venerdì 26 luglio 2013

Un Birrificio in Valsugana

Immaginatevi i prati lungo la statale 47 con un'ulteriore variazione sul tema del paesaggio agricolo. Filari di luppolo alti fino ad oltre 4 metri, come lungo l'autostrada che da Monaco va a Norimberga. Un po' di sogno, un po' di passione, all'interno del Trentino, al secondo posto per il consumo di birra in Italia dopo la Sardegna.
Di ritorno da una escursione sul Lagorai mi ricordo di aver letto su internet di un recente birrificio sorto in Valsugana con spaccio diretto e aperto al pubblico tutti i giorni. Così decido di provare a fermarmi a visitarlo e con l'occasione di acquistare qualche bottiglia di birra.

La EFFEBITI (acronimo di Fabbrica Birra Trentina) è stata fondata nel 2009. La sede è ubicata nella zona artigianale di Ospedaletto.
La prima birra prodotta nello stabilimento è stata chiamata Fravort Fresh Beer, in omaggio al monte che sovrasta lo stabilimento. Oggi lo staff di mastri birrai dell'azienda produce alcuni tipi di birre speciali ad alta fermentazione, come la Rossa del Brenta e la Bionda del Brenta, rispettivamente di 7%vol e di 8%vol.

E poi le birre più conosciute a bassa fermentazione, coma la Birra Valsugana e la Fravort Fresh. Ultimamente il birrificio sta riscontrando un grande successo anche con la keller bier, ovvero la birra cruda di cantina, che risulta molto apprezzata anche in alcuni ristoranti.

Gli ingredienti che rendono questi prodotti molto particolari sono:
- l' acqua leggerissima proveniente dalle sorgenti della catena dei Monti Lagorai;
- il malto d’orzo distico, acquistato direttamente dalle malterie artigianali;
- le varietà di luppoli aromatici e amaricanti provenienti dalla Baviera, dalla Repubblica Ceca e dal Belgio  e, da un anno, piccole quantità coltivate in loco;
-  e soprattutto l’esclusivo lievito fresh selezionato appositamente da una Università.

Perchè proprio Ospedaletto chiedo appena entrato alla persona che mi accompagna nel tour della produzione ? «Perchè è l'unico posto della Valsugana dove ho trovato un capannone alto 9 metri. E perchè qui c'è l'acqua più buona del Lagorai». Luppolo e malto vengono acquistati soprattutto in Germania e Repubblica Ceca, perché non ci sono ancora agricoltori in valle che vogliano provare ad affiancarsi a Graziella Margon a Marter nella coltivazione del luppolo della Valsugana inseguendo il sogno di questo birrificio. «Anche se si potrebbe arrivare a guadagnare fino a 50 euro al kg di luppolo».

Finito il giro mi viene proposto un boccale di birra cruda di cantina, una keller bier che mi affascina e mi spinge a comprarne una certa scorta assieme alla più famosa  Fravort Fresh, una lager stile Helles a bassa fermentazione con 4,8%vol.
Mi riavvio sulla strada di ritorno felice per questa bella sorpresa a meno di un'ora da casa mia.

giovedì 25 luglio 2013

Cruditè e profumi dei nostri monti e del mare


Cruditè  e profumi dei nostri monti e del mare


Da sinistra;

  • Scampetto marinato all'aspretto di pino mugo e cirmolo
  • Tartare di "Tonnetto rosso" di Sicilia condito con pomodorini e taggiasche su letto di estatini (B. aestivalis) spolverati con Vezzena stravecchio.
  • Branzino tagliato a carpaccio, con ovuli (Amanita cesarea) e un po' di prezzemolo, limone e olio extravergine di Pove.

Bon Appetit


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lunedì 22 luglio 2013

Lunghe giornate di inizio estate

Lunghe, e fortunatamente abbastanza soleggiate, giusto per ricordarci che abbiamo ancora un credito con il sole e il bel tempo.
Questo sarebbe un periodo eccezionale per le passeggiate in montagna, anche a quote intermedie, magari alla ricerca dei prelibati Boletus aestivali o porcini d'estate, detti volgarmente estatini, non fosse per una schiusa delle uova di zanzara in ritardo di un mesetto.

Clima gradevole, ore di luce a volontà, ma braccia sempre in movimento per respingere l’assalto continuo delle zanzare che oramai hanno invaso molte valli non solo delle Prealpi ma anche delle Alpi.
Pazienza, godiamoci il panorama: in questo caso, la parte terminale della valle con l'ex malga ora adibita a centro visitatori (un vero peccato perché si mangiava divinamente ed era un luogo di vero relax).

Passeggiando per il bosco, mi trovo in difficoltà nel non rivolgere a terra lo sguardo, figuriamoci di questi tempi in cui la ricerca dei primi boleti si sta facendo sempre più assillante.
Ed infatti, dopo una lunga attesa, si inizia ad intravedere qualche segnale di crescita.
Girovagando è facile esultare al ritrovamento di questi boleti. Soltanto da distanza più ravvicinata si può capire che ci si trova dinnanzi ad un altro fungo: il Boletus luridus

Ma... quello, visto più in alto vicino ad un giovane faggio, potrebbe essere proprio lui.
Nonostante la salita cerco di affrettare un pochino il passo con il cuore in gola. Non tanto per la fatica ma per quel misto di curiosità ed emozione che mi fa subito accelerare il battito, con una parte di me che già pregusta il successo e l'altra che tende a gettare acqua sul fuoco per mitigare un'altra possibile delusione.

Fortunatamente, dopo avere annusato quel puzzone del B.luridus, mi capita finalmente di annusare qualcosa di più gradevole e familiare: l’aroma inconfondibile dell’estatino, il Boletus aestivalis.
Dei quattro boleti che ben conosciamo, l'aestivalis  è il più profumato, quello che sprigiona un aroma così marcato di nocciola da risultare per qualcuno quasi eccessivo, ma non per gli appassionati che riescono perfino a sentirne il profumo ancora prima di scorgerlo tra le foglie di faggio.

Il Boletus aestivalis è specie termofila e lo rinveniamo nei periodi più caldi (ma non secchi) a seguito di forti piogge seguite da periodi lunghi di caldo umido e assenza di vento. Se le condizioni saranno favorevoli il Boletus aestivalis si farà vivo prima nei castagneti della fascia pedemontana, poi nelle faggete a 1000 m ai piedi dell’altopiano, e infine ai piedi delle vette della Val di Fiemme ai 1400 - 1600 metri di altitudine.

Il suo profumo dirompente, appena colto, mi sorprende ogni volta, e mi fa pregustare il suo sapore dolcissimo in cucina.
Ma purtroppo in questo periodo di inizio estate ogni volta mi preparo anche al peggio; l'invasione di vermi nel B. aestivalis risulta spesso quasi la normalità, e trovarne uno di completamente sano è un evento raro che impreziosisce ancora di più l'uscita e la raccolta.

Ma quest'anno quelli di faggeta sembrano essere sani nella stragrande maggioranza dei casi.
E questo mi rende felice e restituisce all'uscita di oggi, in questa splendida valle, il suo carattere di unicità.
Lo stupore emozionale della loro scoperta si rinnova immutato ogni anno.
E' uno stupore che coinvolge tutti i sensi....  la vista, quando Lui entra nel mio campo visivo ed il tempo sembra dilatarsi fino a fermarsi del tutto

Il tatto, quando faccio scorrere delicatamente le dita sul cappello vellutato e sul gambo col ricco reticolo in evidenza.... l'udito, quando lo separo con una leggera torsione dall'abbraccio di Madre Terra ed emette quell'inconfondibile "croc".... l'olfatto, quando lo avvicino alle narici e mi inebrio del suo profumo.... il gusto, quando alla fine andrà ad allietare il mio palato.
Bentornati aestivalis, grazie bosco.

mercoledì 17 luglio 2013

Colori e profumi del Pasubio

"Lassù dove la guerra ha fatto molto rumore, la pace e il silenzio accompagnino i nostri passi.

Solo così potremmo scoprire valli impervie e scoscese, camminare tra incantevoli boschi di faggi senza smarrire il sentiero.
Solo così potremmo salire senza paura su speroni rocciosi e guglie appuntite o camminare per crinali isolati  tra mughi e praterie di stelle alpine.


Solo così potremmo ammirare questa montagna in tutta la sua bellezza.
Solo così riusciremmo a sentire il profumo e i colori di migliaia di fiori nati dai corpi e dalle anime di migliaia di soldati che trovarono tra questi sassi la loro dimora eterna."

Dall'alto e da sinistra: stelle alpine, ginestrine, dafne odorosa, vedovella annuale

lunedì 15 luglio 2013

La Strada degli Eroi e la zona sacra del Pasubio

Da molto tempo avevo intenzione di fare questo percorso che mi avrebbe permesso di visitare la zona sacra del Pasubio.Quando ero un ragazzo ero salito al Pasubio più di una volta per la celeberrima strada delle 52 gallerie, opera splendida di ingegneria militare, ma mi ero sempre ripromesso di salire a visitare l'altopiano del Pasubio per la Strada degli Eroi.

La Strada degli Eroi è un tratto di strada carrabile costruita in seguito alla Prima Guerra Mondiale per dotare la zona sommitale del monte, zona Sacra alla Patria per decreto del 1922, di una via d'accesso sicura. La strada degli Eroi vera e propria è lunga circa 3 chilometri e collega la Galleria d'Havet al Rifugio Achille Papa alle Porte del Pasubio, e lungo la quale si trovano le targhe celebrative con i nomi dei dodici eroi.

Mentre oggi per estensione con il termine di Strada degli Eroi ci si riferisce all'intera rotabile della Val Fieno, che sale dal Pian delle Fugazze (1162 m), al confine fra la provincia di Vicenza e di Trento fino al Rifugio Papa (1928 m). La strada, chiusa al traffico è lunga nella sua interezza 10,6 chilometri, segnati da pietre miliari che ogni chilometro danno la distanza dall'inizio.

La partenza di questa escursione avviene da uno dei vari parcheggi, per la maggior parte a pagamento ma alcuni liberi, disposti al Pian delle Fugazze. Per convenienza, dal momento che una volta arrivati sulle cime del Pasubio ci siamo riproposti di esplorare l'Altopiano in lungo e largo, abbiamo deciso di risparmiarci metà salita usufruendo del servizio di bus navetta  (a pagamento ) che ci porta fino alla galleria Havet saltando così 7 km di tornanti in salita.

Una volta parcheggita l'auto siamo riusciti a prendere la navetta da 20 posti (parte quando è abbastanza piena) e dopo circa 30 minuti, fra spettacolari tornanti e incroci con nugoli di ciclisti in MTB, arriviamo alla galleria a quota 1797 m.
Arrivati, scendiamo e, pagati i 10 € a testa, ci incamminiamo lungo la galleria e verso il rifugio Papa.

Purtroppo una volta percorsa la galleria, intitolata al Generale del genio d' Havet, e passati dalla Val di Fieno alla Val Canale, ci troviamo all'improvviso immersi in una nebbia (calivo) che non ci saremmo mai aspettati.
Un piccolo squarcio nel calivo lascia intravvedere in valle le case puntiformi delle contrade sopra Valli del Pasubio.

Dopo cinquencento metri, la nebbia si alza lasciandoci intravvedere un panorama  radicalmente cambiato; sono spariti i larici e gli abeti e tutte le piante d'alto fusto sono state sostituite da rocce ed arbusti (pino mugo) in un paesaggio irreale e lunare.
In lontananza si intravvede anche il Rifugio Papa.

Lasciamo la strada degli eroi che riprenderemo al ritorno e imbocchiamo a sinistra uno stretto sentierino contrassegnato con il segnavia n. 398 e denominato sentiero delle creste che ci condurrà fino ai 2120 metri della Sella dell'Incudine.
Dopo alcuni iniziali tornati  tra rigogliosi pini mugo e rododendri in fiore, il sentiero diventa stretto e quasi sempre esposto sui ripidi dirupi del Soglio dell'Incudine.

Il sentiero risulta spesso intagliato nella roccia, in gallerie strette o sostenuto da muretti a secco ma rimane veramente divertente e poco faticoso da percorrere nonostante i continui saliscendi, risultando un vero e proprio sentiero di arroccamento dal quale potrete godere di splendide viste sulla Val Canale e sulle dirupate e scoscese pareti del Campanile della Val Fontana d'Oro, se solo sarete tanto fortunati da non trovare (come noi) una giornata nebbiosa.

In compenso ci siamo fermati almeno una decina di volte per ammirare e fotografare intere praterie di stelle alpine. Sinceramente, durante le mie escursioni, neppure sulle dolomiti non ne avevo mai viste così tante e così grandi. Solitarie, in gruppi o accompagnate da altri fiori di tutti i colori, le stelle alpine ci hanno regalato quelle emozioni che il calivo ci aveva negato. Ora capisco perché, secondo alcuni, la stella alpina è il simbolo del Pasubio.

Il sentiero, una volta raggiunta la quota più elevata dell'Incudine, in una giornata limpida offre ad ovest una vista spettacolare su tutta la Vallarsa  mentre il Pasubio nelle sue cime sommitali, traforate e percorse da centinaia di gallerie e ricoveri, dà il meglio di sè mostrando il suo ambiente selvaggio e petroso.

Questa escursione dobbiamo vederla come un "pellegrinaggio", pertanto il nostro procedere è tranquillo e condizionato dall'osservazione delle infinite postazioni militari, gallerie, caverne, manufatti, resti arrugginiti di "cose" metalliche e di ossa umane.
Ci incamminiamo per il sentiero 105 e dopo circa 30 minuti arriviamo alla cima Palon a 2232 metri.

Da qui lo sguardo, causa nuvole basse, stenta a vedere il Cornetto e il gruppo del Carega, immaginando, se il tempo fosse bello, quale sarebbe lo spettacolo. A questo punto decidiamo per una sosta cercando di riprendere le forze con quello che ognuno si è portato da casa; qualche panino, della frutta, per me le solite scorze di arancia candite (vi ricordate la ricetta dello scorso anno ?) e della cioccolata fondente.

Superiamo il Palon e cominciamo a scendere verso il Dente Italiano, ancora tra caverne e trinceramenti, resti di ricoveri e cisterne per l'acqua che doveva essere pompata dalla Val Leogra o portata a dorso di mulo per le decine di migliaia di soldati che hanno vissuto anni in questo infinito altopiano di rocce perforate da chilometri di gallerie.

Arrivati al Dente lo percorriamo verso nord, osservando le postazioni di artiglieria e di mitragliatrici, diverse tabelle illustrano gli appostamenti ed il volume di fuoco, arriviamo così al termine, o almeno a quello che rimane del Dente, una immensa frana ci si presenta agli occhi, frana dovuta ad una mina fatta brillare dagli Austriaci il 13.3.1918. La desolazione di questo ammasso di pietre ci rende tristi e ancora più silenziosi.

fine prima parte


La Strada degli Eroi e la zona sacra del Pasubio 2° parte

 Sulle pareti di una galleria, un anonimo soldato ha scritto: 
 "Tutti avevano la faccia del Cristo, nella livida aureola dell'elmetto, 
 tutti portavano l'insegna del supplizio nella croce della baionetta, 
nelle tasche il pane dell'Ultima Cena, 
e nella gola il pianto dell'ultimo Addio".

Chiunque cammini sul Pasubio, tra le sue cime e i suoi avallamenti si renderà conto di visitare un grande museo a cielo aperto.
Zona Sacra il Pasubio lo diventò a seguito di un Regio Decreto del 29 ottobre 1922, privilegio condiviso con sole altre tre zone del fronte di guerra e cioè con il massiccio del Monte Grappa, il Monte San Michele e il Monte Sabotino.

La chiesetta sul Pasubio - 1964

Al lettore attento non sfuggirà una certa coincidenza di date, forse casuale ma comunque significativa: solo il giorno prima si era svolta la “marcia su Roma” e il Decreto Legge si poneva davvero in sintonia con la monumentalizzazione e la sacralizzazione della Grande Guerra promossa poi in grande stile dal Regime fascista.


Le baracche della Brigata Liguria


 Ma quello che hanno vissuto migliaia di soldati in queste montagne non fu enfatico e glorioso ne tantomeno sacro, ma fu sicuramente eroico  per le condizioni in cui si trovarono a combattere un nemico sicuramente più preparato.
Sono andati in guerra perchè sono stati mandati, spesso costretti, altre volte coinvolti da una campagna mediatica progettata ad hoc, altre volte con promesse, sicuramente alcuni sono andati spontaneamente, addirittura come volontari.

Il Dente Austriaco da una postazione del Palon
Ma credo che la maggior parte di loro, se avesse potuto scegliere, sarebbe rimasta a casa.
Non per vigliaccheria, ma per continuare a lavorare per sfamare le loro famiglie.
Basta leggere le intense pagine di "La storia di Tonle" di M. Rigoni Stern
Credo che il loro grande eroismo non sia stato il partire, ma il restare al fronte, con le scarpe rotte e le cartucce contate, con gli ufficiali spesso incompetenti (vedi tra tutti il gen.Cadorna) e il freddo che li congelava, con le razioni che arrivavano a giorni alterni e la durezza della guerra in montagna, e infine con il tifo che li uccideva anche se si erano salvati dalle armi del nemico.

Così come accadde ad Edoardo Ostinelli, soldato che combattè sul Pasubio e la cui storia e il cui diario potete leggerli nelle pagine di questo Blog. Voglio solo riportarvi un passo accompagnandolo con una sua foto che ritrae proprio il sentiero che oggi chiamiamo la Strada degli Eroi.

La strada nel 1916
La strada oggi  - 2013
9.10.1916
Lettera 27 Antonietta……..
anche grande bombardamento venuto 
nessuna immaginazione
 potrà mai dire cosè guerra. 


Torniamo in silenzio verso la selletta comando nei pressi della quale sorge la chiesetta di S. Maria, soffermandoci qualche minuto ad ammirare il camminamento coperto progettato dal gen. Ghersi e recentemente recuperato (2010). Il camminamento collegava la Selletta Comando con la Selletta Damaggio che si trovava tra il Palon e il Dente Italiano

Poi in discesa raggiungiamo il rifugio Papa, percorrendo il sentiero 120.
L'ambiente è molto affollato sia dentro che fuori, con persone sedute sugli scalini e per terra. Probabilmente molti sono saliti per la strada delle 52 gallerie, e poichè nel nostro odierno pellegrinaggio abbiamo incontrato solo una decina di persone, deduco che forse a pochi di coloro che sono al rifugio interessa sapere e capire.

Decidiamo allora di non fermarci e di fare in discesa la strada degli eroi fino alla galleria Havet, anche se eravamo tentati dal sentiero n. 300 che, dopo una ripida discesa, scendeva lungo la Val Canale fino alla Colonia estiva di Marano. Alla fine abbiamo deciso di scendere per il sentiero con segnavia cai 179 (ex 399) che precipita nella Val di Fieno verso Pian delle Fugazze dove arriviamo verso le ore 16.

Partenza: galleria d'Havet 1.797 m
Arrivo: Pian delle Fugazze 1162 m
Massima elevazione: C.ma Palon  2232 m
Ascens acc.: 600 m
Discesa: 1196 m
Distanza con alt: 13 km e 18 m
Tempo: 6 ore e 20'
Energia: 1481,5 kcal  




domenica 14 luglio 2013

Lagorai: al Rifugio "Giovanni Tonini"

Ricordo due anni fa di aver letto la notizia dell'inaugurazione del Rifugio Tonini dopo recente ristrutturazione. La mia ultima visita al rifugio risale al mese di luglio del 2008. Sono passati molti anni da quella escursione, e visto che una pioggia leggera mi sta accompagnando dal Lago di Caldonazzo e il meteo non promette nulla di buono, abbandono l'idea del programma che mi ero preparato e decido di provare a salire al rifugio partendo dal Redebus.

Risalgo quindi in auto la Val dei Mocheni e giro a sinistra per il Passo del Redebus (m 1450) dove lascio l'auto e prendo a destra la strada sterrata (segnavia 443B) che sale tra i boschi. Dopo pochissimi minuti di cammino, in una piccola e pendente radura incontro la graziosa Baita della Faida dell'ASUC di Bedollo,recuperata e ristrutturata nel 2008 utilizzando materiali locali (pietra e legno).

Proseguo il cammino sul medesimo sentiero che nel tratto successivo si infila nuovamente nel bosco, con un piacevole andamento a sali-scendi, in mezzo ad una fitta foresta di abeti e di cirmoli. Dopo una mezzoretta di cammino mi appare un ripido rampone al termine del quale sbuco nell'ampia radura di Malga Pontara. Dal 1982 al 1986 il Coro "Abete Rosso" ristrutturò l'allora malga in disuso ai fini di ritrovo per le prove del coro stesso.

Poi trent'anni dopo è stato recuperato ed ampliato anche lo stallone. L'ingresso del locale principale, con una scala in legno che porta al piano sottotetto, sembra quello di una lussuosa struttura turistica alpina più che quello di una dimora per pastori! La casara, non svolge però servizio di rifugio ma viene solamente affittata a colonie o agli amici del coro che lo richiedono durante il periodo estivo mentre la stalla e' adibita a dormitorio per i campeggiatori.

Proseguo fino a confluire sulla strada asfaltata che proviene dal passo e in breve raggiungo il grande pascolo delle due malghe Stramaiolo, preceduto da un parcheggio dove ci sono una decina di auto. La prima malga quella Bassa che era già da tempo un agritur, ha subito un ampliamento (si chiaccherava di un ipotetico centro benessere) che l'ha ulteriormente imbruttita sia all'interno ma soprattutto all'esterno dove ora assomiglia ad una squallida pizzeria di periferia.  Fuori due auto della TV trentina stanno facendo un servizio sull'agriturismo di montagna. E mentre penso a quali "baggianate" si staranno inventando per decantare questo disney-park  mi allontano velocemente per la strada forestale con segnavia n. 443.

Prima che il bosco mi inghiotta lancio uno sguardo alla malga Stramaiolo Alta.
Qui, l'ultima volta che ci sono passato, c'era una scuola di cani da slitta che ora è sparita senza lasciare traccia, com'è destino di troppi finanziamenti europei dati a queste montagne per recuperi e valorizzazioni che lasciano l'amaro in bocca. In questa zona del Lagorai ho spesso l'impressione che i recuperi di molte malghe abbandonate siano stati finalizzati solamente ad uso personale.
"Se la fanno e se la godono" direbbe con voce rauca e in cimbro M. R. Stern.

Abbandonati i prati delle Stramaiolo, supero una erta salita che porta in breve al Passo di Campivèl (m 1830) da dove proseguo più o meno in piano e superando tre piccoli torrenti fino al rifugio Tonini. (m 1900 - ore 2:30 dal Passo).
Il Rifugio Giovanni Tonini è frutto della ristrutturazione della vecchia Malga Sprugio Alta effettuata nel 1972, quando i figli dell'ingegnere Giovanni Tonini, Chiara, Leo e Serenella, decisero di contribuire ai lavori e di intitolarlo al padre scomparso nello stesso anno.

Una volta terminato il recupero e la ristrutturazione, il Rifugio è stato poi donato alla sezione SAT di Baselga di Pinè. Al rifugio è stato aggiunto un doppio corpo in pietra e legno, col tetto in scandole. L'effetto complessivo non è male (a riprova che - quando si vuole - si può anche non fare schifezze come alla Stramaiolo Bassa). C'è anche un impianto fotovoltaico e una teleferica di servizio che giunge fin dentro l'edificio, facilitando la vita al gestore.

Nel settembre del 2000, a cura della SAT centrale, è stato inaugurato il ristrutturato "stallone", poco sopra il rifugio. Questa struttura, indipendente, è utilizzata per le attività di alpinismo giovanile.
Quando arrivo il tempo sembra mettersi al peggio e qualche goccia di pioggia inizia a scendere. Entro ma con mia sorpresa trovo la sala ristorante e la piccola saletta del bar già piena di gente.

Ordino una fetta di torta e mi accomodo fuori sotto il porticato.
Poco male perché non c'è nessuno e riesco così ad assaporare in completa pace la mia fetta di torta, il panorama verso la valle, il silenzio e anche qualche piccolo particolare che fanno di questo ambiente d'alta quota qualcosa di unico.