lunedì 30 ottobre 2017

Sovramonte: alla ricerca delle casere a gradoni

In auto, lungo la SR 50 che collega Arsiè a Fiera di Primiero, oltrepassato il ponte Otra si svolta a destra per la SP 473 che sale a Sorriva, Zorzoi e Aune.
Poco prima di entrare nelle strette viuzze di Zorzoi sulla destra in salita, al punto panoramico con cartello descrittivo, si dirama una stretta stradina asfaltata che sale a tornanti al Col dei Mìch.
Per non sbagliare basta seguire le tabelle direzionali per "ristorante all'antica torre" con il simbolo della genziana blu. Appena sbucati sull'altipiano del Col dei Mich si trova un altro bivio con una piccola area attrezzata con cartelli e vecchie panchine. Seguiamo le indicazioni a sinistra che ci portano al parcheggio del "ristorante all'antica torre". Una volta parcheggiata l'auto seguiamo le freccie rosse dove è incollato il bollino colore arancione.

A piedi saliamo per la stradina sterrata, segnata CAI 818, verso destra che, mano a mano che si sale, si fa via via più ripida. In località Carf troviamo dapprima in un prato aperto un'altra casera a gradoni che, a causa del degrado, si riconoscono a malapena e, un po' più avanti sulla strada una terza casera con il frontale a gradoni a suo tempo ristrutturata e ampliata in altezza. Si continua a salire la ripidissima stradina fino ad un tornante (una specie di bivio).

Seguendo la stradina verso sinistra si sale alle case di Ost oppure verso destra si raggiunge subito una casetta in una bella radura. Proprio a fianco della casetta (caratteristica per una statuetta lignea sul frontone) si riconosce la mulattiera che scende al Col Fariet dove possiamo trovare un'altra bella casetta a gradoni ristrutturata.  Da qui per una stradella asfaltata in breve si raggiunge nuovamente il parcheggio del ristorante dove abbiamo lasciato l'auto.

domenica 29 ottobre 2017

Sovramonte: le casere a gradoni

Le casere a gradoni sono delle costruzioni multifunzionali nel senso di stalla, fienile, magazzino agricolo (avevano cioè la stessa funzionalità dei 'Casoni a Sfojarol' della non lontana Valle di Seren sul Grappa), parenti strette di quelle presenti in Alpago.
Questi edifici sono composti di un corpo a pianta rettangolare, composto generalmente da due vani: al piamo terra con accesso indipendente a valle vi si trovava la stalla mentre al piano superiore con accesso a monte il fienile.
La parte nord dell'edificio risulta parzialmente interrata nel pendio per permettere il trasporto diretto dei carichi di fieno. Il tetto che prevale per importanza compositiva, la simmetria dei fori di facciata e il coronamento a gradoni delle pareti nord e sud, conferiscono un aspetto caratteristico alla costruzione.
La prima domanda che ci si pone quando osserviamo queste caratteristiche costruzioni è: ma da cosa nascono questi frontoni del tetto a gradoni?
Le ipotesi sono diverse, ma probabilmente la più plausibile fa risalire la loro nascita dopo il 1300 quando si sono incontrate due culture diverse, quella germanica e quella latina, e per diversi fattori sarebbe stata introdotta, soprattutto dopo l'intenso e disastroso terremoto del 1348 e la successiva pestilenza che dimezzò la popolazione locale, questa tipica tipologia edilizia germanica.

Infatti dopo questi due catastrofici eventi si pensa che in alcune zone la ricostruzione urbanistica del territorio possa essere stata opera di maestranze provenienti dal nord europa, appositamente chiamate, le quali promossero la diffusione di tale modello a loro consono.
La seconda domanda che ci si pone è relativa al perché di questa tecnica costruttiva e a cosa poteva servire?
In una realtà, come quella di montagna, dove tutto era essenziale e doveva avere caratteristiche di durata, non si può immaginare che la tecnica costruttiva dei "frontoni a gradoni" non dovesse servire ad uno scopo ben preciso. Le costruzioni avevano caratteristiche tali da consentire la loro massima durata, ed erano il frutto di una cultura secolare che aveva selezionato i tipi edilizi migliori, compatibilmente con il materiali a disposizione.

Così l'ipotesi più palusibile interpreta la particolare conformazione a gradoni dei frontoni come strettamente connessa al manto di copertura originario; la copertura vegetale (in paglia) richiedeva infatti una buona protezione dalle infiltrazioni laterali della pioggia battente come pure dai venti che potevano sollevarla e rovinarla facendole perdere la sua peculiare caratteristica. Poi i gradoni venivano protetti da una copertura di lastre di pietra; le lastre venivano così impiegate per il coronamento della linea di gronda per agevolare lo scarico delle acque.

Bibliografia
M. Vedana, Malghe e casère a gradoni. Tracce di matrici culturali germaniche nell'architettura tradizionale, in Insediamenti temporanei nella montagna bellunese, a cura di D. Perco, Comunità Montana Feltrina - C.D.C.P. - Quaderno n.14, Libreria Pilotto Editrice, Feltre 1997, pp. 157-172.
M. Bortot - G. Rossi, Tesi di laurea Sulle tracce della cultura germanica nell'architettura minore della Valbelluna, I.U.A.V. Istituto Universitario di Architettura di Venezia, a.a.1995/96.

lunedì 23 ottobre 2017

Dieci anni del mio blog

Quando più di dieci anni fa mi resi conto che alcune cose di quello che avevo costruito fino a quel momento erano successe senza la coscienza di me, senza che la mia anima partecipasse appieno, ne rimasi sconvolto. E allora decisi di aprire un mio blog.
Era il richiamo della mia anima più profonda, il mio nuovo apprendistato da carpentiere in ritardo; dovevo ricostruire una parte importante di me che mi era stata sottratta.


" Su un foglio di carta, trovato chissà come, con meticolosità e pazienza, disegnai la casa che mi sarei costruito al ritorno. Il luogo che avevo scelto era lontano da altre abitazioni, in un bosco che conoscevo molto bene e all'incrocio di due carrarecce, su un piccolo rialzo."

Mario Rigoni Stern, Amore di confine, Einaudi ed.


Così cominciai a disegnare in questo spazio virtuale, come nel foglio di Mario Rigoni, la mia nuova casa lontano da altre abitazioni in uno spazio che riprendesse le forme e i colori della montagna che hanno da sempre alimentato la mia fantasia.


Così cominciai a scrivere per non morire, per continuare a credere di aver tempo, di avere ancora una possibilità di riappropriarmi dello spazio e del tempo dentro e fuori di me.
Così cominciai a scrivere incontrando molti amici che hanno condiviso questo cammino; i migliori sono stati come spiagge o montagne  solitarie e lontane. E quando mi ci sono arenato hanno lasciato sempre il segno.

Oggi, come allora, in questo mese i colori, i suoni e gli odori del bosco e dei campi continuano a conquistarmi in una dolce malinconia, e ai piedi dei faggi cerco un luogo dove accucciarmi per meditare sulla vita che in questi dieci anni è corsa via lasciandomi come dono i ricordi più dolci di tante stagioni oramai passate, di persone con cui ho condiviso molto, e che ho amato e che ora diventano preghiera di ringraziamento.

domenica 22 ottobre 2017

Dieci anni del mio Blog - dedicato a Elena

....ora mi sovviene un passo di una lettera di Dino Buzzati (pubblicata da Lorenzo Viganò nel bellissimo cofanetto “I fuorilegge della montagna”, contenente i testi e i racconti dello scrittore bellunese dedicati ai monti), nel quale l’autore di “Barnabo delle Montagne” confessa:
ora mi sembra di non poter essere felice che sulle montagne e di non desiderare che quelle”.



Sembra di sentire, nelle parole di Buzzati, l’eco dell’eterna nostalgia di un luogo “altro”, diverso, più elevato, quasi il simbolo materiale del sottrarsi per un momento al mondo e alle cose terrene.
La ricerca, appunto, del proprio “luogo dell’anima”, dello spirito, l’unico luogo dove è ancora possibile, davvero, “essere felici” con se stessi.
Questo e solo questo voleva essere la montagna e questo Blog.


domenica 15 ottobre 2017

Roana: Altar Knotto: una escursione autunnale

L'Altar Knotto è un luogo intriso di fascino e mistero, con un panorama stupendo verso la Val d' Astico e verso la Pedemontana vicentina. Nelle giornate di sole, come quella che ci ha accompagnati in questa splendida e calda domenica di ottobre, i boschi misti del Campolongo si tingono di giallo, arancio e marrone bruciato quando sono i faggi a predominare, come in questa facile escursione.


Il grande masso si trova nel territorio di Castelletto di Rotzo, il più occidentale e, forse, il più antico dei comuni cimbri dell'altipiano di Asiago. Cos'è, cosa evoca, cosa ha rappresentato, cosa si svolgeva in epoca preistorica sulla piatta tavola di questo enorme masso, prima di tutto sicura magia della natura? L'etimologia delle parole con le quali è identificato, àltar, Altar-knoto, Eltarle, cioè altare, pietra dell'altare, altaretto, si rifà alla forma della pietra che in parte è simile ad un altare e fa subito supporre che lì venissero celebrati dei riti pagani agli Dei.

L'Abate Agostino Dal Pozzo ci ricorda che "... i popoli settentrionali avevano a venerazione le grosse pietre, specialmente se queste soprastavano a qualche precipizio....Credevano altresì che dentro, o sotto di esse pietre soggiornassero i Genj tutelari dei luoghi, e soprattutto i Nani, i quali, come abbian detto, amavano di abitare nelle pietre."
 

La grande formazione rocciosa a strapiombo sulla Val d’Astico, a 1334 metri di quota, è sempre stata fonte di miti e leggende per gli abitanti dell’Altopiano. “Sul monte, dopo i neri boschi d’abete – così descrive il luogo Mario Rigoni Stern ne “L’Altopiano dei Sette Comuni” (ed. Cierre) – si apre nel cielo una chiara radura coperta da ginestre e dove affiorano le ossa della Terra: macigni grigi levigati dal Tempo. Sotto precipita una valle con paesi sparsi lungo il fiume e, lontano la pianura fino al mare. La mia gente saliva fin quassù portando la vittima per il sacrificio; il popolo restava in silenzio fra le ginestre e le pietre, mentre i sacerdoti per un cunicolo si accostavano all’Antico Sasso in bilico sul baratro”.

Raggiungerlo è facile, salendo da Rotzo verso il monte Verena lasciamo la macchina al terzo tornante, alla curva chiamata del Tellale. Qui inizia la strada sterrata, segnata come sentiero CAI 802 che sale con leggera pendenza addentrandosi nel bosco. Il percorso si snoda verso ovest rimanendo sempre nel bosco misto a prevalenza di latifoglie, e dopo una radura la strada diventa un sentiero che sale in modo più sostenuto fino all'ultima ripida parte che ci conduce all'Altaburg.

Quì, dove è posta una croce, la fatica viene compensata da un magnifico panorama.
Questo, come molti dei toponimi dell'Altopiano, deriva della lingua cimbra e significa Antico Castello.
Se ci fosse o meno un castello od un vecchio borgo, resta un mistero.

Torniamo sui nostri passi fino al bivio da dove siamo arrivati e svoltiamo a sinistra lungo il sentiero che corre sul crinale della montagna, il panorama resta celato dalla fitta vegetazione, che in autunno si colora di tutte le tonalità dal giallo al bruciato, finchè non si arriva ad una radura dalla quale riusciamo finalmente a vedere il vero protagonista della giornata, l'Altar Knotto.

Una volta che siamo usciti dal bosco lo possiamo ammirare in un pianoro dall'alto.
Ma volendo, se abbiamo qualche esperienza di progressione in ferrata, possiamo scendere all'antico altare seguendo verso nord un piccolo crepaccio. A monte, tra gli arbusti possiamo scorgere uno stretto anfratto dove dobbiamo calarci. Niente paura, nella roccia sono stati infissi dei gradini di pioli di ferro che aiutano la discesa e soprattutto la successiva risalita.

Lasciandoci alle spalle questa meraviglia, proseguiamo ancora per qualche minuto nel bosco fino all'Alta Kugela (antico covolo o riparo). L'ultima tappa di questa escursione, dove ancora la roccia è protagonista.  Riprendiamo la strada sterrata, dapprima in leggera salita e poi tra lunghi tratti in piano e qualche discesa, così che dopo circa 30' scendiamo sulla strada asfaltata che porta al Verena, a qualche chilometro di distanza dalle auto.

Si può proseguire lungo questa carrabile, ma se si presta attenzione vi sono nel bosco delle segnaletiche (segni bianco-rossi) che ci indicano delle scorciatoie così da rendere il ritorno più breve.