giovedì 20 ottobre 2011

Il bosco in cucina

Dopo il caldo estivo, queste prime settimane di autunno arrivano quasi come un miraggio portando in eredità i frutti che la buona stagione ha maturato. I boschi si tingono di sfumature impossibili perfino da raccontare nella loro fugace apparizione.
Per i più l’autunno è questo: aria fresca, cieli tersi e il sole che via via si abbassa sull’orizzonte e illumina il mondo con una luce radente, ideale per esaltare lo spettacolo della natura con foto imprevedibili.

Credo sia stato sempre così, ma per i protagonisti di alcuni racconti di M. Rigoni Stern (La storia di Tonle, L'anno della vittoria)le speranze dovevano necessariamente trasformarsi in raccolto; quello delle castagne. Un anno senza castagne era una sciagura immane per quella gente; un anno da castagne era una festa. Gran parte della povera economia di questi monti si basava sui frutti della “pianta del pane”.
Per secoli le mille declinazioni della castagna hanno costituito la base dell’alimentazione rurale dei piccoli paesi a ridosso della pianura, integrata, quando possibile, da pochi cereali e solo in seguito da patate e mais.

Che l’annata sia abbondante o meno, come lo è quest'anno, succede di inoltrarsi in un castagneto e si finisce per camminare letteralmente sulle castagne. E allora capita di fermarsi un momento a riflettere, e osservando quella coltre di sottili spine che proteggono i preziosi frutti, il pensiero torna ai racconti sentiti nelle lunghe sere d'inverno quando, non essendoci ancora la tv, si faceva filò e lentamente ci si addormentava ascoltando i racconti degli adulti.

Riandando a quei racconti riusciremo a capire che questi castagneti non sono nati così; questi alberi li ha piantati qualcuno che li ha innestati, li ha curati e dopo qualche anno ha cominciato a raccoglierne i frutti. Qualcuno che si è spaccato la schiena per tentare di conquistare quel tanto che bastasse per sfamare la sua famiglia. Qualcuno che di quel bosco non sprecava proprio nulla, altro che calpestare le castagne. Perfino i ricci servivano per accendere il fuoco e le foglie per fare il letto alle vacche.
Ed ecco che quelle cascine diroccate, ridotte ad un cumulo di pietre, riacquisteranno la loro dignità e cominceremo a capire il mondo che le ha create, la civiltà che le ha usate e custodite, il ciclo che le ha rese necessarie proprio lì, nel mezzo di un bosco marginale, lontano dalla nostra comoda auto e immerse in quel che prima ci pareva soltanto come una natura selvaggia, che di selvaggio ha solamente la nostra ottusa capacità di averle abbandonate.
Nient’altro.

E dei frutti di quel castagneto che cosa ne vogliamo fare ? 
Già, perché se c’è chi si prende la briga di fare questo lavoro e recuperare quei prodotti, poi occorre che qualcuno li compri, e soprattutto capisca che cosa farsene, come prepararli o direttamente mangiarli.
Ed ecco entrare in gioco la ristorazione, che ha un ruolo chiave in questi processi.


Com’è possibile che in certe zone nelle quali si percorrono chilometri in mezzo ai castagneti ci si fermi a mangiare e non ci sia verso di sentirsi proporre una castagna?
È un po’ come se nelle Langhe non proponessero il vino a tavola.

Tornando alla ristorazione, il punto di forza sta proprio lì, nel raccontare a tavola le eccellenze di quel territorio, non solo per deliziare e soddisfare il cliente, ma anche per suscitare in lui la voglia di riprodurre a casa gli stessi sapori che avrà assaggiato.
Sarà quasi impossibile, è vero, ma la voglia verrà lo stesso e occorrerà comprare i prodotti locali con i quali preparare quella ricetta.

Ed è in quel preciso momento che si realizzerà la vera promozione territoriale, fatta di emozioni vissute direttamente e di piacevoli ricordi da rivivere in luoghi diversi, in momenti diversi, a volte gustando un piatto o sorseggiando un vino.
Ecco che quel bosco di castagni non sarà più solo un bosco ma diventerà una coltura, un coltivo come un altro, un luogo dove si produce cibo, che per questo va protetto, curato e custodito.

E allora se ne avete voglia andateci, ne vale veramente la pena: Il Bosco in cucina 

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