che in auto ripercorriamo per scendere a Levico non possiamo non fermarci qualche istante per gustarci uno straordinario tramonto.
Un tramonto così intenso e carico di colore che solo quassù in montagna si riesce ad assaporare pienamente in inverno.

E' così che mi ritornano alla mente le parole di Mario R. Stern che, raccontando l'inverno, scriveva "....anche il tempo diventa irreale e ti sembra di vivere in un mondo metafisico come dentro un sogno: non ha più peso il tuo corpo anche se il tuo passo è fatica e cammini vagando da pensiero a pensiero"

martedì 25 dicembre 2012

Brulè analcolico al ginger

La stagione fredda è appena cominciata ma per non farci trovare impreparati alle prossime uscite con le ciaspole che ne dite di provare a modificare una bevanda classica invernale: il vin brulè.
Questa bevanda, che peraltro ha ottime proprietà tonificanti, corroboranti, riscaldanti e disinfettanti, è molto antica.

Infatti pare che la sua nascita sia da attribuire ai frati, esperti conoscitori di erbe e spezie, che nei conventi si dedicavano anche alla preparazione del vino.
Per loro fu facile intuire gli effetti benefici che questa bevanda poteva avere contro i malanni della stagione fredda; un farmaco naturale e delizioso, che era conosciuto fin dal Medioevo.


Il vin brulè (o mulled wine), che significa vino bruciato, è una deliziosa e aromatica bevanda, molto conosciuta ed apprezzata non solo in montagna ma anche nei paesi del nord Europa dove si accompagna ai famosi "biscotti di Natale" i gingerbread cookie, o panpepato.
Questi biscotti possono essere decorati nei colori più sgargianti classici del natale: rosso, bianco e verde, decorati  con granella di zucchero, frutta candita, scaglie di cioccolato, pasta di zucchero bianca e colorata.

Ma noi vogliamo cercare di prepararne una versione analcolica che risulti leggermente più speziata del vin brulè e ugualmente dolce ma senza l'aggiunta di zucchero.


Gli ingredienti principali sono:
  • 1 litro di acqua
  • 1 scorza di arancia non trattata
  • 1 scorza di limone non trattata
  • una decina di semi di cardamomo e di anice stellato
  • 30/40 g di radice di zenzero fresco
  • 25/30 g di mirtillo rosso disidratato
  • 250 ml di Melè (brulè di mela analcolico)

Se non trovate il Melè potete usare il succo di mela biologico e filtrato a cui aggiungerete una stecca di cannella e una decina di chiodi di garofano.
Come prima cosa è necessario tagliare finemente la scorza di limone e quella dell’arancia, evitando di prenderne la parte bianca che renderebbe la bevanda amara.

Fatto ciò, si versa un litro di acqua all’interno di una casseruola assieme alle scorze degli agrumi, e tutti gli altri ingredienti ad esclusione dello zenzero e poi per ultimo si versa  il Melè. Si mescola bene lasciando a macerare il tutto per 5 minuti.
Poi rimettete la casseruola sul fuoco e portate a bollore. Spegnete la fiamma e lasciate in infusione per sei o sette minuti. Filtrate il liquore con un colino a maglie finissime o ancora meglio con delle garze.
Infine versate il contenuto in un brico.

Aggiungete, dopo averlo pelato, lo zenzero a pezzi  e rimettete sul fuoco (quello più piccolo) al minimo (oppure sopra la stufa a legna) senza farlo mai bollire affinchè  evapori una parte dell'acqua e gli aromi si concentrino. Dopo almeno 4 ore, meglio se di più, il vostro Brulè analcolico è pronto.

Buon Natale a tutti!

* le foto sono ripubblicate da internet libere da diritti

lunedì 24 dicembre 2012

Rifugio Campolongo

Il Rifugio Campolongo è una vecchia casara d’alta quota il cui recente restauro ha conservato e messo in risalto i suoi tipici caratteri architettonici di malga altopianese come i muri in sasso e il tetto in legno a grandi falde.
Il Rifugio è facilmente accessibile attraverso l’ampia e comoda strada che dal centro di Mezzaselva di Roana conduce in quota verso il Monte Verena.

Immerso in un scenario magico, il Rifugio Campolongo si trova al centro di una piccola piana circondata da silenziosi boschi d’abete ed è il punto di accesso per le piste di fondo e per alcune ciaspolate relativamente facili e molto panoramiche.

 Di ritorno da una di queste ci siamo fermati al rifugio per partecipare ad un evento particolare: "La dolce serata della zucca"
Ed è così che abbiamo scoperto che finalmente anche in Altopiano esiste un rifugio gestito come in Alto Adige, dove non si serve la solita trita e ritrita "polenta e formaggio fuso" o gli il tagliere di affettati comprati in qualche ipermercato della grande distribuzione o ancora i soliti "gnocchi super casalinghi" .

Insomma niente di tutto questo, bensì piatti elaborati quel tanto che basta per non trasformare una malga in un ristorante di città, e con ingredienti scelti tra i migliori prodotti e attenti alle migliori tradizioni gastronomiche del territorio.
C'ero già stato altre volte ma sempre per uno sneck veloce che comunque mi aveva già fatto apprezzare un ambiente caldo ed accogliente, rinnovato con gusto e cura dei particolari .

Devo dire che siamo stati pienamente soddisfatti.
Ottimo e meritevole di menzione il cestino croccante con zucca e carciofi su crema di patate di Rotzo. Il cestino risultava alla fine un tortino con un bordo di pasta sfoglia che lo rendeva croccante in contrapposizione al ripieno morbido di zucca e carciofi . Un abbinamento inconsueto ma molto godibile.
Entusiasmante la crema di patate di Rotzo.

Un altra menzione pienamente meritata va anche ai ravioli caserecci con zucca ed amaretti e una grattuggiata di ricotta affumicata che rendeva il piatto molto saporito e ben equilibrato.
Buono anche il risotto con zucca e radicchio di Treviso. Un piatto classico cucinato comunque molto bene.

 Buono anche il filetto (molto tenero e non stopposo) di maiale ai carciofi con zucca croccante.
Se devo proprio fare un appunto forse il tortino soffice di cioccolato e castagne con gurnizione di zucca non era all'altezza degli altri piatti, forse perché il sapore delle castagne era troppo coperto dalla cioccolata o forse per la salsa, a mio parere, troppo vanigliata.

Comunque un piatto non al topo sulle sei portate può anche starci, in fin dei conti dobbiamo ricordarci che non siamo in un ristorante d'eccellenza.
 Il menù è quello della foto sopra con un prezzo molto contenuto: 25,00 €.
Ma forse, per una serata promozionale, si poteva azzardare qualcosina di meno.
In ogni caso un plauso al coraggio e alla professionalità di coloro che stanno gestendo al meglio questo rifugio.

sabato 22 dicembre 2012

Rifugio e forte di cima Campolongo

La neve non è molta, ma, grazie al freddo di queste ultime settimane, quella già caduta dona al paesaggio dell'Altopiano una veste invernale e natalizia e permette di ciaspolare anche a quote intermedie.
La zona che da Campolongo arriva fino al Passo di Vezzena è un groviglio di stradine forestali, dislivelli contenuti, assenza di pericoli, e in cui la pace e la tranquillità dei boschi, permettono passeggiate facili, "slow" per usare un termine di moda, dove protagonisti assoluti sono il bosco ed i silenzi.
In inverno non serve andar lontani o in posti inaccessibili per godere delle meraviglie della natura. L' altopiano di Asiago e quello di Vezzena sono l'ideale per ciaspolate senza grandi dislivelli ma con estensioni degli itinerari quasi infiniti. Passi, lenti, occhi attenti ed allenati ad osservare, orecchio teso e soprattutto un lasciarsi andare senza tempo, gustando il cammino e l'ambiente circostante.

I boschi degli altipiani offrono generosi queste possibilità.
I mille chilometri di stradine e mulattiere, l'infinita serie di vallette, buse, radure, piccoli rilievi e luoghi che si assomigliano e la mancanza di precisi punti di riferimento evidenti, creano per i meno esperti qualche problema di orientamento, ma inducono a perdersi e vagare senza precise mete tanto le distanze sono grandi.
Un minimo di preparazione, conoscenza dell'orografia e una pianificazione attenta dell'escursione diventano allora indispensabili.

L'attacco del sentiero per il Forte di cima Campolongo, parte 200 mt. prima del parcheggio del Rifugio, sulla sinistra. Il sentiero era la vecchia mulattiera di collegamento fra la strada principale e il Forte, uno fra quelli tecnologicamente più avanzati e strategicamente meglio posizionati della linea difensiva italiana. (attraverso un finanziamento europeo è stato recentemente ristrutturato e ora fa parte dell' Ecomuseo della I° guerra mondiale).

Ovunque si rilevano le indicazioni bianco/rosse del CAI, oltre ad alcuni piccoli riquadri in legno con dipinta la colomba bianca simbolo europeo del “Sentiero della pace”. In breve, fra fitte abetaie e qualche macchia di faggi si giunge al bacino di raccolta-acque che era indispensabile per poter progettare e collocare una costruzione bellica in un'area a forte carsismo, com'è l'Altopiano.

Superato il bacino si arriva ad una piazzola di sosta con panche all'ombra, per ristorarsi giusto un attimo.
Pochi metri dopo il tornante si incontra quello che agli inizi del conflitto era l'alloggio ufficiali, una piccola e graziosa casamatta oggi ristrutturata ad uso privato.


Al tornante successivo si è in dirittura d'arrivo: ecco il piazzale antistante il forte con la galleria di accesso.
Un tunnel scavato nella roccia la cui illuminazione, dopo la recente ristrutturazione (2011) viene alimentata da un pannello solare.
Superata la galleria si arriva alla piazza d'armi su cui si affacciano le casematte del forte con le quattro cupole in acciaio.

Una volta entrati, si viene subito catturati dal tragico fascino del luogo;  fanno impressione anche lo spessore della roccia sovrastante e i dirupi che guardano la Valdastico.
I forti italiani sul territorio sono omogenei fra loro, tranne che per le dimensioni: il Campolongo è l'unico ad avere solo 4 postazioni, quindi è quello più ridotto.

Fa sorridere – tragicamente – lo stile architettonico impresso a tutte le strutture, la leziosità e la cura dei particolari in pietra e fossato, a ricordo dell'ultimo periodo in cui l'Italia ha costruito fortificazioni a scopo bellico...per combattere, in modo del tutto inadeguato, una guerra impossibile. Una guerra che l'Italia non avrebbe mai vinto se il nemico non si fosse trovato a combattere anche sul fronte orientale!

Il panorama dalle cupole è veramente impressionante aprendosi dalla sottostante pianura fino ai profili dei colli berici e dei colli euganei alle dolomiti del Brenta e ai ghiacciai dell'Adamello e della Presanella alle Alpi di confine.
 Dopo aver visitato il forte e assorbito così l'atmosfera di cui è da sempre impregnato, il ritorno è sempre silenzioso.

Si ha meno voglia di scherzare e di godere della vista dei boschi e dei pascoli ricoperti da uno strato di coltre bianca.......consapevoli che il futuro, lo indica il passato.
Per il ritorno decidiamo di scendere direttamente per il sentiero cai 810 che in modo veloce ed agevole in mezz'ora ci riporta difronte alla chiesetta di San Francesco nel parcheggio del rifugio.

domenica 9 dicembre 2012

cima Verena con la prima neve

Con la prima neve si risveglia anche la voglia di calzare le ciaspe e di pestare la neve per risentirne il rumore nel silenzio assoluto del paesaggio.
Così, su due piedi, decido di intraprendere una nuova escursione invernale nell'Altopiano di Asiago: la cima del Monte Verena. E dal momento che le piste apriranno tra qualche giorno decido per un percorso che mi tenga lontano dai gruppi di pensionati-ciaspolatori rumorosi e goliardici.

Da Roana salgo in auto fino alla casara Campovecchio (1.593 mt) dove parcheggio l'auto non senza difficoltà a causa della neve abbondante a bordo strada, dove ha inizio il sentiero Cai n. 820.
L'innevamento è discreto (34-45 cm), la temperatura sotto lo zero (il termometro dell'auto segna - 7°) ed è una stupenda giornata. Calzo le ciaspole per la gran voglia di usarle anche se il manto nevoso lungo il sentiero è battuto al punto che potrebbe sembrare superfluo usarle.

Oltre la localita' Croce del Civello raggiungo un incrocio ( 1.739 mt) dove il segnavia 820 indica la destra per Casara Verena, Malga dei Quarti e la cima del Verena. Decido, al contrario, di tenere il sentiero di sinistra che segue vecchi camminamenti militari lungo il costone della montagna.


Dopo pochi minuti oltrepasso sulla mia sinistra il grazioso Baito Spelonca recentemente ristrutturato e, dopo un altro allungo, un vecchio edificio militare (Casermette) che conserva quasi intatta la facciata.



Più avanti, dopo un allungo, ritrovo il sentiero 820, che sale dalle malghe, in corrispondenza di un tornante dove la vista si apre stupendamente verso le cime settentrionali dell'Altipiano, la Cima Portule con il suo lungo profilo che scende verso sud, Cima Larici e Manderiolo che racchiudono la piana di Vezzena.

Manca poco alla vetta, occupata dai resti del  famoso Forte Verena, dal rifugio omonimo e dalla stazione a monte dei vecchi impianti sciistici. Una volta arrivato trovo la piazzola di sosta degli impianti occupata da un gruppo di pensionati-ciaspolatori per cui decido di non fermarmi e di salire sulla cupola nevosa che copre in parte i resti del forte (2.020 mt - 2 ore circa dalla partenza).
Splendido il panorama verso l'Adamello e il gruppo del Brenta.

Facendo attenzione a dove metto i piedi mi porto verso l'estremità nord-ovest dove un tempo c'erano le quattro cupole corazzate girevoli armate quattro  cannoni Armstrong in acciaio da 149 mm.
Alle ore 4 del 24 maggio 1915 dal Forte Verena partì il primo colpo di cannone da parte italiana della Grande Guerra che sancì l'entrata del Regno d'Italia nel primo conflitto mondiale.

Mi soffermo qualche minuto a leggere le tabelle illustrative.

Per il ritorno, dal momento che le piste sono ancora chiuse, scendo a destra della pista blu denominata "Panoramica" che si affaccia con pareti a picco sulla sottostante Val d'Assa fino ad un capannino in legno posto sul lato ovest della pista dove, con un piccolo passaggio tra i massi, mi sposto sulla strada forestale che scende lungo la valle delle carbonare (segnavia cai n. 820).

Non è ancora transitato nessuno e le uniche impronte sulla neve sono quelle numerose di caprioli, cervi e  di qualche rara lepre. Le impronte sono tutte sulla parte sinistra della stradina e sembrano orientate tutte verso la salita. Chissà forse anche loro hanno voluto fare un'ultima corsa verso la cima prima che gli impianti entrassero in funzione e con essi arrivassero le orde cittadine, vocianti e barbariche degli sciatori.

Prima di raggiungere la strada asfaltata dove ho lasciato l'auto, mi fermo ancora una volta e mi giro volgendo lo sguardo verso la cima del Verena dove si stagliano nitidi, accanto al recente rifugio, i resti del vecchio Forte.
Il pensiero torna alle parole lette e il ricordo corre a quei terribili momenti raccontati in pagine indimenticabili da M. Rigoni Stern, da E. Lussu e F. Weber.