mercoledì 24 novembre 2010

La semantica dell'alpinismo; ovvero la funzione meditativa del camminare

Posso solo meditare quando sto camminando. 
Quando mi fermo, la mia mente smette di pensare, 
la mia mente funziona solo con le mie gambe”'.
Jean-Jacques Rousseau



Ho fatto un bellissimo sogno!

Mi trovavo al Santuario dell'Annapurna a quota 4.250 mt, il Campo Base (ABC) del primo degli ottomila himalayani scalati dall'uomo.
Il Santuario dell’Annapurna è stato così battezzato dai primi alpinisti francesi che nel 1950 hanno scalato questa montagna: in realtà non è un santuario religioso bensì uno degli anfiteatri di montagne più mozzafiato, affascinante e grandioso del mondo.

Per molti, compresi i miei compagni di questa spedizione, il campo base è un punto di partenza, un rifugio per raccogliere le forze prima della vera salita.
Per me, in questo viaggio, il campo base è la destinazione.

Dopo quattro giorni il mio corpo ha finalmente accettato la quota e si è acclimatato. Ogni giorno richiede quattro-sei ore di cammino per trasportare ogni volta un carico, necessario alla spedizione, di materiale vario fino al campo base.
Al crepuscolo, dopo aver mangiato, circondato da bandiere di preghiera buddista e cumuli di roccia leggo fino a quando riesco a tenere gli occhi aperti.

Ed è in questo luogo, che per molti è solamente di passaggio, una tappa intermedia, che ho compreso come l’alpinismo e il trekking, siano un esercizio di meditazione. Da qualche tempo ho realizzato questo concetto ed è per questo che sono così affascinato da questo tipo di attività.

Per "meditazione" intendo un luogo di silenzio spazio-temporale che consente di lasciare fluire liberamente pensieri ed immagini nella mente come l'acqua di un fiume.
Questo fino a quando si avverte un vuoto nella mente che permette di prendere in considerazione soluzioni a problemi importanti o meno, o solamente di rilassarsi completamente.
In questi ultimi anni sento sempre di più il bisogno di questo spazio a intervalli regolari. E mi sto accorgendo anche che non sono l'unico che sente questo legame tra movimento e pensiero.

C'è un ritmo per la salita alpinistica, quanto per il camminare. E una volta trovato il proprio, questo ritmo - dopo un giorno o due - riesce a svuotare la mente. Tutti gli impegni sociali o quelli relativi al lavoro o agli amici, insomma alla vita che abbiamo lasciato nel momento in cui abbiamo iniziato il trekking, sono muti.
Non se ne sono andati, non sono spariti: solo non richiedono più una attenzione diretta e costante della nostra mente.

Ed è in questo momento che ci accorgiamo del silenzio che c'è dentro e fuori di noi.
E' come se ogni giorno della nostra vita quaggiù fosse pieno di un rumore bianco.
E all'improvviso, mentre saliamo queste montagne incredibili, il rumore si dissolve.
Per questo mentre camminiamo verso la vetta ci rendiamo conto di essere soli; certo condividiamo il cammino, la fatica e il fascino della cima con una compagna/o o amici  ma lassù saremo sempre soli con noi stessi, con il silenzio della nostra anima che finalmente si è sintonizzato con quello della montagna ad un passo dal cielo.



E coloro che l'hanno provato ci raccontano della bellezza sconvolgente di questo silenzio.....
to be continued

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