Non potrò mai ringraziare abbastanza la vita stessa per avermi riservato un'infanzia dove, quasi inconsapevolmente e pur in un contesto che mi ha privato della presenza di mia madre per un anno, sono cresciuto nella spensieratezza e nell'allegria regalati dall'affetto con cui, chi mi era rimasto accanto, mi ha sempre circondato.
Ritornando con la memoria a quegli attimi di vita apparentemente così lontani, ancora oggi mi stupisco per la forza con la quale essi richiamano in vita sensazioni che credevo di avere ormai perduto. Ecco allora l'aria profumata di cielo delle prime giornate che annunciavano la primavera quando, all'alba, spalancavo le verdi imposte delle finestre della casa dove abitavo.
Per la verità non era la mia casa ma quella dei proprietari che io inconsapevolmente chiamavo nonni e dove ho avuto la fortuna di abitare per i miei primi anni di vita. Fortuna certo, perché avevo capito già allora che proprio lì, e soltanto in quel paradiso fatto di niente, avrei imparato ad inventarmi la gioia.
E mi ritrovo ora, riandando a quei momenti, a pensare che forse tutto quello che ho vissuto in quegli anni non sia altro che un sogno.
Altre volte, al contrario ho la certezza che non sono stati solamente dei "bei sogni" (come scrive M. Gramellini).
E mentre ora mi ritrovo ad osservare, nel silenzio irreale di questi vecchi soffitti in legno, queste mura scrostate che riecheggiano ancora delle grida e delle petulanti richieste di un bambino dai biondi riccioli,scopro di avere un groppo alla gola.
Eppure, nel profondo del mio cuore, in questo momento sento che è così e non potrebbe essere altrimenti. La gioia di quell'infanzia, quei "bei sogni", è qualcosa che mi appartiene. E' qualcosa che mi ha cambiato per sempre e che mi fa sentire vivo ora come lo ero allora. A rendermela, forse, così languida è soltanto la nostalgia di persone e di attimi di vita che se ne sono andati per sempre.
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