lunedì 1 dicembre 2014

Asiago: Monte Fior e Castelgomberto

Due vette vicine tra loro, vicine a tante altre, eppure unite come non mai da un’unica storia: la prima battaglia delle Melette nella Grande Guerra dove sono assunte a simbolo del sacrificio e dell’abnegazione. Per entrambi gli schieramenti italiano e austroungarico queste cime divennero esempi di abnegazione che, ci auguriamo, le persone, soprattutto quelle delle nuove generazioni, ricordino e imparino a non ripetere.

Attacchi sfiancanti, difese logoranti, bombardamenti ininterrotti, mitragliamenti, ripiegamenti: un vero calvario. Sull’onda dell’entusiasmo per il facile successo nella parte iniziale della Strafexpedition, sul finire del maggio 1916, le truppe austriache si riversarono in massa alla conquista del massiccio delle Melette (Meletta di Gallio, Meletta di Foza e Meletta Davanti), e le cime del Monte Fior e Castelgomberto.

Ed è qui che le forze austroungariche non si aspettavano di trovare la più tenace resistenza che gli italiani avessero mai posto. In quell’area, fresca di schieramento si trovava la Brigata Sassari, richiamata dalle sponde dell’Isonzo, dove si trovava sin dall’inizio della guerra, e trasferita in quota in tutta fretta per supportare la scarna difesa regia proprio su queste montagne investite dall’impeto dell’attacco.

Da qui la vista spazia su tutto l’antico fronte; a nord le vette dell’altopiano, a est la piana di Marcesina e poco distante la vallata di Feltre, le cime del Nevegal e le alpi bellunesi; a ovest le cime che diverranno il nuovo fronte dopo l’assalto iniziale e a sud, girando la testa dal nemico, la Valsugana che accompagna il fiume Brenta fino a Bassano. Da Bassano finalmente alla pianura; poi Padova e Venezia, quindi la Vittoria!

Eroismo, follia bellica, ma anche pietà, umanità e senso di abnegazione. Ai piedi del Monte Fior, sui “roversi” della Meletta di Gallio, c’è Malga Slapeur; qui il comando bosniaco aveva preparato il cimitero prima ancora dell’assalto ed un’iscrizione dice tutto: “freund und feind” ovvero “per gli amici e i nemici”. Chi non veniva recuperato dal campo di battaglia dai “suoi” veniva seppellito dagli “altri”, magari gli stessi che lo avevano ucciso poche ore prima.

A camminarci oggi sembra incredibile che queste montagne abbiano potuto ospitare un evento di tale inumana vastità. La selletta Stringa collega il Castelgomberto al Fior. Una segnaletica molto ben realizzata e conservata accompagna la visita di questi luoghi sin dai primi passi. Pannelli ben pensati riportano spezzoni delle opere letterarie di chi quei momenti ha vissuto, soprattutto dal libro di Lussu, Un anno sull’altipiano, che così bene ha descritto questi luoghi e quei momenti tragici.

Dalla selletta si risale, costeggiando la trincea originale, sino alla vetta del Monte Fior ed alla galleria che ne buca l'anticima e che permetteva in un attimo di passare dal versante est a quello ovest, opera di ingegneria militare che garantiva il collegamento diretto ed invisibile tra la prima e la seconda linea. Conquistata la vetta a quota m. 1.824 si comprende il perché dell’entusiasmo austriaco nei primi momenti della battaglia: la vista è spettacolare.

Ancor più incredibile è come avessero fatto a raggiungere quella cima sotto il fuoco nemico, per salite ripidissime, sotto il sole. Commuove il sapere che entro quella stessa giornata del 7 giugno vennero ricacciati sulle posizioni iniziali e che, di li a poco, avrebbero perso anche quelle per poi doverle riconquistare a caro prezzo un anno dopo. Un continuo passaggio di mano, tragico e cruento, ma si sa, la guerra è così.

Ben tre volte il comando austriaco tentò di sfondare le linee italiane su questi monti, e ogni volta che ci riuscì dovette poi ripiegare; nel giugno '16, nel novembre '17 con le montagne imbiancate, ed ancora nel giugno del '18.  Come ben descrive Fritz Weber nel suo libro Tappe della disfatta, le battaglie che si combatterono su questi monti non produssero nessuna "vittoria" ma solo morti.

Queste vette oggi portano ancora i segni di quella tragedia, della carneficina e del tributo di vite umane che quella guerra ha preteso: migliaia di uomini in armi, bombardamenti, cannoneggiamenti, mitragliamenti, assalti, contrattacchi, ritirate, sortite, e ancora fame, sete, dolore, morte. Passeggiando per questi luoghi si rivive tutto, si viene pervasi da queste sensazioni, diventano parte di noi e, a meno che non si abbia un pezzetto di granito al posto del cuore, non ci lasciano più.



La scheda è di Stefano Turrini

1 commento:

Roberto Maggi ha detto...

Complimenti per tutto. Ho particolarmente apprezzato la descrizione del pascolo arborato e faggio, che utilizzerò, con citazione.
Roberto Maggi
romaggi2003@libero.it