mercoledì 24 dicembre 2008

un bicchierino di............Merry Christmas


Cappuccino di fagioli di Lamon e crema di caprino con croccante di prosciutto veneto crudo



Ingredienti:
100 g di fagioli secchi di Lamon
battuto di erbe aromatiche
olio extravergine di oliva
100 g di brodo vegetale

10 ml di panna da cucinare
130 g di caprino fresco
20 g di yogurt naturale o crema di latte
3 fette di prosciutto veneto-berico

Lasciate a bagno i fagioli secchi per una notte intera in abbondante acqua fredda.
La mattina successiva, in una pentola capiente versate due cucchiai d'olio extravergine di oliva e fate ammorbidire il battuto di erbe aromatiche.
Aggiungeteci 100 ml di brodo vegetale, un cucchiaio di sale grosso e i fagioli.
Coprite e lasciate cuocere per circa 2 ore.
Quando i fagioli risulteranno ben cotti frullate il tutto con il minipimer, sino ad ottenere una crema. Se risultasse troppo densa, allungate con dell'altro brodo. Rimettete sul fuoco e aggiungete la panna ed un pizzico di cannella.

Lasciate amalgamare bene il tutto cuocendo a fuoco molto basso per altri 20 minuti
Nel frattempo ritagliate le fette di prosciutto a strisce larghe 3 o 4 cm, eliminando le strie di grasso e appassitele in una padella antiaderente con fuoco molto basso fino a renderle croccanti.

Mettete il caprino in una terrina con lo yogurt e rendete il composto cremoso aiutandovi con una forchetta.  Coprite il fondo di ogni bicchierino con un cucchiaio del composto così ottenuto.
Aggiungetevi sopra qualche cucchiaio di crema di fagioli senza mai arrivare al bordo.
Oppure potete invertire il composto mettendo sul fondo del bicchierino la zuppa di fagioli e sopra, aiutandovi con una sac à poche, modellarvi la crema di caprino fresco, completando con qualche  pezzettino di croccante di prosciutto crudo veneto.


A U G U R I di B U O N N A T A L E

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domenica 21 dicembre 2008

A tratti, ......when the past returns



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Il tempo ha oramai reso leggero e lieve, come questa neve, il giorno del tuo strappo, del tempo speso nel momento in cui dicevi “per sempre”.
E ora le nostre vite trascorrono in una direzione che esclude l’incontro e la possibilità, aprendosi solo al silenzio reso assente .

Mi sono chiesto tante volte di quel tuo “volere” fino ad un certo giorno e poi il nulla,come se di una mano che ha tenuto stretta la tua si potesse fare ciò che si fa di un libro vecchio e sgualcito.
E tante volte mi sono chiesto se le mie parole tu abbia mai saputo,o voluto, veramente leggerle.

Le tue le ho aspettate tanto da quando lamentasti la mia indifferenza e il tuo sbadato alibi del tempo che non c’era.
Le poche e straordinarie che avevo le ho portate sempre con me, ripiegate con cura tra le pagine di un libro che non ho mai disperato di poter riempire di tempo e di profumi lasciati a metà.

Ed era un bel camminare oggi sulla neve con il pile bianco che mi avevi regalato e quelle poche parole stipate nel cuore gonfio del privilegio di averle ricevute.
E di vederle scorrere una ad una nei rivoli del disgelo, a memoria, senza poter evitare il freddo dentro e senza riuscire a trovare – in questi giorni lunghi ormai come anni – un solo indizio della disattenzione che mi avrebbe precipitato in questo solco di lontananza.
Senza riuscire a restituirle al loro tempo, come sarebbe piaciuto a me.

Ed è un ritorno a casa di malinconica dolcezza, quello che oggi mi porta via da queste seducenti montagne con poche nuvole che si allontanano all'orizzonte, ogni volta per sempre.
E oggi, come ieri, c’era tanta neve per non desiderare di partire, ma troppa per poter proseguire.
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martedì 16 dicembre 2008

Cima Manderiolo - Altopiano di Vezzena


Da Asiago prendiamo la strada per Camporovere e seguendo la statale 349 che porta a Passo Vezzena si giunge ad un incrocio con le indicazioni per Rifugio Malga Larici. Prendiamo a destra e seguiamo la strada che con qualche tornante ci porta al Rifugio.

La giornata è una di quelle che si preannunciano indimenticabili: sole, ottima visibilità e temperatura mite.
Non sembra proprio di essere ai primi di dicembre dopo una copiosa nevicata, ma in marzo con la primavera alle porte.


Giunti alla Malga, prima di metterci in marcia, ci beviamo un classico "brulé alla frutta" preparato in maniera insolita da Alessio il gestore.
Dal parcheggio si torna indietro fino alla curva da dove parte una stradina.
La meta è lì, imponente davanti a noi. (foto 2)
Fa caldo e ben presto ci troviamo a camminare con la semplice maglietta.


Quando arriviamo in prossimità di Malga Porta Manazzo facciamo una piccola deviazione, prendendo il sentiero 205, che in breve ci porta alla forcella omonima (foto3) da cui possiamo ammirare un panorama mozzafiato sulla Valsugana.


Visto che il sentiero "estivo" è battuto ci inoltriamo nel bosco restando pero' su una traccia interna rispetto al ciglio della Valsugana per maggior sicurezza.
Su questa traccia però la neve è meno battuta e si avanza con fatica.


Usciti dal bosco possiamo ammirare il paesaggio sui Fondi di Campo Manderiolo, (foto 4) un'ampia valletta assolata e silenziosa.
Ora si scende leggermente e poi si punta decisamente verso la cima.
Il sentiero è ben tracciato e la visibilità ottima.


Nell'avvicinamento alla vetta però si avverte con maggior intensità l'aria fredda che sale dalla Valsugana che ci obbliga nuovamente a rivestirci.
La salita è lunga e, mano a mano che si avanza, diviene aspra, costringendoci a controllare il respiro e ad accorciare il passo per non trovarci senza forze ed energie nella parte terminale.



Finalmente in cima; incontriamo un nutrito gruppo di sci alpinisti e ciaspolatori.
Questo e' un giro classico per la sua facilità e assenza di pericoli oggettivi.
Qui il vento è ancora più forte e freddo; non ci impedisce però di ammirare lo strepitoso panorama.
Ad ovest imponente davanti a noi il gruppo del Brenta..... e in basso a destra la Valsugana con i laghi di Caldonazzo e Levico. (foto 6)




Dalla parte opposta la cima e la dorsale ovest del Portule in tutta la sua imponenza. Una delle montagne più selvagge e meno frequentate, almeno d'estate, di tutto l'Altopiano
(foto 7)




Ci abbassiamo un pò per trovar tregua e mangiare un boccone e intanto guardiamo le discese degli sciatori.
Dopo un po', rimasti ormai soli, ci rimettiamo in cammino: ora tocca a noi divertirci.


Teniamo una diagonale con pendenza costante fino alla base dei prati dove si raccorda la stradina forestale che costantemente in discesa ci riporta alla Malga.

Where my spirit lives

Nelle sere d'inverno il muro del corridoio su cui si affacciava la mia camera rifletteva i bagliori che la stufa a legna situata in cucina mandava dalle prese d'aria.
La cucina era l'unico luogo veramente caldo della casa, non esistevano caldaie e termosifoni, e nemmeno stufette elettriche per riscaldare le stanze da letto, per questo si usava la "monega", un oggetto in legno a forma di doppio arco che serviva a tenere sollevate le coperte, e al centro del quale si metteva la "foghera", padella dal manico lungo in cui venivano poste le braci ricoperte di cenere in modo che non facessero fumo e non si spegnessero troppo presto.

Ricordo ancora la piacevole sensazione di potersi mettere a letto tra le coperte rese calde dalla "foghera", quando fuori imperversava la pioggia o la neve: ciò mi donava un forte senso di protezione e, anche se la camera era completamente fredda ed il respiro trasformandosi in nuvoletta si ghiacciava sui vetri della finestra, il sonno arrivava subito e mi rapiva nei sogni delle fiabe che il nonno mi raccontava dopo la cena.

Ma era il lumino ad olio che mia madre accendeva dopo avermi accompagnato a letto e avermi rimboccato le coperte che mi affascinava ancora di più; la sua piccola fiamma guizzava viva o anche stava immobile davanti all'immagine della madonna.
I vetri della finestra, sul lato destro del letto, ricoperti di brina brillavano come un cielo ricoperto di una miriade di stelle. Fuori lungo la strada che portava in paese il silenzio che accompagnava la neve che scendeva copiosa e leggera mi rendevano ancora più evidenti i rumori che provenivano dalla cucina: le voci lontane della mamma e del papà che discutevano con il nonno e altre volte suoni di piatti, acqua, sedie, legna.....

La neve era la gioia per me e i miei cugini, ma anche la disperazione dei nostri genitori: essa rappresentava certo l'inizio di un periodo di riposo dopo il lungo lavoro dei campi ma era anche fonte di preoccupazioni in quanto impediva i movimenti ed addirittura isolava per parecchi giorni i casolari sperduti.
Dalla finestra della cucina i miei genitori seguivano con una certa apprensione il crescere del manto nevoso, ogni ora che passava voleva dire più neve da spalare per poter uscire di casa e fare la "rotta", il sentiero cioè che permetteva di andare da una casa all'altra, o dalla nostra casa alla strada principale che scendeva in paese.

Durante le bufere più violente non era possibile scavare il sentiero, così eravamo costretti a rimanere tutti in casa, felici per non dover andare a scuola almeno per una giorno, ma un poco a malincuore perché non si poteva nemmeno uscire a giocare.
Così raccolti tutti quanti davanti alla stufa "economica", compresi i miei cugini che mi abitavano a fianco, si stava i pomeriggi e le sere d'inverno ad ascoltare letture di storie e racconti della guerra.

lunedì 15 dicembre 2008

Camminare sulla neve into the wild

Come scrive M.Rigoni Stern "il racconto di una vita parte dall'inverno e chiude il cerchio con l'attesa della neve che verrà."
Così questo nostro narrare, procedendo da una stagione all'altra, vi cammina a fianco tanto da poter calzare con il piede l'orma già impressa in una neve che ha memoria di altre nevi e di ricordi ancora vivi.

Camminare sulla neve non è uno sport ricco di emozioni come lo scialpinismo, ma è un'arte povera, un far niente pieno di cose.
Camminare sulla neve non è ecclattante come una scalata in parete, ma è semplicemente accarezzare un sentiero per uscirne dalla traccia senza impegno, per fermarsi prima, per decidere di cambiare percorso, per rincorrere un'altra idea,..per inseguire un bosco o una montagna che ti sono cari.............

Camminare sulla neve non è esaltante come skyrunning, ma è un modo per rallentare il ritmo e per un istante fare posto ai ricordi, alla memoria di persone perse da anni e da cui la vita ci ha separati

Camminare sulla neve non è assordante come una pista da sci, ma è....................

E solo allora ci rendiamo conto che, spesso, i silenzi sono importanti quanto i suoni.
Proprio come in una di quelle conversazioni che ci mettono in gioco, quando le pause contano come o addirittura più delle parole, perché ci danno il tempo di mettere meglio a fuoco i pensieri, riorganizzare le emozioni e suturare certe ferite.

Camminare sulla neve dove ogni passo diventa un respiro che muove il passo successivo e ogni respiro alimenta il nostro cuore , e quando il cammino diventa sicuro e il passo delicato allora mi piace pensare che sicuramente esiste quella invisibile via che unisce la terra al cielo.Camminare non serve per tenersi in forma, ma a dare forma alla vita.

giovedì 20 novembre 2008

You and your friends

Se c'è una cosa che ho sempre adorato nelle uscite a funghi con voi
è la capacità di leggersi reciprocamente.
Senza bisogno di spiegazioni, senza imbarazzo né fraintesi.

Il saper leggere parole e silenzi,
mentre si cammina fianco a fianco alla ricerca dei nostri "friends".

Mi piace spesso "cazzeggiare" in bosco, mentre altre volte
mi fermo a raccogliere sensazioni e pensieri dell'anima.
Ma in entrambe le situazioni mi piace sapere
che non sono stati intesi come gesti di disinteresse,
di distacco dalla vostra presenza, ne tanto meno di manifesta superiorità.

Mi piace sapere di essere stato nei pensieri e nei colori delle vostre foto,
in piccoli gesti quotidiani (una birra, un porcino raccolto).Ho adorato i profumi, i suoni e i silenzi (del bosco)
ma anche le chiacchiere e i sapori condivisi quando abbiamo sostato in malga.

Ogni nuova proposta è stata una partenza alla volta di coste e boschi ancora inesplorati,
e che un giorno non mi apparterranno più,
ma in cui oggi posso ancora orientarmi, e partire senza bagagli,
senza un "forse" e un "ma".

Ascolto in silenzio la musica che accompagna queste immagini
e sono nuovamente lì con voi, dov'erano i gesti e gli occhi,
e non c'è nulla di complicato o ambiguo in questo,
null'altro che non sia un bene grande per l'anima.

E con questo voglio solo dirvi che sono stato bene.clicca sopra la slide per vedere il video


mercoledì 19 novembre 2008

dalla Val d'Astico a Luserna per il sentiero Cai 605

Questo è uno di più interessanti e pittoreschi itinerari dell Valle dell’Astico, sia per il tracciato storico (ancora ben conservato) sia per il mutare continuo degli scenari e degli ambienti. Casoni, terrazze, gradinature, sellette, crinali, pareti e aperti panorami sulla Valle dell’Astico rendono la salita, anche se in qualche tratto aspra e dura, interessante e piacevole.Dalla Chiesa di Casotto si attraversa tutto il paese in direzione di Val Torra e tra terrazze ed orti si raggiunge il rudere del Bersaglio e poi il ponte sulla Torretta; qui il torrente carsico fuoriesce copioso dall’oscura grotta (Cogolo de le Anguàne) e dai massi sottostanti la verticale parete.
Superato il ponte e lasciato a sinistra una variante del 605 (che riprenderemo nella discesa) il sentiero continua in salita, lasciando a destra un successivo rustico restaurato. Si introduce ora in Val Torra e sta sul suo margine destro orografico. Verso la fine il tracciato si fa un po’ più selvatico e malagevole, ma in breve si riguadagna la strada asfaltata che sale dal paese (q. 700).
Siamo sul punto in cui essa entra nel vallone roccioso per penetrare poi nella vicina galleria in roccia.

Trenta metri prima della galleria, un marcato sentiero sulla sinistra della strada raggiunge in pochi minuti il Cason dei Merli (q. 768) oggi recuperato. Si sale quindi a q. 810 appena a valle del Baito del Gianfrin. Si sta ora sul sentiero in piano che, tra terrazze, porta ad un crinalino sulla Val d’Astico. Si scende al valloncello che ospita il Fontanelo de Checòn e poco oltre si sale all’omonimo baito (ristrutturato con gusto a q. 752). Molto gradevole questo crinale terrazzato e panoramico.Ci si avvia al solco della Bressavalle, al di la della quale si scorge il pianoro di Belfiore. Sull’asta del fondo ecco i Fontanèi de Belfiore, due gorghi limpidi sotto roccia che davano acqua al vicino abitato. Si attraversa la costa est della valle e si giunge a Belfiore. (q. 750).

Molte case sono oggi ristrutturate; la chiesa si staglia sullo sfondo del Toraro.
Un tempo era abitata stabilmente, anzi storicamente il vero nucleo del paese stava proprio in questa contrada contrassegnata dalla chiesetta eretta in onore di San Rocco. Sulla sommità di questo poggio gli abitanti vivevano tutto l’anno e dove si sentivano molto più sicuri dalle scorrerie e dalle invasioni che, fino al ‘600, sconvolsero la vallata. In basso, nella valle, i montanari avevano solo i fienili ma soprattutto i “casoti” per gli attrezzi (da cui il nome attuale del paese).

In seguito, fattasi più sicura la Valle, gli abitanti cominciarono a scendere per abitare stabilmente sui primi pendii del lato sinistro orografico del Torrente Astico. Gli ultimi abitanti lasciarono Belfiore dopo la seconda guerra mondiale. La vecchia chiesetta è stata ricostruita e restaurata nel 1975 con un risultato che per la verità non è per nulla in sintonia con l’architettura della contrada.

Superato il vecchio borgo il sentiero si fa più ripido e sale al pianoro del baito Cògola per poi mantenersi in quota tagliando trasversalmente la Val Grossa.
La valle mostra in alto le pareti erose che calano dall’altopiano di Luserna, in basso il solco boscoso che cala verso la valle dell’Astico.. A saliscendi, ma mantenendosi in quota, il sentiero taglia da est ad ovest tutta la parte alta della vallata sfruttando gli unici varchi che l’aspra morfologia di origine carsica consente.
Dopo aver superato l’ultimo erto canalone tracciato in un bosco rado di faggi e carpino, il sentiero si porta verso il centro di Luserna attraversando le innumerevoli terrazze sostenute da muretti a secco che, lavorate un tempo, rappresentavano gli “orti de Luserna”.
Si entra in paese e subito si ha la netta impressione di essere arrivati in un luogo particolare in cui boschi, persone e cose hanno un profumo d'altri tempi, quasi magico.

Luserna e il sentiero cimbro dell'immaginario

Lont vo Cimbarn (Terra dei Cimbri) Luserna è l’ultima isola cimbra rimasta delle Alpi.
Se si osserva una carta geografica, risulta da subito evidente come Luserna sia rimasta per centinaia d’anni isolata da tutte le restanti comunità di montagna dell’area (Folgaria, Lavarone, Asiago) permettendo ai suoi abitanti di conservare, quasi intatte tradizioni, riti e lingua cimbra.
Solo i borghi e i piccoli paesi della Valle dell’Astico le erano prossimi pur con 800 o 1.000 metri di dislivello. E il sentiero che abbiamo percorso, unitamente a quello che parte dalla contrada di Scàlzeri a Pedemonte fu per secoli il solo cordone ombelicale che ha tenuto la comunità cimbra di Luserna unita, almeno nei servizi essenziali, alle altre popolazioni non ladine del territorio.

Da qualche anno un pezzo delle antiche tradizioni di cultura cimbra viene recuperato attraverso la creazione del Sentiero cimbro dell'immaginario
L’immaginario è rappresentato dalle emozioni e dalle sensazioni che il tracciato riesce a suggerire ed evocare all’escursionista che lo percorre. Si sviluppa ad oriente dell’abitato, tra gli ampi pascoli del Rifugio Malga Campo e le abetaie di cimbrica memoria, dai nomi, che per i più sono di difficile pronuncia, come Krodjar, Lammarn, Kamp, Oberlaitn, Frattn.

Ci troviamo nel limite ovest degli Altipiani, su un ampio pianoro che si affaccia a sud sul profondo solco della Valle dell’Astico, al confine tra Trentino e Veneto. E in questa area da sempre isolata, quasi ai “limiti del mondo”, si respira l’aria e la bellezza delle terre alte. Per coloro che non volessero affrontare la salita del sentiero CAI 605 che parte da Casotto in Val D'Astico, il percorso, medio-facile, percorribile in circa due ore, può essere inserito in una giornata da trascorrere interamente a Luserna.
Nella località è visitabile anche il Centro di Documentazione con esposizioni dedicate alla storia e alla cultura dei cimbri, agli usi, costumi e attrezzi della cultura rurale cimbra e alla fauna che popola le foreste degli Altipiani.

L’immaginario è un sentiero denominato così perché lungo il suo percorso sono sistemate delle sculture in legno di leggende cimbre. Sculture che vengono realizzate attraverso un duro lavoro di intaglio operato con la motosega da un volontario del corpo forestale.
Percorrere questo sentiero addentrandosi nel bosco, anche quando lo si conosce bene perché frequentato per molti anni, suscita in me sempre una sensazione particolare, cui non so dare un nome preciso perché è un misto di più sentimenti.

Si può percepire il silenzio, che silenzio non è affatto, del bosco; il fruscio dei faggi e delle betulle che ti osservano,quasi ti tenessero d’occhio. uno scoiattolo che si inerpica veloce nell'alto di un abete rosso, il canto modulato di un maschio di gallo cedrone.
Ed è proprio questa particolare atmosfera che induce qualche volta ad immaginare la presenza anche di personaggi come il salbanel; un curioso abitante dei boschi che ti fa smarrire la strada confondendo i tuoi passi, talvolta nella nebbia, tal’altra solo nell’erba.

giovedì 23 ottobre 2008

Autunno

Si presenta cosi' lasciando dietro di se' il ricordo delle calde e solari giornate d'estate e salutando il sole che pian piano si allontana e con esso il suo rimpianto calore.
E' questo il tempo della nebbia, dell' aria fresca e umida del mattino e di crepuscoli più lunghi.
E' il tempo in cui si assapora il primo vino dopo il periodo di riposo nei tini e si sente nell'aria il profumo delle caldarroste.
E' il tempo in cui i boschi, bagnati al mattino da una fresca ed umida nebbiolina, sono meta di tanti appassionati alla ricerca delle ultime prelibatezze che la terra regala loro: chiodini, lattari, trombette da morto e le ultime finferle.
E' il tempo degli alberi oramai spogli e delle foglie che compiono la loro ultima lieve danza verso terra in un trionfo di colori caldi e sfumati..
Lasciato per un attimo il discorso altalenante delle borse, della crisi che sta investendo la finanza e che sembra si ripercuota prima o poi anche sull’economia reale, voglio dedicarmi ai profumi ed alle prelibatezze che ci dà la stagione da tanti odiata, l’Autunno, ma che per tante altre persone, in primis per me, è sinonimo di ricordi, memorie e affetti.Camminare in un bosco autunnale è un'esperienza da non perdere, soprattutto se siete in crisi.
Per fugare, momentaneamente, le ansie, le preoccupazioni, i timori di un futuro sempre più incerto, fatevi una bella passeggiata nelle colline che odorano di castagne, di funghi, di mosto, di terra umida, di rugiada; affondate i piedi nel manto naturale di foglie dalle mille tonalità di colori caldi; alzate gli occhi al cielo per gustare a pieni polmoni l’odore inebriante del bosco e gustate la gioia di raccogliere i frutti che la natura offre.
Ai tempi della scuola non vedevo l'ora di andare a “far castagne” a zonzo per le colline e fin sotto i fianchi delle montagne; il tascapane che mio padre mi aveva regalato a tracolla e qualche dolcetto da sgranocchiare.
Il silenzio ovattato rotto solo dal crepitio dei rami secchi sotto ai piedi o dal rumore dei ricci che cadono.
Il profumo del sottobosco, illuminato dai raggi del sole che filtrano tra i fogliame giallo-rosso degli alberi di castagno, sotto i quali un'infinità di grossi ricci, alcuni ormai vuoti, altri aperti solo in parte , a mostrarti tre grosse lucide castagne.


Crema di castagne e funghi d'autunno


ingredienti:
120 g. di castagne
400 g di funghi (finferle, porcini, trombette da morto, chiodini)
2 scalogni
40 g di burro
4 cucchiai di farina bianca
800 ml di brodo vegetale
40 ml di panna da cucina
sale e pepe bianco q.b.
prezzemolo
4 fette di pane toscano abbrustolito


Affettate finemente gli scalogni e fateli ammorbidire in un tegame su fuoco moderato con olio e burro; lasciateli prendere un pò di colore e poi aggiungete i funghi tagliati e cuocete per una decina di minuti a fuoco medio fino a ridurre l’acqua di cottura.
Nel frattempo mettete a lessare le castagne, dopo averle incise con il coltello trasversalmente, in una pentola con abbondante acqua, sale e qualche foglia di alloro.
Cuocetele per 30 minuti circa e poi, quando sono ancora calde sgusciatele e, dopo averle tagliate in modo grossolano, unitele ai funghi già cotti.
Unite la farina bianca con un mestolo di brodo e mescolando continuamente amalgamate il tutto.
Versate il rimanente brodo vegetale e continuate la cottura per altri 10 minuti, mescolando ogni tanto. Lasciate poi riposare la crema per almeno 6 ore. Successivamente riscaldatela fino a portarla ad ebollizione. A questo punto aggiungete la panna e un cucchiaio di prezzemolo fresco.
Servite accompagnando il piatto con una fetta di pane toscano abbrustolito.

martedì 21 ottobre 2008

Frutti dimenticati: ricordi della memoria.......3° parte


Mariolino era un folletto che abitava i boschi della Val Masiera. Una mattina di ottobre in cui si era lasciato cullare più del solito dalla sonnolenza autunnale fu svegliato all'improvviso da strani rumori. Uscì a vedere il perché di questo fermento del bosco che stava diventando persino fastidioso ai suoi orecchi e chiese spiegazioni allo scoiattolo che si stava prodigando ad estrarre dei semi da una bacca.
" Ma come fai ad essere così tranquillo Mariolino? Non hai ricevuto l'invito per la festa d'autunno?"
A quelle parole un dubbio lo assalì.

Infilata la mano nella tasca dei pantaloni si ritrovò tra le dita di tutto: delle bucce di mela oramai rinsecchite, come pure delle finferle che aveva raccolto per sperimentare una nuova ricetta, qualche castagna e........in fondo una foglia di noce strapazzata ma ancora leggibile.
Il biglietto parlava chiaro: alla radura del "buso" era organizzata per quella sera la festa d'autunno a cui erano invitati tutti gli abitanti della valle, e a cui era chiesto di portare qualcosa di particolare da gustare assieme.

Ecco perché, si disse, tutti si stavano dando un gran da fare, perché tutti stavano raccogliendo il meglio che le piante e i cespugli potessero offrire. Ora comprendeva pure da dove proveniva tutto il profumo delizioso che si stava diffondendo con la brezza d'autunno nel bosco; si trattava sicuramente di torte, pasticcini e quant'altro gli abitanti del bosco stavano cuocendo per la festa.
Preso da un'ansia indescrivibile iniziò a passeggiare su e giù per il bosco in cerca di qualche frutto o bacca, ma le piante erano state già tutte spogliate dagli altri abitanti del bosco.

Finalmente tra le foglie lucide di un albero dal tronco scuro scorse una mela dalla buccia giallo ocra: una mela cotogna. Si arrampicò sull'albero, la raccolse e una volta arrivato a casa la gettò nella pentola dell'acqua che aveva lasciato a bollire sul fuoco.
Dopo una mezz'oretta circa provò un assaggio, ma la mela era ancora dura con forte sapore asprigno e il brodo era proprio una brodaglia. Allora ritornò a perlustrare nuovamente il bosco in cerca di altri ingredienti.
Si ricordò di aver visto il giorno prima qualche piccolo grappolo d'uva fragola (raioto) rimasto nella vigna del Scalabrin. Ne trovò ancora qualcuno che, una volta a casa, mise nella pentola. Attese quindi un pò di tempo e poi tentò un nuovo assaggio. Questa volta quel liquido che sobolliva gli parve uno sciroppo per la tosse.

Disperato decise di fare un ultimo tentativo e uscì nuovamente nel bosco in perlustrazione. Fatta poca strada si imbatté in un alberello che non conosceva: fusto sottile e rami contorti e spinosi, foglie minuscole fitte e lucidi ma ancora di un bel colore verde brillante e.........dei frutti che assomigliavano molto a dei piccoli datteri.
Il folletto non ci pensò due volte e se ne riempì le tasche e una volta rientrato nella tana le svuotò nella pentola, aggiunse due cucchiai di miele e si lasciò cadere esausto nella sedia accanto al camino.

Mentre la sera scendeva veloce lui aspettava sconsolato che quella "brodaglia finisse di cuocere" e nel frattempo cercava di trovare il coraggio di fare un nuovo assaggio. Rassegnato e scoraggiato più che mai tuffò veloce un dito nel liquido divenuto nel frattempo dorato. Si bloccò all'improvviso,...... chiuse gli occhi e lasciò che le sue papille gustassero quella delizia fino all'ultima goccia. Finalmente riaprì gli occhi e con un'espressione sognante fece ruotare le pupille come fossero palline di un flipper.
Quella sera quel suo brodo ricevette più di una lode, e ancor oggi la leggenda racconta di quella particolare euforia e felicità che aveva colpito tutti gli abitanti della valle che avevano assaggiato il "brodo di giuggiole" di Mariolino.


"Brodo di Giuggiole"
ingredienti:
1 chilo di giuggiole
1 chilo di zucchero
2 grappoli di uva fragola bianca
2 bicchieri di vespaiolo
2 mele cotogne
buccia grattugiata di un limone
acqua q. b.

giovedì 16 ottobre 2008

Quando viene ottobre ......... a funghi

C’è qualcosa di magico ed ancestrale nell’andar per funghi in autunno, una suspense continua che attiva il senso della vista e lo rende aguzzo come quello di un falco a caccia e dove ogni passo può essere quello giusto, quello che svela la silente presenza delle capocchie dei cantharellus lutescens e tubaeformis perfettamente mimetizzate nel sottobosco, sfumate in quella superlativa tavolozza di caldi colori che offre il bosco di latifoglie misto a pini e abeti delle terre alte in questa stagione.

I cantarelli , più di qualsiasi altro gruppo di funghi, esprimono una personalità tale da consentire voli di fantasia capaci di dare emozioni olfattive, visive e gustative uniche.
Tutto questo, unito alle caratteristiche dell'habitat in cui crescono questi profumati e saporitissimi funghi autunnali, può provocare veri attacchi della sindrome di Peter Pan in coloro che li cercano. Infatti capita spesso durante la loro ricerca di venir risucchiati in un mondo immaginario fatto di minuscole creature, di foglie ingiallite che sembrano enormi laghi popolati da draghi, fenditure in cortecce rosicchiate dai tarli o caverne artificiali scavate dal picchio che diventano immaginari rifugi per personaggi fiabeschi.E i fossati in cui scorre l'acqua dell'ultimo temporale diventano fiumi impetuosi, le cinciallegre e i minuscoli regoli incredibili cavalcature di gnomi operosi, il cespuglio di ginepro una foresta impenetrabile oltre la quale forse si apre l'infinito.
Si possono passare ore di autentica dissociazione psichica, sparire agli occhi del mondo e ritornare alla natura, così come doveva essere molto tempo fa.

Poi le campane di una chiesa in lontananza offrono un passaggio per il ritorno alla realtà.
Il cestino di vimini è colmo di questi splendidi fiori dal colore arancio, nelle narici rimane per tutta la giornata quel profumo delicato alla fragranza di muschio e pioggia di ottobre, che si rinnova la sera mentre si preparano i funghi per la cottura.

Risotto alle finferle e filetti di pesce persico

Ingredienti:
350 g. di riso carnaroli o del Baldo
200 g. di filetto di persico
200 g. di finferle fresche
1 litro di brodo vegetale
20 g. di farina bianca
100 g. di burro
1 cipolla, 1 spicchio d'aglio
sale e pepe bianco q.b.
prezzemolo

Quando viene ottobre.... a caccia

Quando viene ottobre, con le sue piogge e le prime arie di burrasca, arrivano anche le beccacce che hanno lasciato i luoghi di nidificazione del nord Europa dove il terreno gela e il giorno è sempre più breve.
Sostano qui prima di raggiungere i luoghi dello sverno nel nostro Sud.

E' questo il momento magico del bosco oramai abbandonato dai cercatori frettolosi e vocianti dell'estate , dei silenzi che raccontano storie e favole di anguane e salbanei, di folletti e gnomi.
E' questo il momento magico delle albe nebbiose, dei colori smorzati del bosco verde-arancio-giallo in tante tonalità che a tratti una luce misteriosa rende più evidenti nel sottobosco pre-invernale.

E' questo il momento in cui i ricordi si fanno più vivi ed intensi, come quando, a caccia con mio padre, ci fermavamo ad ascoltare il campanello dei cani in lontananza e poi il trotto di un altro cane di un cacciatore solitario che passava, ci salutava con un lieve cenno del capo, si allontanava e, come un folletto, svaniva dentro il bosco.
Ricordi..........


All’improvviso un rumore ci sorprende, ma poi sorridiamo in silenzio, vedendo un riccio di castagna rotolare verso il sentiero appena percorso. Quel rumore fa emergere il silenzio che ci circonda e che ci fa inconsapevolmente trattenere il respiro.
Il ritmo del nostro cuore, sordo e profondo, sembra quasi fuori luogo in questa pace irreale, sembra disturbare la solennità dei centenari castagni che svettano verso il cielo.
Immobili restiamo in ascolto in questo strano silenzio formato da mille indistinti e leggeri rumori.
Riesco a poco a poco a percepirli grazie a mio padre che li decifra per me, mi concentro su quel leggero scricchiolio fino a capirne l’origine, due rami di betulla che si toccano mossi dalla brezza.
Lontano il grido di un Picchio Rosso sembra un rimprovero, lo immagino, puntellato sul tronco di un abete mentre con il suo fine udito intercetta il lavoro delle larve nell’anima del legno, un toc-toc-toc velocissimo interrotto da brevi intervalli di verifica, per captare pericoli e per localizzare meglio il suo pasto nascosto.
Mio padre mi indica in alto tra i rami una Cincia che balla proprio sopra la mia testa, curiosa e incosciente scende sempre più in basso, imitata come in uno strano gioco di sfida al pericolo, dal quel suo piccolo amico con il ciuffetto arancione.
Il suo allontanarsi ci fa sentire per un istante stranamente soli, ma dura poco perché la nostra attenzione viene subito attratta da un altro movimento un poco più a destra.
Osserviamo quel punto, ma nulla accade e pensiamo già di aver avuto una specie di allucinazione, quando di nuovo succede ma questa volta alzando la testa incontriamo lo sguardo buffo e quasi stupito di uno scoiattolo che, immobile sul ramo, non sa se scendere o fuggire sulla cima più alta a cercare altri frutti.
I suoi grandi occhi, sproporzionati soprattutto ora con quell’espressione di sorpresa causata dal movimento del nostro sguardo verso di lui, ci attraggono
.

.........
Pace, serenità, dolcezza, sentimenti che succhiavo avido dai gesti e dai segni più che dalle parole di mio padre. Lui riusciva a percepire e catturare dal bosco sensazioni e tesori che nella mia mente diventavano elementi di un racconto ad occhi aperti su cui continuavo a favoleggiare per tutta la giornata e che si rinnovava alla sera davanti al caminetto acceso.

Tra i possibili modi di cacciare, questo d'autunno mi faceva intensamente partecipe ad un mondo che sentivo esclusivamente mio, e che mi aiutava (e ancor oggi mi aiuta) a capire quelle stagioni della mia vita che nessuno potrà mai più rubarmi.

martedì 14 ottobre 2008

Autunno:... raccontami ancora un altro frammento


Arriva l'autunno.
Te ne accorgi e lo percepisci nella luce pomeridiana, una luce tenue che scompare in fretta accompagnata da una brezza serale sempre più fredda e pungente.
Te ne rendi conto dalla stanchezza del sole, che diminuisce le sue ore di veglia e s’addormenta presto, quando ancora non è giunta l’ora della cena.
Lo vedi nel bosco dove i larici incominciano a prendere il colore dell'oro vecchio mentre le foglie del faggio e della betulla protagoniste di una incantevole scenografia, dopo essersi cambiate d’abito, improvvisano oniriche danze per poi posarsi sull’umido terreno che sarà presto ricoperto da un manto di soffice e candida neve.
Lo senti nel vociare di chi passeggia per strada: chiacchiere sommesse che, con timidezza, rapidamente si sciolgono nell’aria divenendo presto inudibili.

Sono questi i giorni più belli per camminare le terre alte dove, in certe giornate limpide di sole e pulite dal vento come oggi, si possono ammirare le alpi imbiancate dalla prima neve e, girando lo sguardo dalla parte opposta, il baluginare dell’Adriatico e, con commovente stupore, si riesce scorgere il campanile dell’isola di San Giorgio.

E allora raccontami ancora di te, amica mia, di quel che sapeva l'autunno ai tuoi occhi quando quel cielo terso e azzurro d'autunno, come un sipario, ti schiudeva la vista alle cime delle dolomiti imbiancate dalla prima neve.
Raccontami ancora di te al ciglio del tempo attuale che scorre inesorabile e al tuo dire muto sguardo alla finestra, mentre fuori un caldo sole d'autunno ti invita ancora ad una passeggiata tardiva sulla spiaggia.

Raccontami ancora amica mia ed io sarò libro dei tuoi giorni da sfogliare, sarò pagina da scrivere quando la notte ti sorprenderà sveglia a cercare un sogno.
Allora, …… raccontami, anche solo un altro “frammento” perché io ci sarò.

lunedì 29 settembre 2008

Sound Of Silence


L'universo in cui viviamo è costituito da un universo di suoni, alcuni piacevoli, altri certamente indesiderati.
Siamo così abituati alla loro presenza che abbiamo alla fine scordato cosa significhi stare in silenzio, un'emozione e una interazione con il mondo che ci circonda di cui molti ignorano il reale significato.

Risulta effettivamente sempre più difficile tentare di rifugiarsi in un luogo isolato dal frastuono della città, o semplicemente dai rumori prodotti dal proprio vicino di casa o ancora di più dai nostri apparecchi tecnologici.
Il degrado è così esteso che sta arrivando anche in montagna e nei nostri boschi dove siamo soliti rifugiarci a "passeggio".
Risulta così sempre più difficile potersi fermare ed ascoltare il canto degli uccelli di passo che si chiamano in volo, i fischi come sospiri amorosi dei caprioli in amore, il rumore delle acque del torrente che scende a valle, o solamente il soffio del vento tra le cime dei faggi e degli abeti..

Eppure basterebbe fermarsi per un solo istante a riflettere.........
per capire che molto del rumore che produciamo è inutile, ............
per capire che è arrivato il momento per tornare al silenzio riempendolo di significati, ..........
per capire che cercare una qualità volontaria e deliberata del silenzio è un privilegio che va perseguito.

E laddove l'assedio verbale è la norma,........ il silenzio potrebbe diventare un'occasione per rivalutare il dialogo e spostarlo sul terreno della reciprocità. Non per niente quando baciamo, accarezziamo e ci concediamo all'amore il silenzio, e non la parola, è il rumore che fa da sfondo ai nostri gesti.

The Sound Of Silence era il motivo musicale che dominava la scena in quel lontano 1966, .........nella civiltà dei suoni e delle immagini, delle luci al neon e della pubblicità Simon & Garfunkel pensavano al silenzio solo come una negazione del frastuono e della confusione generate dalla civiltà moderna.
Ma la di là del rumore non c'è il nulla, ma qualcosa di molto di più: c'è il suono del silenzio, un mondo da scoprire, anzi, da riscoprire.

Il silenzio, oggi, può essere un gesto rivoluzionario.
E per un giorno mi piacerebbe diventassimo tutti autistici. Per tornare finalmente a guardarci senza parole.
Perché, ... forse, le parole che non abbiamo detto sono sempre le più giuste.

martedì 16 settembre 2008

Elogio dell'inquietudine


A torto si guarda all'inquietudine come ad una condizione interiore preoccupante e potenzialmente pericolosa.
Al contrario l'inquietudine esistenziale è il segno di una intensa vitalità dell'anima, che non si accontenta della banalità del quotidiano e aspira a una meta degna dei suoi sforzi e dei suoi ardori (Giordano Bruno parlava di "heroici furori")

Grazie ad essa, la coscienza si pone di fronte al mondo e a se stessa in un atteggiamento di stupore, ma anche di insoddisfazione per i limiti di ciò che è abitudinario, per i sentieri ormai ben noti, per gli orizzonti ristretti e ormai troppo familiari, e avverte una pungente nostalgia di ciò che sta oltre........

Essa è come un pungolo che ci sprona a non sederci sulle comodità di quanto già riteniamo acquisito
e ci sfida a osare, a buttarci, a lasciarci andare nella grande corrente dell'Essere,
dalla quale proveniamo e alla quale aneliamo a fare ritorno.
Inqueutm est cor nostrum donec requiescat in Te, Domine
"inquieto è il nostro cuore finché non trova pace e riposo in Te, o Signore"
così scriveva Sant'Agostino nelle Confessioni
e raramente un filosofo è riuscito a esprimere una tale densità di pensiero e di sentimento in una formula così efficace e sintetica.

L'inquietudine è la molla che ci proietta sempre avanti,
al di là delle certezze prefabbricate, delle verità rassicuranti............

L'inquietudine è amore del pericolo in senso esistenziale
perché ci spinge fin sul baratro di abissi che non conosciamo,
ma oltre i quali intuiamo che deve trovarsi qualcosa capace di dare un senso al nostro tendere,
al nostro interrogarci incessante, alla nostra stessa inquietudine........


L'inquietudine è una sfida che sollecita le persone mature,
abituate a vivere nella dimensione dell'essere e non in quella dell'avere;
che le obbliga a non adagiarsi mai sugli allori,
a proseguire sempre il cammino solitario del perfezionamento spirituale;

a sforzarsi di dare il meglio di sé senza giocare al risparmio.

L'inquietudine, di per sé, non rende né migliori né peggiori coloro che ne sono afferrati;
essa apre degli scenari nuovi e mette in gioco delle forze dello spirito che erano rimaste latenti.
Il suo insorgere costituisce un richiamo, il richiamo delle lontananze, delle altezze.
Il corvo ne sarà spaventato; ma l'aquila se ne sentirà vibrare tutta,
ricorderà di avere un paio d'ali possenti, e si lancerà dalla vetta della montagna che,
sino allora, gli era parsa una disperata prigione.

Fonte