“Si sporge dalla roccia su un abisso.
Il suo ceppo iniziale era sul bordo e fu distrutto da un fulmine.
Allora la radice ha ributtato in fuori, sopra il vuoto, un ramo orizzontale.
Da quello è ripartito verso l’alto: l’albero sta così appoggiato all’aria, da gomito su un tavolo.
È un cirmolo, parente dell’abete, ma più folto di rami e solitario, inadatto al servizio di Natale dei suoi simili decimati nei boschi dei pendii più facili.
Se ne sta a quota 2200, con gli ultimi tronchi che azzardano l’altezza, poggiati sbiechi su versanti scoscesi offrendo angolo retto al cielo.
Nessuno sale a tagliarlo, troppo rischioso sporgersi sul vuoto, trascinerebbe con sé il boscaiolo.
D’estate riceve il primo sole alle 6, salito dietro una cima di Fanes.
Una volta all’anno salgo a salutare l’albero,
mi porto da scrivere e mi siedio al suo piede.
A due metri da lui, ovest preciso, spuntano dai sassi quattro stelle alpine, un principio di costellazione.
Ancora un paio di metri a ovest un mugo accovacciato al suolo sparge i suoi rami in cerchio. Dentro vive una vipera, la sento soffiare poi calmarsi.
Un albero solitario ha un recinto invisibile, largo quanto l’ombra da poggiare intorno. Prima di entrarci tolgo i sandali.
Mi stendo alla sua luce.
Il cirmolo solitario è capace di biforcarsi in due rami principali, impossibile per l’abete e il larice.
Il fusto di quello quassù ha due braccia levate, parallele, una è per il fulmine. Sa di essere a bersaglio, l’altezza solitaria lo comporta. È nato dalla scarica che uccise il tronco precedente a lui.
Il fulmine è suo padre secondario. Varie paternità si succedono a cause, i loro figli a effetto. Terra è sua madre in cui si attacca a polipo di scoglio. “……
tratto da
" Il peso della Farfalla"
di Erri De Luca
ed. Feltrinelli, 2009
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