lunedì 4 agosto 2014

Escursione: le Odle dalla Seceda

Questa è una piacevolissima e facile escursione in un ambiente d'alpeggio, dominato dalle cime del gruppo delle Odle. Dai 2.500 metri della cima Seceda, meta della nostra escursione, si ha un panorama spettacolare: dalle Odle al gruppo del Sella con uno squarcio sul ghiacciaio della marmolada, dal Sassolungo e Sassopiatto all' Alpe di Siusi e di Tires e Sciliar e per finire sul Catinaccio.


Dal Rifugio Col Raiser mt. 2100, raggiunto con la veloce cabinovia da Santa Cristina in Val Gardena, dopo aver costeggiato il Rifugio delle Odle, seguiamo il sentiero 4A che, pressoché in piano ci conduce ben presto ad un bivio. Trascuriamo ora il 4A (dal quale arriveremo al ritorno), che piega a destra verso la Baita Trojer ed il Lago Iman, e procediamo dritti verso ovest sul numero 2.
In breve arriviamo ad un bivio, poco prima di raggiungere il Rifugio Fermeda, dopo 20 minuti circa dalla partenza.

Qui svoltiamo a destra sul 1A che, in ripida salita, raggiunge, in circa 15'  il Rifugio Daniel e,  con una breve, ma faticosa salita, con ulteriori 5 minuti, la vicina Baita Mastle, ora chiusa e in disuso. Proseguiamo tenendo sempre la direzione ovest fino ad un vicino dosso erboso, dove, una volta superata la base di partenza di una seggiovia invernale, la strada sterrata piega decisamente a destra e, in ripida salita in altri 20' ci conduce alla Baita Sofie a 2.400 mt circa.

Il luogo è davvero incantevole e ci induce ad una breve pausa ristoratrice in uno dei tavoli all'aperto con la vista che spazia da est a ovest tracciando una invisibile linea di congiunzione tra le vette e le cime dei vari gruppi dolomitici quasi tutti coperti da nuvole basse che sembrano tagliare la montagna.
Il menù è ricco e vario, sicuramente stimolante, ma i prezzi sono molto distanti da quelli che ci hanno abituati le malghe e le baite in Alto Adige.


Quì i prezzi si sono adeguati ai rifugi del Trentino e alla fama del luogo.

Abbiamo anche il tempo per una breve sosta nelle sedie sdraio poste sul prato davanti al rifugio per qualche minuto di relax e ad osservare il panorama mozzafiato.

Riprendiamo il nostro cammino e con un breve tratto in moderata salita arriviamo al vicino, e già ben visibile, Rifugio Seceda mt. 2450, arrivo della funivia da Ortisei. Ora risaliamo su traccia giungendo, in 5 min. , al punto più alto dell'Alpe Seceda a circa mt. 2.500, dove e' posta una croce in legno.
Arrivati dalla croce sopra al Rifugio Seceda possiamo godere di una splendida visuale sia sulla sottostante Val di Funes sia sulle alpi di confine e sulle dolomiti.

Costeggiamo, in leggera discesa, il margine del precipizio, protetto comunque da recinzione, con bella visuale sulla sottostante val di Funes, con i suoi alpeggi in quota dove possiamo scorgere il rifugio Genova e la baita Gampen. In 10 min. scarsi dalla croce si raggiunge la Forcella Pana.

Sotto di noi osserviamo il sentiero che con ripidissima salita ed un cordino in acciaio per protezione sale dalla Malga Brogles in Val di Funes. Ci fermiamo ancora un istante ad osservare i prati di Cisle ancora fioriti prima del taglio dell'erba. Tra la miriade di fiori di tutti i colori il nostro occhio si fissa su alcuni gruppi di rigogliose stelle alpine che fanno da sfondo ad alcune foto di rito.

Scendiamo seguendo le indicazioni per la Baita Trojer ed in breve al vicino Lago Iman. Dopo il rifugio trascuriamo la deviazione a sinistra e continuiamo, ora sul 4A, fino a quando incrociamo il bivio che ci permette di riportarci sulla strada percorsa all'andata. In pochi minuti siamo di nuovo al Rifugio Col Raiser, dove in mezzo ad un violento temporale con grandine, fulmini e un violento acquazzone riprendiamo la funivia che ci riporta al parcheggio.  

Partenza: Stazione a monte della Cabinovia Col Raiser
Lunghezza: ca. 9,5 km  
Tempo di percorrenza: ca. 4 ore  
Dislivello: 480 m
Grado di difficoltà: facile per tutti

Baita Munt Wiesen a Funes

Così la lentezza è il solo ritmo che ci permette di riconquistare la vita, 
riscoperta quando scegliamo di rimandare, ..... 
quando decidiamo priorità più adatte alla nostra anima. 


La jausenstation Munt Wiesen in Val di Funes è uno dei miei luoghi del cuore che, ogni volta che ci ritorno, mi permette di assaporare a pieno quella lentezza necessaria a riconquistare le priorità più adatte alla mia anima.
Ma per tutto questo bisogna non avere fretta.

Una volta saliti da Chiusa (uscita autostradale), lasciamo la strada trafficata di fondovalle che porta a Santa Maddalena per salire a San Pietro proseguendo poi per strada stretta verso i colli e prati  con direzione Passo delle Erbe. Quando finalmente la strada inizia a spianare ci apparirà in lontananza, tra le baite che punteggiano i prati del monte, la jausenstation Munt Wiesen.

Ancora poche curve dolci, da affrontare con la giusta lentezza che un luogo così bello richiede, e, dopo gli ultimi prati (wiesen) di un verde intenso e saturo per le continue  piogge di questo luglio anomalo, siamo arrivati alla baita. Parcheggiamo l'auto sulla parte sinistra della strada a ridosso della baita. Appena scesi e fatti pochi passi  ci prende un forte desiderio di abbandonare tutto quello che abbiamo lasciato in valle e venire per sempre a vivere quassù.

E capiamo subito perché Herbert, che gestisce la baita, abbia scelto questo luogo per costruire la baita con le proprie mani, curandone personalmente la manutenzione, secondo lo stile di vita di queste valli, dove si impara fin da piccoli a saper fare di tutto.
Spesso, soprattutto se arriviamo di prima mattina per prenotare il pranzo (consigliato), sarà lui stesso ad uscire per accoglierci commentando il meteo o a chiacchierare con noi descrivendoci ciò che fa.

Poi, quando a mezzogiorno, seduti ad una delle panche dei tavoli in legno massiccio nella terrazza, scorriamo il menù indecisi su un risotto al Toroldego con noci e porcini, oppure un orzotto con un tomino di capra al miele o incerti se ordinare i canederli schiacciati con verdure al burro, o più semplicemente un semifreddo ai fiori di sambuco (straordinario) o anche solamente una radler con il pane di segale, ricordiamoci di armarci di pazienza.

Perchè Herbert qui fa tutto lui da solo, e i piatti sono fatti esclusivamente al momento.
Nulla è precotto o scongelato con il microonde. 

Herbert non si considera uno chef sopraffino, ma un "montanaro" che fa qualcosa che ama: cucinare e stare a contatto con la gente. E i suoi piatti ne sono la prova.


I piatti sono quelli della tradizione, rivisti e rivisitati con la passione di un "montanaro" puro. Quindi non stupiamoci se all'improvviso lo vediamo uscire dalla baita per dirigersi verso il prato alle nostre spalle: ha pensato di arricchire il nostro piatto con qualche erba e sta andando a prenderla direttamente nel piccolo orticello ricavato alle pendici del bosco.