mercoledì 30 ottobre 2013

Crema di Trombette dei morti e tartufo

Il Craterellus cornucopioides, meglio conosciuto come Trombetta dei morti, è un fungo dall’aspetto particolare, abbastanza diffuso nei nostri boschi ed apprezzato dai cercatori. Deve il suo nome volgare al colore nero, ma ancor di più al periodo in cui fa la propria comparsa, tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, appunto in prossimità della Commemorazione dei Defunti.

E' un fungo che é quasi impossibile da confondere con un altro. É difficile trovarlo, ma quando ne trovate uno, guardando meglio attorno a voi vi renderete conto che siete attorniati da un tappeto di trombette dei morti. Un enorme tappeto nero. Si tratta di un fungo molto simile ai "gialletti", a forma di trombetta, con un cappello cavo e il gambo; a forma di imbuto, anch’esso cavo e di consistenza floscia.

Il colore della Trobetta dei morti dipende molto dal grado di umidità; grigio con clima secco e nero con clima umido. La carne di questo fungo presenta un odore particolarmente intenso, sia prima che dopo la cottura, ed un sapore aromatico molto caratteristico. L’odore è gradevole con sentori di prugna, il sapore tendente al dolce con aromi caratteristici del tartufo.

Gli svizzeri lo chiamano “il tartufo dei poveri”, gli Inglesi lo chiamano “il corno dell’abbondanza”, mentre i Tedeschi “le tube dei morti”. A prescindere dai nomi, esso, una volta essicato continua a profumare divinamente!  La trombetta dei morti si trova per lo più nei boschi di latifoglie, ai piedi di castagni e faggi, in ambienti molto umidi, lungo piccoli corsi d’acqua o fossati. Solitamente in folte colonie, mentre è molto più raro reperire degli esemplari singoli.

La Trombetta dei morti può essere trattata alla stregua di altri funghi, e quindi spadellata con olio ed aglio fino a quando non avranno rilasciato la loro acqua di vegetazione che non andrà completamente asciugata. Questo fungo può essere anche conservato essiccato come condimento per paste e risotti. La Trombetta dei morti, nonostante l’aspetto ed il nome non proprio rassicuranti, viene considerato un fungo eccellente in cucina ed è particolarmente ricercato dagli appassionati.

Ingredienti 

Tartufo e Trombette di morto 20 + 100 gr. (eventualmente anche solo trombette - 120 gr) 
Burro 50 gr.
Acciughe 1 filetto
Olio di oliva extravergine
Aglio 3 spicchi
Sale e pepe q.b.



Preparazione 

1.  Pulite bene i tartufi e lavate le trombette sotto acqua corrente senza asciugarle. Tagliate o schiacciate gli spicchi d'aglio, metteteli in una padella antiaderente con dell'olio evo e lasciateli dorare.

2.  Unite il filetto d'acciuga spezzettato,  aggiungete le trombette ridotte a pezzetti e rimettete sul fuoco. Tenete la padella coperta fino a quando le trombette non avranno rilasciato la loro acqua.

3.  Poi continuate la cottura facendo attenzione a non farle asciugare troppo. Aggiustate di sale e pepe a piacere.  Dopo 12'-15' di minuti di cottura, frullate il tutto con un minipimer, e poi aggiungete i tartufi grattugiati e il  burro. Lasciate cuocere a fuoco molto basso per qualche minuto.  Versate la salsa in piccole vaschette o contenitori ermetici  e quando sarà raffreddata poneteli in freezer.

4.  Se volete usarla al meglio preparate delle bruschette o dei crostini ben caldi e spalmateci sopra un cucchiaino di crema. Come antipasto è una vera delizia. Se invece preferite  un risotto (4 persone) abbinandoli alla zucca  con la zucca usate 50/60 g. di crema di tartufo e trombette che aggiungerete a metà cottura del riso. Ricordatevi di non aggiungere formaggio al risotto e quindi la mantecatura all'onda andrà fatta con il solo burro.

lunedì 14 ottobre 2013

il "fong de la bruma"

Per i vecchi dell'Altopiano non serve aspettare la "brosema" (brina), quanto piuttosto la "bruma" del mattino perché sui pascoli nasca questo fungo dai colori sgargianti. La cui tonalità dominante è il Rosso. Eppure, pur avendo un colore così intenso, questo "fong de la bruma" non è così facile da vedere, poiché si nasconde molto bene nell'erba alta dei prati lasciati incolti da poco tempo.

 È interessante notare come questi stessi funghi scarseggino nei prati dove l'uomo interviene con concimazioni intensive, o dove il pascolo del bestiame (soprattutto dei cavalli) causa una eccessiva nitrificazione del suolo; per questo motivo le Hygrocybe, a cui questo fungo appartiene, sono ritenute dei buoni indicatori della qualità del suolo, perché quando il terreno diviene acido loro scompaiono.

Come la maggior parte delle Hygrocybe, anche le punicea necessitàno di una ricerca specifica per essere trovate, in un habitat solitamente poco frequentato dai raccoglitori, ma che può svelare un piccolo mondo dove sono particolarmente numerose le specie di Hygrophoraceae (saprofite dell'humus dei prati) e di Entoloma, nonché molti altri piccoli funghi amanti dei luoghi erbosi.

Tra noi fungaioli sono sicuramente ben pochi quelli che si mettono in cammino con lo specifico obiettivo di cercare l' Hygrocybe punicea. Sinceramente io non lo faccio perché spinto da una particolare curiosità naturalistica o interesse per la diversità della specie, e neppure per riuscire a portare alla mostra micologica un fungo raro e di una bellezza unica.

 Quello che mi spinge a cercarli e raccoglierli è semplicemente perché ritengo che questo sia un fungo che in cucina permette di creare alcuni semplici piatti il cui sapore, gusto, composizione e colore sono unici. Dopo le piogge insistenti della settimana, era logico aspettarsi la loro comparsa nei prati di montagna. Arrivano sempre a cavallo della luna nuova di ottobre, segnando anche l'approsimarsi dell'ultimo walzer di fine stagione (micologica).

Innanzitutto bisogna concentrare la nostra ricerca nei prati non pascolati e non concimati perché questi funghi dai colori autunnali sgargianti non amano l'acidificazione dei terreni. Poi dobbiamo ricordarci del suo nome che ci indica che è perfettamente inutile cercarli dove l'erba è asciutta di primo mattino. Una volta individuato il prato giusto, la ricerca della nostra Hygrocybe punicea richiede un'attenzione costante, con la testa sempre piegata in basso e lo sguardo fisso ad un metro dalla punta dei nostri piedi.

La nostra concentrazione dovrà essere assoluta, dovremmo fare conoscenza con ogni ciuffo d'erba ed ogni zolla del terreno fino ad individuare una piccola macchia rossa tra i fili giallo-verdi dell'erba d'autunno. Solo allora potremmo piegarci o inginocchiarci e con le mani spostare l'erba per scoprire il tesoro scarlatto nascosto. Ogni tanto dobbiamo però riposare la nostra testa e gli occhi da questo pressante impegno.

Saremmo costretti ad una pausa sdraiandoci per terra a godere del panorama e dei profumi rustici e penetranti del cambio di stagione, ma sempre con il pensiero rivolto al "fong de la bruma" che già ci sta ammaliando con il suo fascino tutto particolare e che ci fa guardare il nostro cesto con orgoglio.

giovedì 3 ottobre 2013

Bedollo - Baita Alpina

Andando a Trento lungo la statale n. 47 della Valsugana, subito dopo Pergine, si sale verso l’Altopiano di Pinè. Da Baselga di Pinè si prosegue costeggiando prima il lago di Serraia e poi quello delle Piazze, che ricordano le atmosfere alla Schnitzler, esausti e tranquilli, con la loro solitudine fatta di canne, faggi e pini.

Passati i due laghi, e arrivati a Bedollo, si deve salire per una strada che si inerpica e che si fa sempre più stretta mano a mano che si sale tra case e villette, oltre la chiesetta di Sant’Osvaldo, fino al nuovo "parco giochi". Pochi metri prima del parcheggio del "parco giochi" sulla sinistra si trova, recentemente ristrutturata anche nella grande terrazza all'aperto, la Baita Alpina.

Solamente allora, una volta sceso dall'auto e guardandomi attorno mi rendo conto di essere come sospeso sopra ai laghi, attorniato da uno splendido bosco di betulle, abeti rossi, pini e faggi e larici che frusciano un po’ nella brezza come a darti un dolce saluto di benvenuto. E tra il bosco odoroso alle tue spalle e il prato che piega in basso verso le ultime case del paese ti appare, come nelle favole che ti raccontavano da bambino, la Baita Alpina.

Il ballatoio pieno di gerani al sole, i grandi e rinnovati tavoli all’aperto, la recinzione cintata di nuovi tronchi di legno che profumano di resina. Il tutto avvolto in un silenzio e in una quiete quasi irreale.
Dalla cucina esce un piccante e piacevole odore di carne ai ferri, mentre riesco ad intravvedere il grande paiolo dove la polenta sta finendo di cuocere. Esco a fare due passi  e ad osservare il bosco che si snoda dietro la baita, pieno di sentieri, e tra i pini e il prato il piccolo parco giochi.
Profumo di vento e di vecchi ricordi che riaffiorano alla mente.

Il menù proposto è semplice e i piatti tipici in coerenza con la tradizione della cucina trentina più classica ma con un'attenzione alla qualità delle materie che raramente si incontra in una malga. La scelta è tale che ti ritrovi in difficoltà ad ordinare, e non ti fa inquietare nemmeno la preoccupazione del prezzo, che è veramente molto modico, rispetto a quello che puoi ordinare e al bel posto che di cui puoi godere.

Alla fine mi lascio ingolosire dalle tagliatelle con i funghi porcini. E quando arriva la sorpresa più grande sarà quella nel constatare che sono realmente e solamente porcini saltati nel burro con l'aglio proprio come li farei io a casa. Ci starei delle ore e forse anche un'intera giornata, senza fretta, mentre avanzano le prime ombre della sera, radenti sull’erba con un luccichio di altri tempi.