Un tempo in quel piccolo mondo isolato che era la malga, la vita scorreva con serena semplicità e ordine. Ogni "malghese" aveva incarichi ben definiti che svolgeva con orgoglio e zelo. Fra tutti, la persona più autorevole era il "casèro", esperto nel lavorare bene il latte per ricavarne i suoi prodotti: "butìro" (burro), "formai" (formaggio), "puìna" (ricotta), e altri.
Francesco F. era uno di questi. Aveva sempre sognato nella sua vita di poter gestire una malga finchè il sogno non si avverò alla fine degli anni ’90; nell’età in cui normalmente si pensa alla pensione Francesco, insieme alla moglie Angelina e ai suoi animali, parte per malga Valpiana e lì ritrova la forza e l'energia per una nuova vita.
Come due pionieri d’altri tempi, sradicano ortiche e farfaracci, accumulano sassi, sistemano scandole, curano i pascoli, ripristinano la sorgente, fanno ripartire la lavorazione del latte crudo, così che dopo un paio d’anni l’anziano barone Augusto Buffa proprietario di molte malghe in Val Campelle dirà: “ Ho trovato la persona giusta per la mia malga. E’ Francesco Franzoi. Ora posso pensare seriamente alla sua ricostruzione.”
Altro compito molto importante era quello di pulire a dovere il "barco" a cui tutti collaboravano utilizzando, se c’era, un piccolo corso d’acqua che veniva fatto passare attraverso di esso. Il "barco", sempre munito di porta alle due estremità, era lievemente in pendenza.
In questo modo l’acqua che entrava dalla parte più alta serviva a far evacuare la "grassa" (stallatico che le bestie espellevano di notte)e a convogliarla, tramite un vero e proprio sistema idrico (piccoli ruscelli), nei pascoli per l’ingrasso del terreno, affinché si potesse avere, l’anno successivo, erba migliore.
All’alba, quando il cielo rischiarava, il "casèro" svegliava i suoi uomini e tutti insieme si recavano nel "barco" ed iniziavano la mungitura. Era questo un momento di solenne silenzio: i "campanèi" tacevano, le mucche erano docili e tranquille; sembrava ascoltassero anch’esse la dolce musica del latte che scendendo riempiva i secchi.
Il latte era raccolto via via in recipienti più grandi e distribuito nelle "mastèle" (recipienti circolari a doghe di legno), dove riposava per dieci-dodici ore, affinché affiorasse in superficie la panna per fare il burro.
Il "casèro" iniziava quindi la lavorazione del latte "telandolo" (scremandolo) parzialmente.
Quindi portava il latte nel grande paiolo in rame posto sopra il focolare e immergendovi il braccio, "sentiva" se la temperatura era quella necessaria per la cagliatura (32-37 °C).
Il lavoro proseguiva fino alla formazione delle forme di formaggio che venivano poste ad asciugare prima della salatura e successivamente messe nelle assi di legno del locale per la maturazione e stagionatura dello stesso.
Chissà se anche questa tra pochi anni sarà solo una storia da raccontare per conservare la memoria d'altri tempi o se potrà ancora essere vita che incontriamo nelle nostre quotidiane o domenicali escursioni nel Lagorai.
* Le malghe nelle foto sono malga Valpiana e Montalon
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