venerdì 30 settembre 2011

Da Musiera al Ciste

"Ogni volta mi incanto, le emozioni straripano..... e subito, forti e decise, mi trascinano là sul sentiero ..... là con te.
E' la voglia di condividere il passo, di farmi contagiare dal tuo amore per la montagna.
"

Così scriveva Giuseppe nel settembre del 2009 nel raccontare l'indimenticabile esperienza di cima Cece in ricordo di Giorgio.

Mi sveglio alle 6 che è ancora buio con la certezza che sarà una splendida giornata confermata dalle previsioni del meteo trentino che guardo di sfuggita prima di finire di preparare lo zaino con le cose essenziali.

Alle 7 e 30 breve sosta per un caffè a Telve e poi, una volta imboccata la strada per il Passo Manghen, in meno di mezz'ora sono sull'altopiano di Musiera.
Parcheggio in località Vinante (1.476 m) e prendo la strada forestale che passa a monte di Villa Longo.

Poco dopo incontro una prima radura con due splendide baite illuminate dalla luce del primo mattino. Rimonto il pendio fino a raggiungere il limitare del bosco, dove incrocio una comoda strada forestale che con pendenza moderata, lunghi traversi e tornanti sale il fianco sud-est della montagna, in mezzo ad uno bosco meno fitto dopo il recente taglio.

Dopo aver sfiorato Col Marino (ma non si vede nulla perché sempre all'interno del bosco) salgo ancora fino ad una specie di passo dove il paesaggio si apre un po' e riesco finalmente a vedere sul versante opposto, verso nord-ovest, il Monte Ciste. Ora, seguendo sempre il sentiero cai, piego decisamente verso nord percorrendo una piccola valletta che si fa un po più ripida sotto la cima del Salubio (1.886 m).

Proseguendo per iA questo punto il sentiero cai 381 svolta a sinistra accompagnandomi sul versante nord del Monte Cucco tra un bosco di larici che stanno vestendosi di giallo per l'imminente cambio di stagione.
Sui rami dei larici si muovono indaffarati i crocieri, uccelli della famiglia dei Fringillidi.
Rosso acceso per i maschi e verde-giallo per le femmine.

Sono bellissimi: con il loro becco uncinato – kreuzschnabel è il soprannome che gli danno in Tirolo – aprono le pigne dei larici e ne mangiano le sementi.
Rallento il passo e in questo silenzio assoluto, interrotto solamente dal loro canto che si mescola con quello dei finchi e dei pettirossi, mi soffermo per un'istante che sembra eterno.

La tentazione di restare quì è forte, ma lassù ho un appuntamento e così riprendo il sentiero che in breve scende alla forcella Lavoschio (1.750 m).
Il cartello sat indica 1h e 20' di cammino, ma in 1h si riesce tranquillamente, risalendo la dorsale est (Coston del Ciste) dapprima per boschi, poi per una bella brughiera ed infine per roccette, a raggiungere la cima.

Da qui la vista spazia a 360° verso i monti della Val dei Mocheni, le cime della parte centrale del Lagorai, il massiccio di cima d'Asta e a sud su tutta la catena Ortigara-Cima Dodici.

Oggi volevo arrivare in cima solo per lui, solo per lasciargli un segno, un ricordo..

Poi a malincuore ridiscendo dalla forcella alla ex malga Lavoschio (oramai ridotta ad un rudere) per imboccare, a destra, la strada forestale che in un'ora circa mi riporta a Vinante in Musiera.



Partenza: Vinante - Musiera (1.467 m)
Arrivo: Monte Ciste  (2.186 m)
Dislivello complessivo: 940 m
Distanza: 12 km
Tempo: 4 h e 30'
Difficoltà: nessuna

domenica 25 settembre 2011

Davide ... e il mondo diverso che vorremmo

L’altra sera stavo con Dania, Stefano, Matteo e Giuseppe nel patio fuori casa ad ammirare la luna e laggiù nella pianura oltre la valle le luci dei paesi che sembravano dei piccoli presepi in miniatura.
Mentre Dania allattava il suo bimbo al seno, io, circondato da uno sciame di pensieri inutili, cercavo di mettere a fuoco il tempo in cui viviamo e in cui tanti sopravvivono.
Ad un tratto, tra le varie divagazioni, ho provato ad immaginare come potrebbe essere la vita futura di Davide.

Nascere oggi significa correre il rischio di avere una consolle come mamma e internet come papà visto che spesso entrambi i genitori sono costretti al lavoro full-time perchè un solo stipendio non basta a soddisfare le esose richieste della moda capitalista e di una "migliorata qualità della vita".
Nascere oggi significa spesso avere un cellulare a 10, massimo 11 anni ma poi ritrovarsi costretti a convivere con le pochissime possibilità di trovare un posto di lavoro dopo i 20 anni.
Nascere oggi significa essere circondati da laureati al Cepu, raccomandati, arrivisti, faccendieri ed ipocriti e vedere, di conseguenza, vanificati i propri sforzi accademici e le ore passate ad immagazzinare nozioni che forse serviranno a poco o nulla.

Nascere oggi significa forse dover studiare come matti fino ai 24/25 anni, fare altri 10 anni di "gavetta" e arrivare ai 35 con due lauree, un master, 10 anni di esperienza lavorativa e sacrifici economci per guadagnare poi, se si è fortunati, 1200 euro netti al mese.
Nascere oggi significa vedere veline ed escort in Parlamento e mafiosi semianalfabeti alla guida del paese.
Nascere oggi significa "scrv cme in un sms anke qnd nn è assltmnt necsrio" e creare 10 gruppi inutili al minuto su facebook.
Nascere oggi significa forse avere 5000 "amici virtuali" e non poterne abbracciare nemmeno uno.


In questo mondo non riesco a scorgere né tantomeno a stringere qualcosa di vero e concreto. Sembra un tempo nato per passare frivolo e inconcludente quello che vivo io e che, tra 20 anni, vivrà Davide che ora ciuccia inconsapevole ed incolpevole di tutto questo dal seno di Dania.
Ma nascere oggi per Davide significa anche ricreare per Dania un nuovo legame con la vita che le aveva sottratto una persona speciale qualche tempo fa.

Così Davide diventa una speranza, un anelito di fede per un mondo diverso come lo era stato per Severn Cullis-Suzuki, "la bambina che zittì il mondo per 6 minuti…….."

giovedì 15 settembre 2011

Treporti, Saccagnana e Le Mesole

Come ho già detto in altri topic, per chi ama il contatto con la natura, questa zona della laguna nord costituisce un percorso di grande fascino, pieno di angoli nascosti e solitari, dove pittoreschi orti si alternano a barene e valli da pesca.

Riprendiamo quindi un viaggio, interroto a giugno, attraverso i borghi rurali lagunari di Treporti, Le Mesole, e Saccagnana, alla scoperta di paesaggi insoliti e suggestivi che diventano dei luoghi privilegiati per osservare con discrezione un ambiente che ogni volta che ci torno mi sembra assomigliare sempre di più ad un paesaggio dell'anima.
Dal piazzale di S. Maria Elisabetta (Cavallino), imbocchiamo a destra via Pordelio che, costeggiando a destra la laguna, ci porta alla rotatoria dove, svoltando a destra attraversiamo il primo dei tre ponti per arrivare al centro di Treporti, piccolo centro abitato che prende il nome dall'antica presenza di tre bocche di porto ora scomparse, con la sua chiesetta dai due caratteristici campanili.

Facciamo una piccola pausa per gustarci qualche "cicheto" accompagnato da "un'ombra" alla Locanda Zanella difronte alla Chiesa.
Ma da cosa deriva la parola cicheti? Dal latino "ciccus", piccolissima quantità.
A Venezia e in tutto il litorale della laguna i "cicheti" si possono tradurre come stuzzichini.
Anticipano il pranzo o la cena e molte volte sono una scusa per una piccola pausa in cui si beve, si mangia, ma soprattutto si discute e si chiacchera.

Una volta inforcata nuovamente la bicicletta, svoltiamo a destra all’altezza del cimitero di Treporti, per continuare lungo l’argine seguendo le indicazioni per Le Mesole. Continuando per circa un chilometro tra orti di insalate, zucchine e carciofi, che rendono particolarmente pittoresco questo angolo di laguna, finalmente raggiungiamo il cortile di un'antica villa rinascimentale recentemente restaurata, conosciuta anche come il "Convento de Le Mesole".

Il Convento delle Mesole risale al XIV secolo e sembra che il suo nome faccia riferimento ad un antico monastero femminile sorto nel 1380 proprio in questa località. Secondo altre fonti invece, il nome deriverebbe dal fatto che l'edificio sorge in un territorio un tempo appartenuto a una delle tante fondazioni monastiche lagunari che utilizzavano questi territori per le proprie coltivazioni agricole.

Il convento delle Mesole è l’edificio principale dell’abitato di Mesole ed è uno tra gli edifici più antichi della zona. L’edificio è a due piani, con una facciata dall’intonaco bianco e si caratterizza per il grande focolare sporgente dalla parete, sovrastato da un camino quadrangolare. Nelle vicinanze dell’edificio sorge un piccolo oratorio di origine seicentesca. In origine l'oratorio era intitolato alla Visitazione delle Beata Vergine, in quanto custodiva al suo interno una pala raffigurante la Vergine con i Santi Giovanni Battista e Rocco, poi nell’Ottocento cambiò titolo e venne dedicato a S. Maria del Carmine, probabilmente perché il dipinto originario fu sostituito da una pala cinquecentesca raffigurante la Madonna del Carmine col Bambino e due santi.

Facciamo ritorno per la stretta stradina che si snoda lungo gli argini in mezzo al paesaggio lagunare che separa in maniera netta le zone salmastre di barena dalle zone tranquille d'acqua dolce. Ora il nostro passo è divenuto più lento come il sole che sembra rallentare la sua corsa nel momento in cui inizia a tramontare. Inoltrandoci in questo paesaggio che si fa via via più suggestivo ci sembra quasi di scivolare a pelo d’acqua, con la stessa eleganza e delicatezza dei molti abitanti della laguna che incrociamo: garzette, cormorani, gabbiani, aironi…

Arriviamo in Saccagnana quando oramai le luci della sera hanno lasciato il passo al buio della notte illuminata dai pochi lampioni delle case.
Decidiamo di fermarci all' Osteria dal Pupi all'incrocio tra la via del Prà e via Saccagnana.
L'atmosfera è quella delle tipiche osterie della laguna, punto di ritrovo per i locali e punto di sosta per chi in bici vuole arrivare a Lio Piccolo.
Il menù è quasi esclusivamente di pesce; dal risotto di pesce al forno, alla pasta con carciofi e capesante, al tortino di alici, ecc..

Purtroppo non ci sono posti disponibili poiché è già tutto prenotato.
Peccato, ma ci ritorneremo; questa è una promessa.

lunedì 12 settembre 2011

Lagorai: giro del Montalon



Partenza: Hotel Rifugio SAT Lagorai (1.300 m)
Massima elevazione: Forc. Val Sorda  (2.256 m)
Dislivello complessivo: 1.270 mt
Distanza: 18 km
Tempo: 7 h e 10'
Difficoltà: impegnativa per lunghezza e dislivello





Questa è una escursione discretamente impegnativa non tanto per il dislivello, che comunque resta pur sempre di 1.200 metri, quanto per la lunghezza. Infatti si tratta di un mini trekking di circa 18 km, da farsi in giornata, quindi per camminatori allenati.
Nessuno vieta comunque, avendo una tendina e un certo spirito d'avventura, di spezzare il percorso in due giornate campeggiando al Montalon o al lago Stellune.

In compenso si attraversano dei paesaggi sicuramente tra i più belli del Lagorai, toccando ben quattro magnifici laghetti: il Lago di Montalon, presso la forcella omonima, il Lago delle Stellune, i due Laghetti delle Buse Basse vicino a Forcella Valsorda.
Il segreto per fare queste "scalcagnate" senza soffrire troppo, almeno per chi scrive, oltre ad un buon allenamento beninteso, è quello di prendersela comoda.

Quindi partire prima possibile, e poi andare ad un ritmo lento in modo da diluire lo sforzo nell'arco di tutta la giornata, concedendosi molte soste o pause ristoratrici, e soprattutto contemplative E' il modo migliore per andare in montagna, senza l'assillo dell'orologio: guardare i panorami, osservare flora e fauna, fare fotografie, soste di riflessione e di silenzio.


Da Strigno, in Valsugana, si risale la Val Campelle (indicazione per Rif. Crucolo) fino al Rifugio Hotel SAT Lagorai (1.300 mt) dove si lascia l'auto.
Si segue il sentiero cai 362 che ci porta ai prativi sotto la Malga Montalon lasciandoci alle spalle l'ombra della peccetta.
Poco prima di lasciare il bosco è d'obbligo una breve sosta al capitello in legno dedicato a San Antonio di Montalon.


Montalon era la più vecchia malga del Lagorai purtroppo non più in uso, che conservava l'originaria tipologia delle baite di un tempo.
Al basamento costruito con sassi a secco si sovrapponeva la struttura lignea costituita da travi intrecciati tra loro.
La copertura era originariamente in scandole di larice o abete.



Dalla malga, sempre per sentiero ripido ma ben segnato, rimontiamo successivi costoni fino allo splendido Lago Montalon in circa 30-40 minuti.
Poco distante dal lago c'è la forcella omonima,  dove una volta raggiunta svoltiamo a destra per segnavia 322, proseguendo in costa con leggeri saliscendi per circa 2 km, fino a quando scorgiamo più in basso lo splendido Lago delle Stellune.


Anche il lago delle Stellune è un posto favoloso per piantarci la tenda.
Proseguendo sempre verso est arriviamo con leggera salita alla Forcella Valsorda, il punto più elevato del percorso a quota 2.256 m, dove è possibile osservare lungo la dorsale nord del Montalon numerosissime tracce di trinceramenti e ricoveri della Prima Guerra Mondiale.
Ora lasciamo per un momento il sentiero per puntare per comodi prativi direttamente ai Laghi delle Buse Basse.
  Per tracce, scendiamo al primo laghetto visibile, poiché il sentiero si tiene distante verso nord. Qui giunti, ci affacciamo verso valle a scorgere il secondo e più grande lago, circa 50 metri più in basso
E' sicuramente il luogo più bello del percorso; un posto che ci induce a fermarci e, nel silenzio più assoluto, a riflettere. La Storia ci dice che sulle rive di questo lago, migliaia di anni fa, gruppi di cacciatori preistorici accendevano i fuochi dei loro accampamenti.


Lasciamo a malincuore le fantasie e le riflessioni che ci induce questo luogo e andiamo a recuperare il sentiero che abbiamo abbandonato sotto forcella Valsorda nel punto in cui incrocia il segnavia 317 che piega decisamente verso sud e che ci permette di rientrare con un lungo traverso in parte esposto fino a Malga Valsorda Seconda a quota 1.900 m.


Qui si hanno due alternative: scendere per la comoda, ma eterna, strada forestale sterrata, oppure proseguire per il sentiero 317 nel bosco fino nel fondovalle e, prima del ponte Conseria, seguire a destra le tracce di sentiero che risparmiandoci quasi 3 km abbondanti di strada asfaltata, ci permette di raggiungere il punto di partenza passando per Malga Zoppetto.

E' un percorso poco frequentato, ad eccezione della prima parte, mentre il più classico itinerario che parte dal Passo Manghen è frequentato.
Questo percorso ci permette di vedere un angolo di Lagorai inedito con paesaggi grandiosi e selvaggi.


lago delle Buse Basse al tramonto con sullo sfondo cima D'Asta




sabato 3 settembre 2011

Proviamo a salvare la cultura e la tradizione delle malghe

Dobbiamo imparare e capire che le tradizioni e la cultura della malga ruota intorno al latte e alla sua trasformazione, che deve avvenire necessariamente nella stessa malga.
E questo per due ordini di motivi. Il primo è un motivo economico, perché se togliamo la possibilità al malghese e al casaro di trasformare in loco il latte e quindi di vendere direttamente il suo prodotto, gli togliamo la maggior fonte di reddito.

In secondo luogo perché senza il processo di trasformazione la malga viene svuotata della sua anima, diventando un mungimificio in linea con la logica del produttivismo quantitativo. Con il rischio che anche la malga diventi il palcoscenico della finzione, con le dimostrazioni ad hoc di lavorazione del latte ad esclusivo uso e consumo dei turisti, come già succede in alcune rinomate località del Trentino.

Alcuni per giustificare la scelta di trasportare nei caseifici a valle il latte prodotto in malga sostengono che tale operazione rappresenta una forma di sostegno al sistema delle malghe perché permette una riduzione degli oneri di manodopera legati alla trasformazione del latte. Ma alleggerire il peso dell'attività d'alpeggio significa che il personale viene ridotto al minimo con quello che ne consegue in termini di socialità. Se poi l'operazione più impegnativa, oltre alla conduzione al pascolo del bestiame, diventa la mungitura (a macchina) allora può essere sufficiente anche personale non particolarmente qualificato e privo di legami con la tradizione del territorio.

Questo significa che dalla malga possono sparire il casaro, gli attrezzi, e i locali per la conservazione e trasformazione del latte nonchè quelli per la stagionatura dei formaggi. A questo punto la Malga può diventare solamente un museo, un baito per la caccia o un rudere che lentamente cadrà nell'oblio.

Ricordiamoci però, e prima che sia troppo tardi, che Malga ha la radice indoeuropea melg = mungere, da cui il latino mulgeo, l'inglese milk, il tedesco melken e molti dei nomi derivati da questa radice (es. malghera = ”caseificio”) rimandano in modo specifico alla lavorazione del latte.
Inoltre le Malghe, se messe nelle condizioni di operare la raccolta e la trasformazione del latte e la successiva vendita diretta dei prodotti derivati, hanno una valenza fondamentale nella conservazione paesaggistica ed ambientale del territorio che equivale a qualcosa come il 20% della superficie territoriale delle Alpi.

Le Malghe infatti in molte zone, come ad esempio nel Lagorai, sono fondamentali nel mantenimento del territorio alpino perché con la loro dismissione gli alpeggi verrebbero sostituiti da incolti e da nuovi boschi che renderebbero difficoltoso il mantenimento della sentieristica che dal fondovalle sale in quota. Inoltre verrebbero a mancare gli unici punti di appoggio nelle lunghe escursioni ad anello o nei mini-trekking (ricordo che nel Lagorai non ci sono, o sono quasi nulli i rifugi e i ricoveri).


Per chi volesse approfondire la tematica delle malghe di montagna vi linko un Blog molto interessante e piacevole
Antichi mestieri

giovedì 1 settembre 2011

Crudità di edulis e carlina con scaglie di Vezzena

Il nome Carlina deriva da Carlo Magno che si racconta attribuì alla pianta il potere di curare la pestilenza.
In realtà appare più probabile una banale deformazione della parola carduncolos, diminutivo di cardo e il nome starebbe quindi, per piccolo cardo.
Acaulis perché priva del gambo.

Carlina acaulis è una pianta erbacea perenne che cresce nei pascoli magri calcarei della zona montana. Il gambo è breve o nullo mentre le foglie rigide e grandi sono lanceolate e pungenti, strisciano sul terreno a forma di rosetta. I capolini floreali si chiudono quando il tempo muta al peggio, per questo in alcune zone alpine viene anche volgarmente chiamata Carlina segnatempo.

I ricettacoli dei capolini, noti come “pane del cacciatore”, sono eduli, utilizzabili come i cuori dei carciofi tagliati a piccoli pezzi, oppure messi a cuocere con lo zucchero in poca acqua, fino ad ottenere una purea dolce-piccante, ottima da utilizzare come la mostarda.
Le radici invece, tagliate a rondelle e private della parte interna legnosa, possono essere utilizzate per fare canditi, una prelibatezza se coperti di cioccolato..


Anche se la raccolta, il trasporto e soprattutto la cura la rendono una pianta difficile da usare in cucina per me rappresenta una vera delizia soprattutto se consumata cruda assieme a qualche edulis trovato in alta quota.
Il tutto condito con una semplice vinagrette e spolverizzato con del Vezzena di Malga Biscotto.
Chiaramente accompagnato con un Cartizze Bisol, il miglior bianco al mondo.