"Venezia vive nell'acqua ma non ha acqua”. Questa celebre frase di Marin Sanudo, antico diarista e prezioso testimone della vita repubblicana tra il Quattro e Cinquecento, sintetizza in modo mirabile i problemi che gli abitanti di Venezia dovettero affrontare sin dai primordi per poter vivere in un sito protetto sì dalle sue lagune, ma ben difficile da colonizzare.
La raccolta delle acque piovane è stata per secoli una pratica assidua per poter avere a disposizione acqua dolce in un ambiente, quello lagunare, sostanzialmente privo di sorgenti.
Il manufatto idraulico che permise alla città di nascere e prosperare nei secoli è la cisterna filtrante per la raccolta dell'acqua piovana: un sistema complesso e ingegnoso ma al contempo semplice e funzionale. Ancor oggi è presente quasi in ogni campo veneziano, per non parlare delle corti private di case e palazzi. Incoronato da eleganti vere da pozzo che di epoca in epoca sono state decorate in stili artistici diversi, in passato il “pozzo alla veneziana” era diffuso e ben conosciuto in molte regioni del Mediterraneo centro-orientale.
Vera da pozzo è un termine tipicamente veneziano; con esso si definisce la costruzione lapidea sovrapposta alla canna del pozzo a protezione della sua apertura. All’inizio fu un elemento semplicissimo con funzioni di sola sicurezza mentre, con il passare del tempo, divenne un ricco e pittoresco ornamento di campi e campielli.
Agli inizi della storia della città vennero scavati dei pozzi per l’estrazione dell’acqua dal sottosuolo, ma questi poterono essere realizzati solo nelle isole piu’ alte.
Per tentare di coprire il fabbisogno, che aumentava con l’espansione della città, piu’ tardi si comincio’ a raccogliere l’acqua piovana in cisterne e altra acqua venne portata con navi dalla terraferma. Solo nel Medioevo si cominciarono a realizzare dei pozzi per la raccolta dell’acqua estremamente efficienti. Venne cosi’ pavimentato ogni luogo che si prestasse alla raccolta dell’acqua piovana come le piazze pubbliche e i cortili interni delle case. Sul posto veniva quindi scavata una fossa molto profonda che a volte occupava l’intera piazza pubblica o tutto il cortile interno di un palazzo.
La fossa veniva rivestita di argilla impermeabile e poi riempita di sabbia. Si costruiva poi un pozzo in muratura che, nella parte inferiore, veniva lasciato aperto a breve distanza dallo strato di argilla. Si realizzavano inoltre dei tombini che avevano nella parte interrata delle camere in muratura chiuse nella parte inferiore da pietre naturali accumulate senza ordine. La zona veniva poi pavimentata creando dei piani inclinati che convogliavano l’acqua verso i tombini.
I pozzi permettevano quindi un accumulo di grandi quantità di acqua e il filtraggio dei quest’ultima attraverso la sabbia. Quando la vasca di raccolta era piena la pressione spingeva l’acqua verso l’alto riempiendo cosi’ i pozzi. Questo spiega perché la maggior parte delle piazze e dei cortili interni non ospitassero piante ornamentali.
A volte il luogo intorno al pozzo era stato sopraelevato in modo da impedire l’ingresso di acqua di mare nelle cisterne anche durante i periodi di acqua alta.
I pozzi pubblici erano chiusi da un coperchio con serratura che veniva aperto solo in determinate ore da un funzionario della città che vigilava sul prelievo dell’acqua tentando di impedire l’inquinamento della cisterna.
Le vere da pozzo ci raccontano il quotidiano della Venezia piu' antica, e ci offrono anche la possibilità, andando alla loro ricerca, di fare una passeggiata nell'arte e nella storia di questa città in cui tutto è straordinario.
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