giovedì 23 febbraio 2012

il Monte Coppolo e la paura del vuoto

A ovest della forcella la Marmolada disegna la sua ombra sulla valle di Contrin. Con calma misurata mi spoglio lo zaino e metto l’imbrago. Prendo tempo armeggiando con l’attrezzatura, tolgo i ramponi e con aria indifferente guardo lo spigolo ricoperto di ghiaccio che i primi raggi di sole fanno scintillare.

Parto senza pensarci su troppo, ma la paura comincia a far capolino nella mia testa. Fortunatamente i gradini sporgono di quel tanto da permettermi l’appoggio della punta degli scarponi.
A destra si apre il baratro della sud, mille metri di placche lisce e strapiombanti che precipitano nel vuoto. Penso che ci vuole del coraggio per arrampicarsi fin quassù da quella parete.

Ed è proprio su questo pensiero che accade l'imprevisto.
Mi sento all'improvviso stanco mentre le gambe iniziano a tremarmi e a cedere.
Un senso di nausea mi invade la testa e devo aggrapparmi ai gradini della ferrata per cercare di alleviare la vertigine e la paura del vuoto che per la prima volta blocca tutti i muscoli del mio corpo.

Per ultima arriva la tachicardia.
Per fortuna che Enrico, che sta salendo sotto di me, si accorge che qualcosa non va. Esce dalla ferrata e mi raggiunge di lato.
Sono immobilizzato dalla paura e riesco solo a dire che sto male.
Era il 18 luglio di 12 anni fa e da quel giorno iniziò il mio terrore per il vuoto.

Ero ancora attratto, come lo sono ancora oggi, dalla montagna, dalla verticalità ma poi ne avevo e ne ho paura, a volte mi bloccavo, desistevo, e ripiegavo su vie piú facili.
Per anni rinunciai ad alcune ascensioni che prevedevano passaggi aerei su creste o passaggi verticali su pareti di roccia per la paura del vuoto, per la paura di cadere, di scivolare.

Poi piano piano volli provare a vincere questa paura cercando di ripercorrere una alla volta tutte quelle vette e cime che mi generavano paura.
In realtà un po’ di apprensione la tengo sempre nel cuore mentre salgo, forse perché mi fa percepire meglio il pericolo e mi può salvare la vita: Messner dice sempre che un alpinista è valido anche quando sa rinunciare a cime che potrebbero mettere in difficoltà lui e i suoi compagni.

Inoltre anche l’abitudine aiuta a superare il terrore del vuoto: così ritornando sulle montagne che mi avevano generato paura la prima volta che le avevo affrontate, successivamente riesco a superare tranquillamente i passaggi più esposti, quasi che il ritornarci abbia il potere di esorcizzare l’orco che mi sta davanti.


Così ieri sono ritornato al Passo Brocon per risalire ancora una volta il M. Coppolo, proprio come un anno fa, ma questa volta, mentre le mie gambe, passo dopo passo, salivano il ripido pendio per condurmi al passaggio aereo della cresta finale, la mia mente raccoglieva il coraggio del cuore e sognava già in anticipo di percorrere tutta la cresta raggiungendo finalmente la croce di vetta.


Così quando mi sono ritrovato in vetta mi sono ricordato le parole di Martin Luther King:
Un giorno la paura bussò alla porta, il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno.

sabato 18 febbraio 2012

Ricordi di un sorriso

La condivisione in montagna è fatta di fatica e di compagnia, una compagnia e un’amicizia che si consolida passo dopo passo, parola dopo parola in un continuo rincorrersi di salite e discese, di panorami e di vette.
Ogni passo è fatica ma la fatica condivisa è più lieve, in montagna come nella vita e, credo, nella morte.

Sentire parlare di alberi e fiori, di ascensioni, di amicizie e amori consolidati da un abbraccio in una cima avvolta nella nebbia, cogliere il ricordo di passioni condivise non lenisce il dolore ma fa credere di essere ancora una volta vicini e presenti.

Così la montagna diventa il luogo dove ogni sogno è possibile, anche quello di un nuovo incontro, dove riusciamo a percepire tutto quello che la prima volta abbiamo pensato e non detto perchè eravamo rimasti col fiato corto, in cima a quella salita intenti a guardare l’orizzonte chiedendoci “cosa ci sia al di là”

Caro Giorgio, leggere i tuoi racconti mi proietta nel passato dove mi sembra di vederti, ancora oggi, mentre al mattino parti per uno di quei giri solitari che amavi; l’immancabile zaino, un’agenda già piena di appunti e la curiosità di una nuova esplorazione. Quanta passione per le vette, quanto amore per la montagna.




Ecco cosa ci ha legati da subito.
Ecco cosa ci lega e ci legherà per sempre.
E tra i monti e le valli alpine un ricordo, un pensiero sarà sempre al tuo sorriso, alle tue chiacchiere, alla tua serietà montana, al tuo silenzio.
Vero, le montagne sono maestre silenziose e creano discepoli muti.
Come lo eravamo noi quando traducevi per noi il linguaggio delle vette e delle valli, e come lo siamo ora nel ricordo di te che molto ci hai lasciato, oltre alla promessa di rincontrarci quassù un giorno.

mercoledì 15 febbraio 2012

Lagorai: Cinque Valli - Fravort

Avvicinamento in auto: dal paese di Roncegno in Valsugana si segue la strada asfaltata che sale alla località Le Pozze e al Rifugio Serot. Ad un bivio continuiamo diritti seguendo le indicazioni per la località Cinque Valli, fino ad arrivare al parcheggio del rifugio M. Erterle - Cinque Valli.
La giornata è splendida, il cielo terso e la temperatura meno rigida dei giorni scorsi ci fa ben sperare di poter godere appieno dell'escursione programmata.
Così, dopo aver parcheggiato l'auto, ci incamminiamo per la stradina asfaltata che prosegue oltre il rifugio, portandoci appresso le ciaspole.

Dopo aver superato un paio di baite alpine ben tenute ed un ponticello in legno arriviamo ad un bivio dove la strada compie una curva a sinistra.
A questo punto abbandoniamo la strada e, calzate le ciaspole, ci inoltriamo sul sentiero di destra con indicazione "La Bassa"(sentiero SAT 372B).

Seguiamo la stradina che entra nella valle dove la neve abbondante permane ancora sugli abeti e sui rari faggi, seguendo le vecchie tracce di ciaspolatori e scialpinisti.
Ad un certo punto un rumore sordo come quello dell'acqua che scende dai torrenti di montagna ci blocca.
Restiamo immobili per cercare di capire da dove provenga il suono e cosa l'abbia provocato, fino a quando veniamo letteralmente investiti da una nube di neve che il vento ha scrollato dagli alberi più alti.
Questa fitta ed inaspettata nevicata se da un lato ci induce al sorriso dall'altro ci preoccupa non poco poiché riteniamo che, se il vento in valle risulta essere così intenso, in quota risulterà sicuramente un problema.

Continuiamo il nostro percorso fino ad una radura dove parte, sulla sinistra, il sentiero Sat nr. 372B - E5 che sale a malga Masi. Evitiamo il sentiero preferendo continuare per la strada forestale che con ripida salita ci porta ad uscire dal bosco fitto dell'abetaia per un lariceto aperto ad est dove il vento sembra cessato.

Con un lungo traverso in leggera salita arriviamo ad incrociare il sentiero SAT 372 proveniente dal rifugio Serot e dalla valle Portella.
Il sentiero sale progressivamente con direzione sud e si porta sotto cima Fontanella lasciandoci intravvedere il Fravort che colpito dalle raffiche di vento solleva masse di neve che coprono la vetta.

Continuiamo per il sentiero 372 che ci porta, una volta usciti dal bosco, alla spianata antistante la localita "La Bassa" a quota 1.834 mt.
Il vento, una volta raggiunta la forcella torna a soffiare così forte che ci costringe più di una volta a piegarci costringendoci ad appoggiare la mani a terra per non rischiare di cadere.

Riesco, nelle brevissime pause che il vento ci concede, a fare qualche foto dello stupendo panorama che si gode da quassù.
A ovest il gruppo del Brenta in bella mostra, mentre a sud si possono ammirare tutte le cime dell'Altopiano strapiombanti sulla Valsugana.

Abbandonata l'idea di salire alla cima del Fravort, con molta fatica, dal momento che il vento aveva cancellato ogni traccia precedente, riusciamo a trovare il percorso per scendere alla malga Masi e da questa per il sentiero 372B al rifugio Cinque Valli dove avevamo lasciato l'auto.
Da ripetere.

domenica 12 febbraio 2012

In ricordo di mio padre

Te ne sei andato una sera scivolando dalla vita alla morte in silenzio,
nel cuore ancora il brusio delle nostre ultime parole, hai visto la vita sparire
lasciando a poco a poco un abbraccio di lumi sempre più sfocati.

Sono passati sette anni eppure mi accorgo che ci sono paesaggi interiori che si svelano lentamente tra i ricordi di una vita vissuta a margine della tua, mentre altri ritornano con la forza di un fuoco che si accende con fatica tra la legna ancora umida di pianto.

Momenti che ritornano a ricordarmi che non siamo mai soli ad attraversare l'inverno,
neppure quando non ci sono più pagine da strappare,
momenti duri e scomodi da ridipingere,
rapporti da chiudere definitivamente ed altri forse... da aprire.

Oggi mi sembra come se il tempo passato sia una distanza ricoperta da mille fotografie di cui io ne possiedo e ricordo solo una minima parte.

Qualcuna in cui i colori si sono prima affievoliti e poi persi negli occhi di un ragazzo che non sapeva ancora interpretare quel tuo tenero sentimento così bene espresso dal tuo capo leggermente reclinato verso di me e dalla mano sulla spalla quasi a proteggere l'oggetto del tuo amore.

Questa, tra le altre di noi due, mi sembra sin troppo bella per poter essere stata vera.
Eeppure eri lì, come sempre, accanto a me come lo sei ora.

E i tuoi silenzi capaci,
più di mille parole taciute,
di illuminare quel sentiero interiore che oggi,
ancora una volta,
mi riporta lentamente a te.

venerdì 10 febbraio 2012

Paura della neve ?

C’era una volta la neve.
Era la gioia di noi bambini, incantati da quei fiocchi lievi.
Era la garanzia per i contadini che l’annata sarebbe stata buona: «Sotto la neve pane», si diceva pensando al grano.
E poi faceva bene un po’ a tutti perché risvegliava vecchi ricordi e metteva un pizzico di poesia nella vita di ogni giorno.
Oggi, al contrario, viviamo l'arrivo della neve con ansia e paura. Così ogni situazione nuova che deragli dai binari della ripetitività e della corsa quotidiana diventa fonte di angoscia.
Succede per il caldo, come se fosse ogni anno una novità e succede per la neve. Per carità, il gelo e le nevicate che si stanno abbattendo in questi giorni sull’Italia non sono cose da nulla. Ma questo nel nostro passato è accaduto altre volte, anche in anni lontani, come ci ricordano i meteorologi.

La differenza è che oggi le nevicate, come tutto il resto, sono vissute con paura. La nostra abitudine alla sicurezza è diventata così radicata che qualunque imprevisto provoca terrore e angoscia. La colpa è sicuramente dei media che instillano in ciascuno di noi, o almeno provano a farlo, il terrore della natura, e delle sue manifestazioni. Siamo sempre più affondati in una vita artificiale, viziati, iperprotetti, fragili, lamentosi. Nell'era dei suv ci siamo scoperti nudi di fronte alla natura, indifesi e persi. La verità è che ogni volta che un evento ci riporta con i piedi per terra mettendo a nudo le nostre fragilità, andiamo in crisi.

In questo momento e per qualche giorno ancora il ruolo di signora della paura sarà impersonato dalla neve, come fino a qualche giorno fa era lo spread e come forse tra un po’ lo diventerà il pensiero che il gas non basti più a riscaldare le nostre comode case. Nel frattempo ci siamo giocati uno degli ultimi spicchi di poesia rimasti nella nostra vita fatta di calcoli, di continui affanni e di corse contro un tempo sempre più veloce di noi.

All'improvviso mi è tornato alla mente un fatto di molti anni fa quando mentre stavo alla finestra a guardare la neve che dal mattino stava scendendo copiosa a ricoprire ogni cosa, mi si avvicinò il nonno e, poggiando una mano sulla mia spalla disse: "La neve arriva quando la terra ne ha bisogno; le serve per coprirsi dal duro inverno e poter dormire tranquilla. Così in primavera potrà risvegliarsi più forte e sorridente di prima."
Quella notte sognai di addormentarmi anch'io in un abbraccio e di risvegliarmi con un sorriso.

*   i dipinti sono tutti di Monet: 
1)Veduta di Argenteuil con la neve
2) Strada sotto la neve
3) La gazza
4) Covoni con effetto neve  

domenica 5 febbraio 2012

Neve e silenzio


La neve scende e copre ogni cosa…
il prato, il pascolo, la malga,
il bosco, via via il sentiero.
Termina il rumore, il brusio; solo il suono del silenzio e del vento che lambisce gli affioramenti e rende ovattato anche quello della neve.


Ed è in questo silenzio che avverto, forse più forte che mai, la suggestione d’un dialogo appena iniziato, il senso di tanti desideri scritti in poche parole.

Ora la neve caduta sta coprendo ogni possibile traccia e sentiero del tempo passato, avvolgendo ogni riferimento e segno, e rendendo così la valle e le montagne silenziose e malinconicamente dolci,
proprio come il mio cuore.