domenica 29 dicembre 2013

Dipendenza dalla neve ? No, grazie

E' il titolo di un bell'articolo a firma di Simone Papuzzi (Presidente Regionale CAI-TAM Veneto) apparso sull'ultimo numero della rivista ufficiale del CAI nazionale - Montagne 360-:
" Dopo una lunga fase di emigrazione verso le zone di pianura più industrializzate che ha visto il progressivo spopolamento delle montagne, si è assistito ad una sensibile inversione di tendenza grazie al miglioramento dello stile di vita locale dovuto principalmente al boom turistico, legato inizialmente alla pratica dello sci alpino. In talune zone si è così assistito ad un impressionante sviluppo degli impianti a fune che ha fatto dimenticare per alcune decine di anni i disagi, le povertà e la crisi occupazionale tipica delle Terre Alte.
Purtroppo, pur essendo passati tanti anni, il turismo di montagna per molti operatori ed amministratori risulta ancora incentrato sulla monocultura dello sci alpino."

Questo pensiero ottuso continua a perseverare anche se in tempi recenti  la situazione è notevolmente cambiata e il settore appare in stagnazione se non, in alcune zone, decisamente in crisi.
I cambiamenti climatici, poi, stanno influenzando negativamente le scelte di coloro che vorrebbero continuare a costruire ed ampliare gli impianti a fune, alimentando così la conseguente speculazione edilizia iniziata ancora negli anni del boom turistico invernale della montagna.
Infatti i modelli climatici regionali predicono, per le Alpi, un aumento della temperatura media che porterà ad avere inverni meno rigidi e con precipitazioni più piovose che nevose, come è successo in molte zone del Veneto e del Trentino nei giorni scorsi.

"Sempre secondo gli studi condotti da molti ricercatori e dalla Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi (CIPRA) risulta che le stazioni sciistiche con partenza sotto ai 1500 metri di altitudine non avranno più la garanzia di un innevamento naturale già dai prossimi anni, se non da questo.
La strategia a questo problema, per il futuro, non potrà comunque essere l'innevamento artificiale. Il consumo d'acqua per l'innevamento artificiale è così immenso da creare seri problemi alle attività collaterali come l'agricoltura, e non è per nulla certo che la quantità d'acqua disponibile sia sufficiente a coprire il fabbisogno, anche perché in futuro potrebbe esserci troppa acqua in autunno-inverno e troppo poca d'estate. Tali cambiamenti avranno quindi gravi ripercussioni sull'economia dell'acqua e necessariamente sull'agricoltura e selvicoltura."

Questo significa, secondo questi studi, che gli impianti sciistici potranno essere economicamente vantaggiosi soltanto se situati oltre i 1700 -1800 metri di quota.
Inoltre lo sviluppo sciisctico, come abbiamo già detto, ha portato negli anni del boom ad una speculazione edilizia non più sostenibile tanto che già ora c'è abbondanza di case e stanze in moltissime località alpine. E molte strutture restano invendute, chiuse e sfitte per la maggior parte dell'anno, dando a queste località la sembianza di luoghi abbandonati come il set di un film western.

Bastava recarsi nell'Altopiano di Asiago solamente un mese fa per rendersi conto di questa situazione.
Era veramente desolante mentre attraversavo i paesi sentire un silenzio spettrale e vedere l'abbandono che regnava nei centri di Gallio e Asiago con la quasi totalità dei negozi, bar ed esercizi commerciali chiusi.
E, in luogo delle luminarie risaltavano agli occhi i cartelli colorati di "vendesi" e "affittasi".

Il problema è che molti operatori turistici ed amministratori dell'Altopiano sono ancora ottusamente convinti dell'utilità e della necessità per la loro montagna di perseguire un turismo invernale unilateralmente orientato allo sci e quindi dipendente in maniera univoca dalla neve.
Prova ne siano i recenti progetti per rilanciare lo sci messi in bando dalle Amministrazioni comunali di Asiago e Gallio per poter utilizzare i fondi ODI (Fondo per lo sviluppo dei Comuni di Confine). 

Tutto questo mentre il comprensorio sciistico delle Melette, gestito da sempre dalla famiglia Marchesi, è in vendita per problemi finanziari. Sono infatti lontani i tempi in cui questa famosa stazione sciistica negli anni del boom poteva contare quasi mezzo milione di passaggi annui. Oggi con le nevicate irregolari degli ultimi anni (come avevano previsto gli studi del CIPRA) ha avuto punte massime di 2 mila sciatori concentrati nel periodo natalizio.

Tutto questo mentre il paese di Foza recentemente è stato protagonista per una settimana  di una troupe televisiva nipponica, guidata dalla regista Yuki Koikeda, per realizzare un documentario di 30 minuti che andrà in onda sulla rete televisiva BS Nippon Television.
Foza è stata scelta perché ritenuta, assieme ad altri 38 piccoli paesi della penisola italica, uno dei borghi più belli, tant'è che la serie di documentari si intitola “Chiisana Mura No Monogatori”, ovvero “Racconto dei Borghi Meravigliosi”.

L'idea, come ha spiegato la stessa regista in una intervista al Giornale di Vicenza, è di «far scoprire ai giapponesi l'Italia minore, fatta di paesi e popoli, dove alle bellezze naturalistiche e panorami mozzafiato si abbina il lento incidere del tempo, mantenendo il sapore dell'autenticità». 

Forse, sarebbe opportuno che gli amministratori di Gallio ed Asiago, prima di progettare ampliamenti e ammodernamenti degli impianti sciistici, chiedessero proprio ai giapponesi in visita a Foza quali sono le peculiarità e le prospettive per un turismo sostenibile e di richiamo per tutte le stagioni (e non solo quella sciistica) dell'Altopiano di Asiago.





lunedì 23 dicembre 2013

"I hån lai a pizzle vrost un höarme asó debl"

"Ho solo freddo e un po’ di debolezza" - rispose in cimbro alla domanda del dottore che Le chiedeva come si sentiva. E dal momento che il dottore era giovane e non conosceva quella lingua, Tönle tradusse.

Primo capitolo della "Trilogia dell'altipiano", La storia di Tönle Bintarn, bracconiere e pastore, che, avendo ferito una guardia regia, è costretto a fuggire tra le montagne dell'Altipiano di Asiago, forse rappresenta qualcosa di più di un quadro realista raffigurante il panorama culturale e storico dell'infanzia di Mario Rigoni Stern.

Siamo dunque nel 1866, quando il Veneto fu coinvolto nel terzo conflitto d'indipendenza del Regno d'Italia. Le vicende si susseguono tra viaggi in cerca di lavoro, gli anni che passano, la neve e il freddo che si fanno coprotagoniste, un'amnistia che arriva troppo tardi, una solitudine vissuta nell'anonimato.

Gli eventi si accavallano, si addensano velocemente; sono essi stessi che comandano il racconto. Tönle non disprezza la solitudine, anzi lui vorrebbe essere lasciato in pace, lui, seppur informato, fugge dal coinvolgimento politico di una guerra che avversa ed odia perché voluta dai regnanti e non dalla gente.
 Lui ama la solitudine, il distacco dalle necessità, dal potere e dai conflitti e desidera essere uno spettatore.

Quello che vuole è solamente tornare alla sua Huamat (in lingua cimbra), che non è la patria come la intendiamo noi, ma quel luogo che lui sente che gli appartiene; il suo gregge, la sua pipa, i suoi prati erbosi, le sue montagne, la casa e le colline ricoperte di neve,  il suo piccolo mondo antico.

"L'Altopiano rimane pur sempre la mia terra, matria e patria: qui posso raccogliere storie da raccontare; leggere i segni dei boscaioli; ascoltare e seguire le voci della natura; lavorare, amare....... E quando il vento morde il tetto e il mulino del cielo non si stanca a macinare neve, ricordare e raccontare".

La storia di Tönle Bintarn è la memoria storica di Mario Rigoni, delle sue origini, dei suoi antenati, di un mondo ormai lontano che l’evento della Grande Guerra ha cercato di distruggere. Tönle diventa allora l’emblema della libertà, la radice ancestrale che lega l’uomo alla natura, ai suoi monti, alle sue abitudini, alle stagioni della vita, agli autunni dal rosso pastello delle foglie, agli inverni silenziosi, al fumo odoroso della legna nel camino.
In poche parole alla cultura e all'"identità" della gente di lingua cimbra.

Ci sono voluti due anni di lavoro e otto riscritture per donare alla comunità cimbra il testo più lungo scritto nella sua lingua da tempo immemore. Tönle Bintarn edito dalla Provincia Autonoma di Trento su concessione gratuita dei diritti da parte dell’editore Einaudi e della famiglia Rigoni Stern è la traduzione nell’Antica Lingua del romanzo più bello di Mario Rigoni Stern, che proprio così soleva definire Storia di Tönle premio campiello 1978. Già nel testo originale in italiano la lingua cimbra riaffiorava continuamente come un grande fiume carsico, i protagonisti del romanzo si esprimevano infatti in cimbro e ora finalmente si sono riappropriati del tutto della loro lingua madre.

Ideatore ed autore di questa traduzione è Andrea Nicolussi Golo, che alcuni di voi ricorderanno per aver scritto quel "Guardiano di stelle e di vacche"  che tanto mi appassionò e coinvolse durante l'estate di due anni fa.
E giovedì 19 dicembre a Lusiana, all'interno della Rassegna SenzaOrarioSenzaBandiera,  Andrea ha presentato questo suo ultimo lavoro in una serata indimenticabile, rotta talvolta da commozione vera, anche grazie alla collaborazione di Marco Crestani che ha introdotto alcune letture in italiano, poi tradotte e recitate in lingua cimbra da Andrea.
Questa è stata una di quelle sere che ti riconciliano con il mondo, dove si è respirata aria di quel paesaggio interiore, quella geografia dell'anima che ognuno di noi cerca per tutta la vita. Chi, come Tönle Bintarn, è così fortunato da incontrarla, scivola come l'acqua sopra un sasso fino ai suoi fluidi contorni, e ..... si sente a casa (Huamat). J.H.

" Si sentiva bene ora, non c’erano più rumori di battaglia ma solamente un vento leggero tra i rami degli ulivi. Scendeva la sera e anche la pianura verso il mare si rasserenava: il cielo prendeva il colore dell’acqua marina. 
Si sedette sotto un ulivo, ricaricò l’orologio senza sapere che le ore trascorse di quel giorno erano quelle di Natale; accese la pipa, si appoggiò al tronco dicendo a voce alta: «Sembra una sera di primavera» e si ricordò quella di tanti anni prima quando dal margine del bosco aspettava che l’ombra della notte facesse svanire il ciliegio sul tetto per rientrare in casa."

mercoledì 11 dicembre 2013

Orme sulla sabbia

Sai cos'è bello, qui?
Guarda: noi camminiamo, lasciamo tutte quelle orme sulla sabbia, e loro restano lì, precise, ordinate.
Ma domani, ti alzerai, guarderai questa grande spiaggia e non ci sarà più nulla, un'orma, un segno qualsiasi, niente.
Il mare cancella, di notte.
La marea nasconde.
È come se non fosse mai passato nessuno.
È come se noi non fossimo mai esistiti.


Se c'è un luogo, al mondo, in cui puoi non pensare a nulla, quel luogo è qui.
Non è più terra, non è ancora mare.
Non è vita falsa, non è vita vera.
È tempo. 
Tempo che passa. 
E basta...


dal libro "Oceano mare" di Alessandro Baricco

martedì 12 novembre 2013

L'autunno nei ricordi

Da piccolo mi ricordo che aspettavo l'autunno e l'inizio del nuovo anno scolastico, allora coincideva con il 1 di ottobre, per andare con il papà nel bosco.
Ci vestivamo, come quando mi accompagnava a caccia, calzando gli stivaloni di gomma e, prima di salire in bicicletta sistemavo con cura bloccandolo il bastone ricurvo di nocciolo che lui stesso mi aveva costruito, poi si partiva arrampicandoci per la strada in salita che portava ai castagneti.

Lui mi portava nei boschi delle colline appena sopra la casa dove abitavamo a cercare i castagni più grandi e belli, quelli che producevano i "marroni" più grossi e precoci.
Mi ricordo la luce tiepida dei raggi del sole autunnale che filtrava tra i rami del bosco, il canto dei primi tordi che facevano la spola tra i vigneti e il bosco, quello dei finchi montani, del pettirosso e delle cince che lui mi insegnava a distinguere.

In quei momenti avevo la certezza quasi assoluta che qualsiasi insidia o pericolo avessi corso lui sarebbe corso in mio aiuto e mi avrebbe salvato.Certezza che mi appartiene ancora adesso che lui non c'è più.
Mi insegnava a schiacciare con gli stivali i ricci per fare uscire le castagne, e ad utilizzare il bastone per scovare qualche marrone dimenticato tra quelli battuti dal contadino con le lunghe canne a pertica e rotolati verso i cumuli di foglie e ricci.

Raccoglievo anche i ricci più belli e ancora chiusi per portarli a scuola dalla maestra. Qualche volta capitava di trovare alcune castagne con i segni dei dentini di qualche scoiattolo. Io non li vedevo, ma sapevo che erano lì. E mi sembrava di vederli saltellare tra i rami sopra mia testa mentre ci osservavano per controllare che non rovinassimo nulla.

L'odore dell'umido di sottobosco, i cumoli alti di foglie gialle e marroni dove camminare con passo lungo per sentire il rumore strusciante...come quando eravamo al mare. Si raccoglieva non solo le castagne, ma tutti i frutti autunnali che facevano parte integrante del menù stagionale: i cachi, l'uva fragola, le pere dure che andavano lessate e mangiate assieme alle patate, le mele cotogne.

E poi di corsa a casa con il bottino, da mostrare alla mamma, le castagne da tagliare, la brace da accendere, la pentola nera bucata e vecchia, le scintille che saltellavano sul fuoco della stufa, le castagne nei fogli di giornale e tutti intorno al tavolo, con le mani nere mentre le sbucciavamo ridendo e raccontandoci i piccoli accadimenti di quei pomeriggi incantati.

giovedì 7 novembre 2013

Mousse di castagne con coulis di cachi


Complice il bel sole di questi giorni, la temperatura ancora incredibilmente mite, questa mattina sono uscito per andare a raccogliere le ultime castagne rimaste di una stagione magra sia per il meteo sia per la "famigerata" vespa cinese che sta distruggendo i pochi castagneti coltivati rimasti nella nostra zona collinare.

Una bellissima passeggiata tra sentieri colmi di foglie secche dei castagni (e non ho potuto far a meno di ricordare quando da bambino amavo calpestare i cumuli di foglie secche raccolte assieme ai ricci ai bordi del bosco e sentire il crepitio sotto i piedi). Incantato ho assaporato il tepore del sole, i colori speziati dei castagni, dei noccioli e della roverella e dei cespugli di rosa canina.


Naturalmente l'impegno maggiore era riservato ad osservare com metodicità per terra a cercare tra l'erba tagliata di recente questi meravigliosi frutti del bosco.
Il bottino è stato un bel cesto di castagne, lucide e mature al punto giusto per finire nella pentola bollite come vuole questa ricetta.

Ingredienti:
• ½ litro di latte • 300 ml. di panna da montare • 400 gr. di castagne (lessate e spellate) • 100 gr. di zucchero di canna • 1 baccello di vaniglia

In una pentola che avete riempito d'acqua aggiungete le castagne che lesserete per 30 minuti circa.
Poi dopo averle spellate mettete le castagne in un pentolino con il latte, lo zucchero e la bacca di vaniglia, portate ad ebollizione e cuocete per 20 minuti.
Quindi togliete la bacca e frullate con il minipimer il tutto.
Montate la panna.
Successivamente incorporate delicatamente la panna con le castagne frullate.
Distribuite nelle coppette e aggiungetevi due cucchiai di coulis (salsa) di cachi

Per la salsa:
3 cachi (600 g. circa)
2 cucchiai scarsi di zucchero di canna
1 succo di limone
1 cucchiaio di Brandy, Rum o Cointreau.
Frullate la polpa pulita di 3 cachi maturi con lo zucchero e il Rum.

sabato 2 novembre 2013

Risotto con l'igroforo scarlatto



Ingredienti:  

320 gr di Hygrocybe punicea (igroforo scarlatto)
320 riso carnaroli o violone nano
due spicchi d'aglio schiacciato o uno scalogno
Brodo vegetale o di pollo (sgrassato)
100 gr di grana padano grattugiato
100 gr di burro 1 melograno maturo
Olio di oliva extra vergine
sale e pepe qb

 Procedimento:
Pulire bene i funghi lavandoli velocemente sotto l’acqua corrente e tagliarli a pezzi grossi lasciando interi quelli piccoli. Fate soffriggere due spicchi d’aglio (meglio se schiacciati), oppure uno scalogno tritato a seconda del vostro gusto personale, con poco olio e una noce di burro fino a farli dorare leggermente.

Aggiungete i funghi a pezzi e cucinateli per circa 6 – 8 minuti o almeno fino a quando avranno perso parte della loro acqua di vegetazione. A quel punto versate il riso e cuocetelo fino a quando avrà assorbito tutta l'acqua di vegetazione dei funghi che nel frattempo avranno perso il loro colore scarlatto a favore di un giallo pieno (tipo risotto allo zafferano).



A questo punto potete aggiungere un mestolo di brodo vegetale, e continuare in questo modo la cottura fino a quando il riso non sarà pronto.
Finite la cottura, dopo aver spento il fuoco, con una mantecatura con grana padano e il restante burro.



Una volta impiattato potete aggiungere una piccola manciata di grani di melograno maturo che avrete lasciato per qualche ora in frigorifero.
 In questo modo otterrete un buon contrasto tra il caldo-dolce del risotto e il freddo-aspro del melograno.



E’ un piatto veramente squisito, semplice e di rapida preparazione. Se siete veramente dei buongustai, non lasciatevi sfuggire l’occasione di gustare in questo modo l’igroforo scarlatto, fungo tanto eccellente quanto sconosciuto e trascurato da molti fungaioli.
Consiglio di abbinare a questo piatto un ottimo Prosecco Millesimato.

mercoledì 30 ottobre 2013

Crema di Trombette dei morti e tartufo

Il Craterellus cornucopioides, meglio conosciuto come Trombetta dei morti, è un fungo dall’aspetto particolare, abbastanza diffuso nei nostri boschi ed apprezzato dai cercatori. Deve il suo nome volgare al colore nero, ma ancor di più al periodo in cui fa la propria comparsa, tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre, appunto in prossimità della Commemorazione dei Defunti.

E' un fungo che é quasi impossibile da confondere con un altro. É difficile trovarlo, ma quando ne trovate uno, guardando meglio attorno a voi vi renderete conto che siete attorniati da un tappeto di trombette dei morti. Un enorme tappeto nero. Si tratta di un fungo molto simile ai "gialletti", a forma di trombetta, con un cappello cavo e il gambo; a forma di imbuto, anch’esso cavo e di consistenza floscia.

Il colore della Trobetta dei morti dipende molto dal grado di umidità; grigio con clima secco e nero con clima umido. La carne di questo fungo presenta un odore particolarmente intenso, sia prima che dopo la cottura, ed un sapore aromatico molto caratteristico. L’odore è gradevole con sentori di prugna, il sapore tendente al dolce con aromi caratteristici del tartufo.

Gli svizzeri lo chiamano “il tartufo dei poveri”, gli Inglesi lo chiamano “il corno dell’abbondanza”, mentre i Tedeschi “le tube dei morti”. A prescindere dai nomi, esso, una volta essicato continua a profumare divinamente!  La trombetta dei morti si trova per lo più nei boschi di latifoglie, ai piedi di castagni e faggi, in ambienti molto umidi, lungo piccoli corsi d’acqua o fossati. Solitamente in folte colonie, mentre è molto più raro reperire degli esemplari singoli.

La Trombetta dei morti può essere trattata alla stregua di altri funghi, e quindi spadellata con olio ed aglio fino a quando non avranno rilasciato la loro acqua di vegetazione che non andrà completamente asciugata. Questo fungo può essere anche conservato essiccato come condimento per paste e risotti. La Trombetta dei morti, nonostante l’aspetto ed il nome non proprio rassicuranti, viene considerato un fungo eccellente in cucina ed è particolarmente ricercato dagli appassionati.

Ingredienti 

Tartufo e Trombette di morto 20 + 100 gr. (eventualmente anche solo trombette - 120 gr) 
Burro 50 gr.
Acciughe 1 filetto
Olio di oliva extravergine
Aglio 3 spicchi
Sale e pepe q.b.



Preparazione 

1.  Pulite bene i tartufi e lavate le trombette sotto acqua corrente senza asciugarle. Tagliate o schiacciate gli spicchi d'aglio, metteteli in una padella antiaderente con dell'olio evo e lasciateli dorare.

2.  Unite il filetto d'acciuga spezzettato,  aggiungete le trombette ridotte a pezzetti e rimettete sul fuoco. Tenete la padella coperta fino a quando le trombette non avranno rilasciato la loro acqua.

3.  Poi continuate la cottura facendo attenzione a non farle asciugare troppo. Aggiustate di sale e pepe a piacere.  Dopo 12'-15' di minuti di cottura, frullate il tutto con un minipimer, e poi aggiungete i tartufi grattugiati e il  burro. Lasciate cuocere a fuoco molto basso per qualche minuto.  Versate la salsa in piccole vaschette o contenitori ermetici  e quando sarà raffreddata poneteli in freezer.

4.  Se volete usarla al meglio preparate delle bruschette o dei crostini ben caldi e spalmateci sopra un cucchiaino di crema. Come antipasto è una vera delizia. Se invece preferite  un risotto (4 persone) abbinandoli alla zucca  con la zucca usate 50/60 g. di crema di tartufo e trombette che aggiungerete a metà cottura del riso. Ricordatevi di non aggiungere formaggio al risotto e quindi la mantecatura all'onda andrà fatta con il solo burro.

lunedì 14 ottobre 2013

il "fong de la bruma"

Per i vecchi dell'Altopiano non serve aspettare la "brosema" (brina), quanto piuttosto la "bruma" del mattino perché sui pascoli nasca questo fungo dai colori sgargianti. La cui tonalità dominante è il Rosso. Eppure, pur avendo un colore così intenso, questo "fong de la bruma" non è così facile da vedere, poiché si nasconde molto bene nell'erba alta dei prati lasciati incolti da poco tempo.

 È interessante notare come questi stessi funghi scarseggino nei prati dove l'uomo interviene con concimazioni intensive, o dove il pascolo del bestiame (soprattutto dei cavalli) causa una eccessiva nitrificazione del suolo; per questo motivo le Hygrocybe, a cui questo fungo appartiene, sono ritenute dei buoni indicatori della qualità del suolo, perché quando il terreno diviene acido loro scompaiono.

Come la maggior parte delle Hygrocybe, anche le punicea necessitàno di una ricerca specifica per essere trovate, in un habitat solitamente poco frequentato dai raccoglitori, ma che può svelare un piccolo mondo dove sono particolarmente numerose le specie di Hygrophoraceae (saprofite dell'humus dei prati) e di Entoloma, nonché molti altri piccoli funghi amanti dei luoghi erbosi.

Tra noi fungaioli sono sicuramente ben pochi quelli che si mettono in cammino con lo specifico obiettivo di cercare l' Hygrocybe punicea. Sinceramente io non lo faccio perché spinto da una particolare curiosità naturalistica o interesse per la diversità della specie, e neppure per riuscire a portare alla mostra micologica un fungo raro e di una bellezza unica.

 Quello che mi spinge a cercarli e raccoglierli è semplicemente perché ritengo che questo sia un fungo che in cucina permette di creare alcuni semplici piatti il cui sapore, gusto, composizione e colore sono unici. Dopo le piogge insistenti della settimana, era logico aspettarsi la loro comparsa nei prati di montagna. Arrivano sempre a cavallo della luna nuova di ottobre, segnando anche l'approsimarsi dell'ultimo walzer di fine stagione (micologica).

Innanzitutto bisogna concentrare la nostra ricerca nei prati non pascolati e non concimati perché questi funghi dai colori autunnali sgargianti non amano l'acidificazione dei terreni. Poi dobbiamo ricordarci del suo nome che ci indica che è perfettamente inutile cercarli dove l'erba è asciutta di primo mattino. Una volta individuato il prato giusto, la ricerca della nostra Hygrocybe punicea richiede un'attenzione costante, con la testa sempre piegata in basso e lo sguardo fisso ad un metro dalla punta dei nostri piedi.

La nostra concentrazione dovrà essere assoluta, dovremmo fare conoscenza con ogni ciuffo d'erba ed ogni zolla del terreno fino ad individuare una piccola macchia rossa tra i fili giallo-verdi dell'erba d'autunno. Solo allora potremmo piegarci o inginocchiarci e con le mani spostare l'erba per scoprire il tesoro scarlatto nascosto. Ogni tanto dobbiamo però riposare la nostra testa e gli occhi da questo pressante impegno.

Saremmo costretti ad una pausa sdraiandoci per terra a godere del panorama e dei profumi rustici e penetranti del cambio di stagione, ma sempre con il pensiero rivolto al "fong de la bruma" che già ci sta ammaliando con il suo fascino tutto particolare e che ci fa guardare il nostro cesto con orgoglio.